Sul dialogo ebraico-cristiano una lettera di Giuseppe Laras, Amos Luzzatto e Daniele Nahum; la replica di Giorgio Israel e Guido Guastalla
Testata: Corriere della Sera Data: 04 dicembre 2008 Pagina: 36 Autore: Giuseppe Laras, Amos Luzzatto e Daniele Nahum - Giorgio Israel e Guido Guastalla Titolo: «Il dialogo non sia anti-Islam - Replica»
In seguito alla pubblicazione, il 26 novembre 2008, da parte del CORRIERE della SERA , della lettera di Giorgio Israel e Guido Guastalla, "Ebrei e cristiani: il dialogo non va rotto", Rav Giuseppe Laras, il professor Amos Luzzatto e Daniele Nahum hanno scritto e diffuso una lettera che il CORRIERE pubblica il 4 dicembre, a pagina 36, intitolandola "Il dialogo non sia anti-Islam". Prima della pubblicazione della lettera, Giorgio Israel e Guido Guastalla avevano diffuso via internet la loro replica. Pubblichiamo di seguito entrambi i testi, preceduti dal link al quale è possibile leggere la prima lettera di Israel e Guastalla.
Caro Direttore Abbiamo letto l'articolo di Guido Guastalla e di Giorgio Israel, pubblicato sul Corriere del 26 novembre. In Italia il dialogo ebraico-cristiano ha coinvolto, a più livelli e da diversi anni, numerosi intellettuali sia ebrei che cristiani, credenti e non, nonché tante persone di buona volontà. Si può forse anche affermare che la capitale del Dialogo in Italia, per quasi tre decenni, è stata la città di Milano, vista la compresenza, la reciproca stima e la collaborazione avutasi tra i cardinali arcivescovi Martini e Tettamanzi e il rabbino capo emerito Laras, oggi presidente dei rabbini italiani. Ma non solo. La presenza a Milano del Consiglio ecumenico delle chiese cristiane ha visto collaborare ebrei con autorità religiose e intellettuali sia valdesi sia cristiano-ortodossi. Ed ecco i nomi del Dialogo in Italia, iniziato con Renzo Fabris e il rabbino Elia Kopciovski, tra i quali ricordiamo: Paolo de Benedetti, Maria Vingiani, Elena Lea Bartolini, don Gianfranco Bottoni, Daniele Garrone, Maria Cristina Bartolomei, Paolo Ricca, Enzo Bianchi, Brunetto Salvarani, Piero Stefani, Amos Luzzatto, Lea Sestrieri, Bruno Segre, Stefano Levi Della Torre, la Comunità di S. Egidio, la Libreria Claudiana, i monaci di Camaldoli e tanti altri ancora… Mancano all'appello, almeno a memoria delle persone finora citate, i due ebrei italiani «impegnati nel dialogo» che hanno scritto su questa stessa testata! Tutte queste persone, e il Rabbinato italiano in particolare, da sempre hanno avuto a cuore il dialogo tra ebrei e cristiani e, proprio per questo motivo, avvertono con particolare sensibilità e preoccupazione l'evidente stonatura derivante dal Motu Proprio promosso da Benedetto XVI circa l'Oremus pro Iudeis del Venerdì Santo, legato ad altri tempi (non proprio sereni!) e ad altri impianti teologici, da cui, peraltro, il Concilio Vaticano II aveva preso le distanze, lasciando aperti spazi inediti per il dialogo tra cattolici ed ebrei. Ma è opportuno fare un'ulteriore importante sottolineatura. La pausa di riflessione, voluta in coscienza dai rabbini italiani, non riguarda il Cristianesimo nel suo insieme, ma solo la confessione cristiano-cattolica. Da questo si desume che non è vero che il Rabbinato italiano voglia interrompere il dialogo, ma semplicemente non prendere parte il prossimo anno alla tradizionale giornata dell'Ebraismo del 17 Gennaio, non giudicando sinora esaurienti e effettivamente chiarificatrici le spiegazioni e le assicurazioni ricevute da alcuni esponenti della Chiesa cattolica in relazione al pronunciamento papale, considerato che si tratta di una preghiera da storia e da valenza simbolica particolari, legata alla genesi e al diffondersi dell'antisemitismo e dell'insegnamento del disprezzo, malattie purtroppo ancora ben vive. È evidente, quindi, la regressione rispetto alle conquiste scaturite dagli ultimi decenni di dialogo e collaborazione. Si spera solo che questa sia una crisi passeggera! Sarebbe importante ricordare ai due firmatari dell'articolo che non è stato il Rabbinato italiano a dare inizio a questa poco edificante querelle — che alla lunga rischia davvero di compromettere gli sforzi intellettuali e morali di eminenti personalità sia del mondo ebraico sia del mondo cattolico —, ma il Papa con la sua decisione. Inoltre, a scanso di equivoci, è opportuno anche ricordare che il Rabbinato italiano e i membri dell'Unione delle comunità ebraiche italiane sono i soli ufficiali responsabili della rappresentanza religiosa e civile degli ebrei italiani. Per quanto riguarda il riferimento al rabbino Rosen, si consideri che nel mondo ebraico non esiste un Papa e, pertanto, in