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Rassegna Stampa
03.11.2008 Udg megafono della propaganda antisraeliana
dopo l'intervista a Desmond Tutu, quella a Mairead Corrigan Maguire

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Gaza è diventata la tomba dei diritti umani - Gaza, il nuovo Apartheid»
Da L'UNITA' del 3 novembre riportiamo un'intervista di Umberto De Giovannangeli all'attivista "pacifista" Mairead Corrigan Maguire, premio nobel per la pce che ha partecipato all'azione con la quale è stato forzato il cordone di sicurezza israeliano intorno a Gaza, che, ricordiamo, serve ad impedire il passaggio di armi e terroristi.

Corrigan Maguire allinea affermazioni demonizzanti che non si preoccupa di dimostrare (Israele impone una "punizione collettiva", e vuole
"trasformare Gaza in una prigione dove unmilione emezzodi persone vivono e muoiono in condizioni estreme, dove la maggioranza dei bambini è malnutrita, dove manca tutto, dai medicinali ai generali alimentari") e buoni consigli rivolti a Israele:  "spetta al più forte, in questo caso Israele, fare il primo passo. Sarebbe un atto lungimirante, perché nessun popolo può pensare di fondare la propria sicurezza sull’oppressione di un altro popolo".
Ricordiamo soltanto uno degli ultimi "primi passi" di Israele: il ritiro da Gaza, con lo sgombero totale degli insediamenti.
Al posto di questi ultimi e degli impianti agricoli avanzatissimi che avrebbero potuto continuare a dar lavoro a migliaia di persone, il regime di Hamas ha messo le rampe di lancio per i kassam e i tunnel per il trasporto delle armi.
Ecco il vero motivo per cui Intisar, 19 anni dichiara "chi nasce qui sa già che non avrà un lavoro, non avrà mezzi per sostentarsi, non avrà una vita degna di essere vissuta. Chi nasce qui, nasce già condannato": il regime di Hamas, che è interessato alla guerra permanente e non al benessere della popolazione.

Da parte di u.d.g. non c'è nessun accenno a questi fatti, nessuna messa in discussione della faziosa "verità" dell'attivista antisraeliana (di questo si tratta, la "pace" non c'entra evidentemente nulla)
L'intervista è condotta con lo stesso criterio dell'assenso totale che aveva ispirato quella a Desmond Tutu pubblicata il 2 novembre

( a questo link, la nostra critica:

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=13&sez=110&id=26434   )



