Sul CORRIERE della SERA di oggi, 16/11/2008, a pag. 12, la cronaca di Francesco Battistini, dal titolo " Scontro Londra-Israele sui prodotti dei coloni", un titolo curioso, perchè Londra e non Gerusalemme ? la controparte è la capitale, non lo Stato. E perchè " prodotti dei coloni ", quando le olive sono coltivate e commercalizzate sia dai coloni che dai palestinesi ? Un po' più di attenzione alle titolazioni non guasterebbe.
Ecco l'articolo:
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — Barzelletta del mercato: «Le olive più economiche le trovi il venerdì pomeriggio a Mahane Yehuda, alle bancarelle degli ebrei; le più buone, il sabato mattina alla Porta di Damasco, alle bancarelle degli arabi; le più ammaccate, tutto l'anno nei supermarket di mezza Europa». Ammaccate. Perché sono le olive dei Territori. Raccolte a suon di botte fra coloni israeliani e contadini palestinesi. I primi impegnati da settimane, e senza complimenti, a impedire il lavoro dei secondi. Queste olive, come gran parte della frutta e della verdura della Cisgiordania, sono fra le poche fonti di guadagno dei palestinesi. Da anni, finiscono sui banconi inglesi, tedeschi, francesi con l'etichetta «prodotto nella West Bank» e l'indicazione della località. Ora qualcuno, nello specifico il governo di Londra, pensa che l'etichetta non basti più. E quelle ammaccature vadano spiegate meglio, distinguendo i «veri » prodotti palestinesi da quelli degl'insediamenti israeliani. E in quest'ultimo caso, informare i consumatori con scritte politicamente più corrette. Tipo: «Attenzione, il prodotto viene da territori occupati illegalmente da Israele ».
C'è poco da ridere. La guerra delle olive e delle etichette sta inacidendo i rapporti fra governi. Qualche giorno fa Tzipi Livni, la ministra degli Esteri, ha chiesto chiarimenti, perché l'idea di marcare l'ortofrutta degli insediamenti avrebbe incontrato il favore del premier in persona, Gordon Brown, e a Londra si sta studiando una legge con le ong, le associazioni dei commercianti e dei consumatori, tutti d'accordo nel boicottare i prodotti «made in the settlements». E' già pronta una campagna pubblicitaria, simile a quella contro l'apartheid, quando l'opinione pubblica inglese veniva diffidata dall'acquistare esportazioni del Sudafrica bianco. «L'iniziativa è un serio e concreto problema nelle relazioni fra i due Paesi — dice un diplomatico israeliano a Haaretz — e può determinare anche una crisi».
Ron Prosor, ambasciatore negli Stati Uniti, ha approfittato d'un incontro col ministro degli Esteri inglese, David Miliband, per protestare: etichettare in quel modo la produzione agricola dei coloni equivale a un boicottaggio contro Israele e un tentativo d'influenzarne la politica. «Per ora siamo solo a una proposta della sinistra inglese — si giustifica una fonte diplomatica britannica — ed è comunque una misura di maggiore trasparenza che può tornare utile anche al governo israeliano». La posizione di Downing Street è precisa: l'Onu e la Ue hanno stabilito che gli insediamenti sono illegali, le importazioni da Israele godono dal 2000 di dazii privilegiati, ergo i nostri consumatori non possono accettare che i loro soldi vadano a legittimare l'occupazione dei Territori.
L'etichetta sarebbe qualcosa di più d'un regime fiscale differenziato. «E perché non hanno mai messo quella scritta sulle importazioni da tutti i Paesi che non rispettano le risoluzioni Onu?», protestano i diplomatici israeliani: «E' stato Ehud Olmert, nel 2005 ministro del Commercio, a introdurre sui prodotti dalla Cisgiordania l'obbligo d'indicare città, villaggio, zona industriale».
Non basta, replicano gli inglesi: la semplice scritta «prodotto a Masua» o a Netiv Hagdid non spiega con esattezza che quella verdura, quel frutto vengono da un insediamento illegale. E Londra, come gran parte della comunità internazionale, è convinta che non si stia facendo più nulla per smantellare le colonie, nonostante Shimon Peres abbia condannato la settimana scorsa le aggressioni ai palestinesi nella raccolta delle olive e il governo israeliano, due settimane fa, abbia minacciato la mano pesante coi coloni. «Abbiamo sopportato la guerra delle rose, non ci spaventa quella degli ortaggi », è l'ironia british.
Anche perché le olive sono solo l'antipasto. Altre, le questioni aperte fra i due Paesi: dalle pesanti accuse di crimini di guerra al ministro Shaul Mofaz, rimbalzate qualche mese fa, al discusso ruolo di Tony Blair inviato nel Medio Oriente. Pochi giorni, e Miliband arriva a Gerusalemme. Tzipi l'aspetta. Spremi spremi, qualcosa uscirà.
Un ortodosso controlla la frutta proveniente dalla Cisgiordania
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