domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.10.2008 L'Italia di Craxi e Andreotti avvertì Gheddafi
salvandolo dal raid americano in risposta all'attentato alla discoteca La Belle

Testata: Corriere della Sera
Data: 31 ottobre 2008
Pagina: 16
Autore: Giuliano Gallo - Ennio Caretto - Lorenzo Fuccaro - Bettino Craxi
Titolo: «I libici rivelano 20 anni dopo: così Craxi salvò gheddafi»

I quotidiani del 31 ottobre 2008 dedicano ampio spazio alle rivelazioni libiche sull'avvertimento fornito dall'Italia nel 1986 a Gheddafi, che grazie ad esso si salvò dall'attacco americano in risposta all'attentato alla discoteca La Belle a Berlino.

L'articolo di Umberto De Giovannangeli pubblicato da L'UNITA' a pagina 20 ("Roma avvertì del blitz Usa e salvò la vita Gheddafi") si distingue per la segnalazione dei presunti effetti positivi di quella scelta del governo italiano, in particolare l'attuale "salvataggio della disastrata finanza italiana".

Segnaliamo anche l'intervista del GIORNALE  a De Michelis, che conferma e liquida come "roba vecchia" le rivelazioni libiche (pagina 13 , "Reagan non ci sopportava più ma poi ci chiese di mediare")

Conferma anche Antonio Bandini, all'epoca consigliere diplomatico di Craxi, interpellato da REPUBBLICA (pagina 19 "Avvertimmo il colonnello era interesse dell'Italia").

Da parte nostra, osserviamo che le rivelazioni libiche vengono a confermare una volta di più l'ambigua vicinanza di personaggi chiave della Prima Repubblica come Craxi e Andreotti al terrorismo arabo e ai regimi che lo finanziavano e armavano.

Una  vicinanza frutto di cinismo e di miopia politica, che contrariamente a quanto si sostiene per giustificarla, non ha reso l'Italia più sicura (dato che atti terroristici sono comunque stati compiuti sul suo territorio e contro suoi cittadini) né tanto meno più autonoma. Infatti, tradire la fiducia degli alleati e piegarsi alle minacce dei violenti non può certo essere considerata un'affermazione della sovranità di uno Stato. Si tratta, ci sembra,  dell'esatto contrario.

Di seguito, riportiamo gli articoli pubblicati sulla vicenda dal
CORRIERE della SERA.

La cronaca di  Giuliano Gallo:

ROMA — Tra amici non devono esistere segreti. E allora, visto che Italia e Libia ora sono ufficialmente amici, ecco il ministro degli Esteri libico regalare agli italiani una piccola ma robusta verità: l'Italia avvertì la Libia dell'attacco che gli americani avevano deciso di lanciare contro Tripoli, per «punire» Gheddafi dell'attentato alla discoteca La Belle di Berlino. Una decisione presa in prima persona dal premier di allora, Bettino Craxi. Una decisione che gli americani non avrebbero gradito, così come non avevano gradito il braccio di ferro del 10 ottobre '85, quando a Sigonella i militari italiani avevano impedito a quelli della Delta Force Usa di arrestare il dirottatore dell'Achille Lauro, Abu Abbas. Meno di un anno dopo,il 15 aprile dell'86, il raid Usa: 45 aerei che in 12 minuti avevano sganciato 232 bombe e 48 missili contro 6 diversi obbiettivi. Il bombardamento aveva provocato la morte di una decina di civili, tra i quali una figlia adottiva di Gheddafi. Ma il leader, avvertito dagli italiani, era riuscito a salvarsi. «Non credo di svelare un segreto — dice adesso Mohammed Abdel-Rahman Shalgam nella sala delle conferenze internazionali della Farnesina — se annuncio che il 14 aprile dell'86 l'Italia ci informò che ci sarebbe stata un'aggressione americana contro la Libia». Notizia non nuova di zecca (ne aveva parlato nel 2003, il senatore dello Sdi Cesare Marini) ma che non aveva mai avuto una così autorevole conferma. E subito le parole di Shalgam, ambasciatore in Italia dall'84 al '95, di conferme ne ottengono un'altra, altrettanto autorevole: quella di Giulio Andreotti, che in quell'aprile di 22 anni fa era ministro degli Esteri: «Io ritengo di sì, l'avvertimento ci fu», dice il senatore a vita. Del resto, aggiunge, quella degli americani «fu un'iniziativa improvvida, un errore di carattere internazionale».
L'occasione dell'outing di Shalgam non poteva essere più eclatante: un convegno sul trattato di amicizia italo-libico appena stipulato, con un parterre che spiega il peso specifico che la Libia ha per il nostro Paese. Accanto al ministro sono seduti Seif al-Islam, primogenito di Gheddafi, e Shukri Ghanem, che presiede la Compagnia nazionale libica del petrolio Noc. Tutto attorno all'enorme tavolo rotondo, oltre al padrone di casa Franco Frattini e all'ex ministro Beppe Pisanu, organizzatore del convegno, sedeva infatti il gotha dell'imprenditoria italiana: gli amministratori delegati Scaroni (Eni), Bernabè (Telecom Italia), Profumo (Unicredit) e Moretti (Ferrovie), e Marchionni (Fondiaria-Sai), i presidenti Ponzellini (Impregilo), Abete (Bnl), Gnudi (Enel).
Ed è toccato a Gheddafi jr, autentico plenipotenziario del padre, pronunciare le parole più coinvolgenti: «Non parliamo del passato, ma del futuro: gli artigiani italiani tornino in Libia. Tornino i servizi, i bar, le imprese piccole e medie imprese». E, perché no, Seif sogna anche una cooperazione militare: «Vorremmo vedere forze militari italiane e libiche fare esercitazioni congiunte ». I due Scud che la Libia sparò contro Lampedusa quel 15 di aprile, ritorsione contro l'uso della stazione Loran dell'isola da parte dei bombardieri americani, adesso sembrano davvero un pezzo di storia e niente più. A Frattini non resta che mettere il sigillo: «Se Muammar Gheddafi deciderà di visitare l'Italia lo accoglieremo con amicizia». E la ratifica del trattato? «Spero che il consiglio dei ministri adotterà il disegno di legge in tempi brevi».