«Il grido d'allarme lanciato da Desmond Tutu va raccolto. Gaza muore nel silenzio complice della comunità internazionale».Aparlare è Mairead Corrigan Maguire, premio Nobel per la pace nel 1976. Nata a Belfast da famiglia cattolica, Mairead Corrigan Maguire, 64 anni, decise di dedicarsi alla pace nel suo Paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un'auto di cui aveva perso il controllo un membro dell'Esercito repubblicano irlandese, colpito poco prima a morte da un soldato inglese. A seguito di quella tragedia la sorella si tolse la vita e Mairead fondò con Betty William, con cui ha condiviso il Nobel, il movimento «Donne per la pace». Nell' aprile del 2007, mentre partecipava a una manifestazione contro la costruzione del «Muro» in Cisgiordania, Mairead fu ferita da un proiettile sparato da un soldato israeliano. Lei è reduce dallo «sbarco» a Gaza dei pacifistidellanave«Dignity».Quale realtà si è trovata di fronte?
«Una realtà terribile, agghiacciante, angosciante che il mio amico Desmond Tutu ha raccontato con parole toccanti nell'intervista al suo giornale. Una cosa voglio dirla chiara e forte: non c'è nulla di più illegale e immorale della punizione collettiva che viene applicata contro la popolazione palestinese ogni giorno e in maniera indiscriminata dalle autorità israeliane».
Israele ribatte che Gaza è in mano di Hamas e che con il blocco della Striscia lo Stato ebraico sta esercitando il suo diritto all'autodifesa
«Il diritto all'autodifesa non consente di trasformare Gaza in una prigione dove unmilione emezzodi persone vivono e muoiono in condizioni estreme, dove la maggioranza dei bambini è malnutrita, dove manca tutto, dai medicinali ai generali alimentari. A Gaza si sta facendo scempio dei più elementari diritti dell'uomo. E questo nel silenzio complice della comunità internazionale».
Un silenzio complice che non riguarda i pacifisti che sono sbarcati a Gaza e le donneegli uominidelleOnginternazionali che continuano a operare nella Striscia.
«Sono loro, queste straordinarie persone, i veri costruttori di pace. Senza il loro impegno quotidiano, generoso, a Gaza la situazione sarebbe ancora più terribile. Noi abbiamo cercato di portare aiuti alla popolazione di Gaza (unatonnellata di medicinali, subito trasferiti in uno degli ospedali di Gaza City, ndr.). Lo rifaremo, sfidando i blocchi navali di Israele. Ma sappiamo bene che si tratta solo di un palliativo, di fronte allo sfacelo causato dall'assedio. Non ci sono mezzi di ricambio per i macchinari, scarseggiano le medicine, la corrente elettrica va e viene, la manutenzione delle strutture è praticamente impossibile. La verità è che a Gaza la gente continua a soffrire e a morire nell'indifferenza della comunità internazionale e con la piena responsabilità di Israele». Nell'intervistaal'Unità,DesmondTutu ha parlato dell'assenza di speranza dei giovani di Gaza.
«È così. Ed è terribile. Passeggiando per le strade diGaza City, ho incontrato tanti ragazzi. Una, in particolare, ha 19 anni, il suo nome è Intisar, mi ha colpito fino alle lacrime: "Ti supplico - mi ha detto- portami via con te , perché chi nasce qui sa già che non avrà un lavoro, non avrà mezzi per sostentarsi, non avrà una vita degna di essere vissuta. Chi nasce qui, nasce già condannato". Le parole di Intisar restano scolpite nel mio cuore e nella mia mente. E moltiplicheranno il mio impegno per ridare un futuro degno ai ragazzi di Gaza»
Un futuro che sappia di normalità lo chiedono anche i ragazzi israeliani. «Ledueaspirazioni nonvannomesso in contrapposizione. Il futuro dei due popoli è strettamente intrecciato. Ma spetta al più forte, in questo caso Israele, fare il primo passo. Sarebbe un atto lungimirante, perché nessun popolo può pensare di fondare la propria sicurezza sull’oppressione di un altro popolo. L’ingiustizia produce solo rabbia, frustrazione e può innescare la violenza. È una lezione che noi nordirlandesi abbiamo imparato sulla nostra pelle».

Di seguito, l'intervista a Tutu:

Confessa di aver pianto nel constatare di persona i patimenti inflitti a una popolazione allo stremo. L’inferno di Gaza visto attraverso gli occhi dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace ’84, riconoscimento che gli fu attribuito per la sua lotta non violenta contro il regime dell’apartheid. Tutu in questi giorni è a Gaza, capo della missione del Consiglio dell’Onu per i diritti umani incaricata di indagare sulle violazioni israeliane nella Striscia e sull’uccisione di 19 civili, tra i quali molte donne e bambini, provocata da un bombardamento israeliano l’8 novembre ’06 a Beit Hanun.

Israele ha rifiutato di concedere i visti a Tutu e al suo gruppo: l’arcivescovo anglicano e i suoi collaboratori hanno aggirato le restrizioni israeliane entrando nel territorio palestinese dal valico di Rafah con l’Egitto che è stato aperto occasionalmente per loro martedì scorso.

Nella sua missione a Gaza, Tutu ha incontrato anche il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ma soprattutto si è intrattenuto con i sopravvissuti dell’attacco di Beit Hanun. Nel ricordare quell’incontro, il Premio Nobel per la Pace sudafricano non trattiene la commozione: «Tutti noi - racconta a l’Unità - siamo rimasti scioccati, devastati da quei colloqui. Si è trattato di una esperienza sconvolgente che non si augurerebbe al proprio peggior nemico».

