Sul GIORNALE di oggi, 08/11/2008, a pag.11, l'analisi di Fiamma Nirenstein sul dopo elezioni americane, dal titolo " Israele teme l'ingnuità di un presidente che non conosce l'Iran":
È la vulnerabilità della politica della speranza, il tradimento dei pensieri carichi di buone intenzioni, il colpo della strega che proviene dall’alzarsi dalle belle poltrone dei colloqui di Camp David per trovarsi d’un tratto nell’Intifada del terrore che fa esplodere bar, ristoranti, autobus, supermarket, ciò che oggi crea ansia in Israele sulla futura politica di Obama. Obama piace istintivamente allo spirito ebraico liberal, alleato dei neri nella lotta contro il razzismo e per i diritti umani: il 74% degli ebrei americani l’ha votato, ma in Israele il futuro è più importante delle appartenenze e delle civetterie.
Obama potrebbe non tenere conto della storia della speranza in Medio Oriente, storia tragica, con tante occasioni volutamente perdute da un mondo arabo che sogna la distruzione di Israele mentre dice land for peace. Obama, si vede ai suoi discorsi, non ritiene primario l’integralismo religioso, il problema del terrorismo, e desidera distanziarsi da Bush prima possibile. Israele l’ha sperimentato soprattutto con Arafat, designato illusoriamente come partner di pace prima del premio Nobel fra i peggio assegnati della storia. Israele, e lo dicono decine di dichiarazioni e commenti, inclusa la telefonata di Olmert a Obama e persino un messaggio molto affettuoso di Netanyahu, non pensa che il presidente eletto sia ingenuo, che possa avventurarsi in passi fatali. Ma l’Iran incombe. Non si scherza con il pericolo iraniano: meglio di tutti lo ha scritto lo storico Benny Morris che ha dipinto Israele devastata dall’atomica, la sua arida terra restituita ai frutti e ai fiori, di nuovo una terra desolata; le case, le scuole, i ristoranti, gli ospedali tombe invece che segnali di civiltà e di vita.
Obama al suo discorso all’Aipac seppe rassicurare, parlò di pace ma anche del grande pericolo, dell’attacco cui Israele è soggetto tutto il tempo. Sembrò non escludere l’opzione militare e parlò delle sanzioni. Ma nell’Iowa, è sembrato supportare l’idea che forse l’Iran aveva sospeso la costruzione dell’atomica: un’ipotesi molto, troppo, di nuovo, permeata da quella speranza che rende ciechi e vulnerabili. Lo stanco ripetere di Peres che l’Iran minaccia tutti, in primis i Paesi europei, non è stato parte della campagna di Obama, che non ha voluto mai parlare di paure e di preoccupazioni così da non essere condotto a scelte troppo delineate. Parlare... la magnifica capacità, unicamente propria degli umani, può diventare un’arma che si rivolta contro, che il nemico utilizza per armarsi meglio, per sottrarsi alle sanzioni… Israele, dopo il fiume di parole scambiate con i palestinesi e da cui è sortita l’uscita da Gaza, ha visto sorgere Hamas, il suo odio, la labilità definitiva della narrativa della pace. Bush era contro le cessioni senza contropartita, contro il ritorno dei discendenti dei profughi, favorevole a una road map di garanzia in cui non c’è posto per Hamas. Era per un Medio Oriente dove gli hezbollah sono fuorilegge, e si fa la pace con un Libano libero da loro e dalla Siria, Paese di cui nessuno è meno affidabile. Due donne già molto stanche per il duro lavoro e l’incertezza del loro domani, si sono incontrate a Gerusalemme giovedì: Condi Rice nella sua ultima missione in Medio Oriente come Segretario di Stato, e Tzipi Livni ministro degli Esteri. Non vi abbandoneremo comunque mai, ha detto la Rice. Il vostro nuovo presidente è «una fonte di ispirazione per tutto il mondo», ha sorriso Livni. E poi è uscito il rospo, non sollecitato: «Dobbiamo combattere l’estremismo», ha detto, e «dobbiamo continuare la nostra pressione sull’Iran e credo che questo sia possibile solo con sanzioni più efficaci». Anche Livni che probabilmente imposterà la sua campagna elettorale proprio sul dialogo (con la Siria, i palestinesi), ha detto, con voce dal sen fuggita: attenzione qui siamo tutti, quasi tutti, preoccupati, anche noi per il dialogo. Sì, Israele sa che il clintoniano Rahm Emanuel, nuovo capo di gabinetto della Casa Bianca è figlio di israeliani. Ma Obama la preoccupa. E la domanda di fondo è: stai cercando di capire davvero questo strano posto che è il Medio Oriente, o ti farai sedurre dalle sirene del vecchio, letale senso comune sul conflitto arabo-israeliano?
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