Italia sono i rabbini italiani gli interlocutori tra le Chiese e l'Ebraismo. Da ultimo, il dialogo ebraico-cristiano, ivi compreso quello particolare con la Chiesa cattolica, è una cosa certamente importantissima, che richiede sforzi e, soprattutto, costante esercizio di rispetto, comprensione, preparazione storica e, nondimeno, onestà intellettuale. Il dialogo tra ebrei e cristiani è unico e speciale, vista la tangenza e la storia comune tra le due fedi; esso, tuttavia, non è mai stato e non deve affatto essere uno strumento dell'Occidente contro l'Islam, ormai presente in maniera consistente in tutta Europa. Sicuramente bisogna opporsi ai fanatismi, ma non solo a quelli di matrice islamica! Una siffatta ipotesi strumentale del dialogo è, quindi, intellettualmente, moralmente e religiosamente inaccettabile! Si ricordi, poi, che i rapporti tra Ebraismo e Islam generalmente sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra Ebraismo e Cristianesimo… Ma questa è un'altra storia! Gli autori sono, rispettivamente, Rabbino capo emerito di Milano e presidente dei Rabbini italiani, presidente dell'Associazione Centro Studi Primo Levi di Torino e presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia
La replica di Israel e Guastalla:
Nella lettera da noi inviata al Corriere della Sera e pubblicata il 26 novembre, abbiamo espresso “profondo dissenso” dalla decisione presa il 17 novembre dall’Assemblea dei Rabbini d’Italia di sospendere il dialogo ebraico-cattolico. Lo abbiamo fatto nei termini più civili e sereni possibili, senza neppure un’ombra di polemica. Inoltre la nostra lettera conteneva argomentazioni esclusivamente dettate da esigenze spirituali e religiose. Al contrario, Rav Giuseppe Laras, il professor Amos Luzzatto e Daniele Nahum hanno ritenuto di rispondere con una lettera aspramente polemica, fino all’insulto e priva di qualsiasi argomentazione degna di questo nome. Essi hanno deformato una nostra affermazione, tesa a sottolineare che, in un momento di tanto grave sbandamento etico e morale e di fronte all’assalto dell’integralismo islamico, è importante stringere i rapporti con chi condivide la difesa del primato della morale e della ragione pacifica – e gli eventi di Mumbai ne hanno costituito una tragica conferma. Hanno presentato tale affermazione come se avessimo detto che è conveniente allearsi con la Chiesa per difendere l’Occidente contro l’Islam, definendola un’«ipotesi strumentale del dialogo» che sarebbe «intellettualmente, moralmente e religiosamente inaccettabile». Una simile deformazione degli argomenti altrui è tanto più grave in quanto viene usata per lanciare la pesante accusa di strumentalismo intellettuale, morale e religioso. Oltretutto la polemica scivola in modo patetico sull’osservazione che l’Islam è «ormai presente in maniera consistente in tutta Europa». Che argomento è mai questo? Forse si dà per scontato che l’Islam si identifichi con l’integralismo islamico (visto che di quest’ultimo soltanto parlavamo)? Forse la considerazione che si deve avere dell’Islam dipende dal suo peso quantitativo e le questioni morali dipendono dai numeri? Se volessimo ricorrere agli stessi metodi di Laras, Luzzatto e Nahum potremmo accusarli di ragionare sotto la spinta della paura e quindi al di fuori di ogni considerazione morale, religiosa o intellettualmente accettabile e in base a mere considerazioni di opportunità. Passiamo sopra altri epiteti e considerazioni spiacevoli, come il richiamo al fatto che l’esercizio del dialogo richiede “onestà intellettuale”. Che bisogno c’era di dirlo? Vi è forse qualcuno qui che si sia macchiato di disonestà intellettuale? Ma veniamo ad altri aspetti ancor più inaccettabili della lettera. I nostri stendono un elenco dei “nomi del Dialogo” in Italia decisamente incompleto: vi manca ad esempio Saul Israel, il cui contributo al dialogo è stato almeno pari a quello di molti nomi citati messi assieme, come risulta anche da un suo scritto postumo pubblicato pochi giorni fa dall’Osservatore Romano. Ma i nostri hanno la presunzione di osservare che nell’elenco dei dialoganti «mancano all’appello i due ebrei “impegnati nel Dialogo”», che poi saremmo noi, per chi non avesse afferrato la pungente ironia. Non staremo di certo al gioco penoso di esibire le credenziali di “dialoganti”. Ci limitiamo a osservare che è una procedura alquanto comica stendere una lista pretendendo di avere l’autorità insindacabile di decidere chi ha diritto a farne parte per poi dileggiare chi non ne fa parte. Insomma, siccome Laras e amici hanno decretato che non siamo “dialoganti”, allora non siamo “dialoganti”, e pertanto