Sulla strage di Beit Hanun, la commissione guidata da Desmond Tutu sta preparando un rapporto che sarà presentato alla riunione del Consiglio dell’Onu per i Diritti umani a settembre.

Un viaggio a Gaza. Quali emozioni ha provato?
«È stata una esperienza umana sconvolgente. In questi giorni abbiamo avuto modo di renderci conto di persona di una situazione disastrosa. A Gaza è in atto una tragedia umanitaria di fronte alla quale il mondo non può chiudere gli occhi. Perché se la verità fa male, il silenzio uccide».

Le più importanti agenzie umanitarie internazionali hanno ripetutamente denunciato gli effetti provocati sulla popolazione di Gaza dal blocco imposto da Israele. Qual è in proposito la sua opinione?
«Quello in atto da mesi e mesi a Gaza è un assedio illegale; il blocco costituisce una violazione flagrante dei diritti umani ed è contrario agli insegnamenti delle sacre scritture, cristiane ed ebraiche e della tradizione ebraica di adoperarsi per i più deboli. Faccio davvero fatica a trovare le parole adatte per descrivere ciò che abbiamo visto e inteso. Di certo, tutto ciò è inaccettabile. La cosa più inconcepibile e mai giustificabile, è quello che si sta facendo ad un popolo per garantire la propria sicurezza (di Israele). Ciò che ho visto mi ricorda molto quello che accadeva a noi neri in Sudafrica, durante l’apartheid. Non mi riferisco solo a Gaza. Ricordo ancora un mio precedente viaggio in Terra Santa. Ricordo come se fosse oggi l’umiliazione dei palestinesi ai check points e ai blocchi stradali, soffrivano come noi quando i giovani poliziotti bianchi ci impedivano di circolare».

Qual è il messaggio che si sente di lanciare alla comunità internazionale?
«Il messaggio è che il nostro silenzio e la nostra complicità per ciò che sta accadendo a Gaza, fa disonore a tutti noi. Gaza ha bisogno di aiuti e di attenzione da parte del mondo, in particolare da quanti credono e si battono per la pace».

Lei ha avuto modo di incontrare a Gaza il premier di Hamas, Ismail Haniyeh.
«Ho chiesto ad Haniyeh di operare affinché Hamas interrompa il lancio di razzi Qassam verso Israele. Queste azioni finiscono solo per aggiungere dolore a dolore, sofferenza a sofferenza: la mia solidarietà va anche alla popolazione israeliana di Sderot, costretta a soffrire per il lancio dei razzi Qassam. Non è in questo modo che i palestinesi vedranno realizzati i propri diritti. Dal più profondo del cuore, mi sento di lanciare di nuovo un appello a entrambe le parti perché si ponga fine ad ogni atto di violenza, ed in particolare agli attacchi ai civili. Questi attacchi, comunque motivati, sono sempre una violazione dei diritti dell’uomo. L’unico modo per porre fine alle violenze e alle ingiustizie è che israeliani e palestinesi si ritrovino insieme intorno ad un tavolo per discutere: questo è l’unico modo per instaurare la vera pace».

E a Israele quale appello si sente di lanciare?
«Vorrei dire che Israele ha diritto a vivere in pace nella sicurezza ma che questo diritto non può fondarsi né realizzarsi compiutamente se proseguirà l’oppressione esercitata contro un altro popolo. Il popolo palestinese. Una vera pace può essere costruita solo su basi di giustizia. E giustizia vuole che oggi si porti conforto alla popolazione di Gaza».

Lei ha parlato di una realtà, quella della Striscia di Gaza, scioccante, disperata...
«E non mi riferivo solo alle condizioni materiali di vita. La disperazione è anche altro. È l’assenza di speranza, è la percezione diffusa che la realtà è destinata ancora a peggiorare. La disperazione è nei tanti ragazzi e ragazze che ho incontrato e che mi hanno confessato di non saper immaginare un futuro. La disperazione è nei bambini che hanno respirato solo violenza, paura...Questa è Gaza oggi. Lo ripeto: è una condizione inaccettabile, inumana. Alla quale non dobbiamo rassegnarci».

Ha collaborato Osama Hamdan

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