non siamo titolati a parlare di dialogo. Un brillante esercizio di logica, non c’è che dire. È da immaginare quali risultati sul piano dell’analisi talmudica si ottengano con simili procedimenti. Ma il vertice della lettera è raggiunto quando si respinge il riferimento alle affermazioni del Rabbino David Rosen, in quanto «nel mondo ebraico non esiste un Papa». Naturalmente noi non avevamo citato il Rabbino Rosen come un Papa ebraico ma soltanto per dire che esistevano autorevoli punti di vista diversi da quelli del rabbinato italiano e analoghi al nostro, i quali mostravano l’esistenza di una molteplicità di punti di vista che dovrebbe suggerire un atteggiamento riflessivo. Ma i nostri sono invece alla ricerca di Papi ebrei, sia pure di Papi locali. Difatti affermano che non esistendo un Papa, «in Italia sono i Rabbini Italiani gli interlocutori tra le Chiese e l’Ebraismo». In altri termini, chi voglia dialogare o è un rabbino italiano o deve chiedere l’autorizzazione ai rabbini italiani perché solo loro sono “gli interlocutori”. E, in effetti, ciò è rafforzato dall’affermazione secondo cui «a scanso di equivoci, è opportuno anche ricordare che il Rabbinato Italiano e i membri dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sono i soli ufficiali responsabili della rappresentanza rispettivamente religiosa e civile degli ebrei italiani». Qui siamo di fronte a un’affermazione estremamente radicale, audace e avventata che rappresenta una vera e propria uscita dall’ebraismo per entrare nella sfera dell’integralismo. Giova ricordare ai firmatari della lettera che un rabbino è un maestro che deve conquistarsi autorità e rispetto con l’esempio e l’insegnamento e non è un’autorità che ha il potere (da chi e come conferito?) di essere l’unica rappresentante religiosa di tutta la comunità. Neppure il Papa è dotato di un simile potere, salvo i rarissimi momenti in cui si pronuncia ex cathedra, come si vede dalla molteplicità di opinioni in campo cattolico e dall’espressione frequente di dissenso anche nei confronti delle prese di posizioni papali da parte di cardinali, vescovi e laici. La pretesa quindi che il Rabbinato sia qualcosa di più di un Papato, dotato del potere di essere l’unico ufficiale rappresentante religioso degli ebrei e titolare esclusivo del diritto di esercitare il Dialogo con le altri fedi e del potere di autorizzare i “fedeli” a praticarlo o di vietare di praticarlo, è estranea alla tradizione di libertà di pensiero dell’ebraismo, esorbita dalle funzioni del rabbino – salvo noti casi storici che rappresentano per l’appunto esempi di degenerazione – e rappresenta un mortificante cedimento alla tentazione del peggiore fondamentalismo. È assolutamente stupefacente che non ci si renda conto del carattere inaudito della pretesa di avere il potere di decidere chi, se e come possa parlare o non parlare con altri. Tanto più ciò è grave se, per imporre tale autorità, si ricorre al metodo di screditare chi dissente (peraltro civilmente e pacatamente) sul piano morale: anche questa è una procedura tipica del fondamentalismo. È con severa determinazione che preghiamo i firmatari della lettera di desistere da un siffatto atteggiamento che può essere compreso soltanto come effetto di uno stato di agitazione emotiva. Il fatto che la lettera non sia stata pubblicata avrebbe dovuto rappresentare un’opportunità fortunata di non esibire pubblicamente un documento così imbarazzante. Invece, apprendiamo che l’ufficio di Rav Laras ha pregato la segreteria dell’Ucei di far pervenire la lettera ai Presidenti delle Comunità, al Consiglio Ucei, ai Rabbanim con la richiesta di massima diffusione. Racconta Shemuel Agnon in un suo romanzo che «quando i rabbini in Erez Israel, un tempo, colpivano qualcuno d’interdetto, sguinzagliavano per la città dei cani neri, con un cartello attaccato alla coda nel quale era scritto che il tale, figlio del tale, era scomunicato. In tal modo avvertivano la gente di tenersi lontana da lui». È da sperare che nessuno abbia pensato di usare i messaggi elettronici come cani neri. Deve essere comunque estremamente chiaro che non esistono le condizioni per esercitarsi nel gioco della scomunica o della messa al bando. Il tono aggressivo e offensivo della lettera purtroppo lascia credere che qualcuno nutra una simile illusione. È bene sapere che, così come non ci siamo permessi di mettere sotto accusa nessuno, non ci lasceremo mettere sotto accusa da nessuno e tantomeno screditare sul piano morale, quale che sia l’autorità che l’accusatore presume di avere. Guido Guastalla Giorgio Israel
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