Il commento di Stefania Craxi:

ROMA — Ieri c'era anche lei ad ascoltare il ministro Shalgam raccontare la storia del bombardamento. E d'istinto Stefania Craxi
(foto) ha dettato due righe di comunicato con una punta di polemica: «Se Bettino Craxi ha salvato la vita al colonnello Gheddafi, non è tardi per dirgli grazie. I libici reagirono lanciando missili su Lampedusa. Modo piuttosto singolare di dire grazie». Quanto alla rivelazione di ieri, «è una novità soprattutto perché lo hanno detto per la prima volta i libici». Quei missili il sottosegretario Stefania Craxi se li ricorda bene. «Papà con me ci aveva scherzato su: tanto sono finiti in mare, mi diceva»

E quello di Bobo Craxi:

ROMA — Bobo Craxi (foto), sottosegretario agli Esteri del governo Prodi ma soprattutto figlio di Bettino, quei giorni dell'86 se li ricorda bene. «Mio padre era stato avvertito dal premier spagnolo Felipe González, che gli aerei americani si erano levati in volo. E dopo essere partiti il governo Usa aveva chiesto all'Italia il permesso di sorvolo. Permesso che Craxi aveva negato: non potete chiedermelo quando siete già partiti» aveva detto all'ambasciatore Usa. Poi aveva subito fatto avvertire Gheddafi, non direttamente ma «servendosi di amici comuni. E Gheddafi probabilmente non sapeva che l'avvertimento arrivava dal premier italiano... Per questo forse aveva fatto sparare i due missili su Lampedusa».

Il colloquio tra Ennio Caretto e Vincent Cannistraro, ex agente CIA a Roma membro del Consiglio di sicurezza nazionale all'epoca dell'azione americana contro Gheddafi:

WASHINGTON — Nel 1986, come membro del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Vincent Cannistraro, l'ex uomo della Cia a Roma, partecipò ai preparativi del bombardamento di Tripoli. Oggi non si mostra sorpreso che Andreotti abbia messo la Libia in allarme: «Non avevamo informato in anticipo l'Italia dei nostri piani — ricorda Cannistraro — ma nei governi europei circolava la voce che avremmo attaccato Tripoli. È pertanto possibile che Andreotti abbia avvisato Gheddafi, sia pure in modo generico».
E aggiunge: «Alla Casa Bianca non amavamo Andreotti, temevano che facesse gli interessi libici, ci sembrava troppo vicino a Paesi arabi a noi ostili. Ci era più gradito Craxi, malgrado il braccio di ferro dell'anno prima con lui sul sequestro della nave da crociera Achille Lauro» (a Sigonella, Craxi aveva impedito agli americani di arrestarne i dirottatori).
Secondo Cannistraro, la Casa Bianca preavvertì soltanto la Francia perché i «top guns» americani dovevano sorvolare il suo territorio — la Francia lo vietò — e l'Inghilterra perché dovevano partire dalle sue basi, come poi avvenne. Mandò da Andreotti l'emissario Vernon Walters solo all'ultimo minuto, quando l'operazione era già cominciata: «Una cautela perché in precedenza il vostro ministro degli Esteri aveva fatto da intermediario per Gheddafi — spiega —. Noi invece, pur senza ammetterlo pubblicamente, volevamo eliminare il Colonnello, allora uno sponsor del terrorismo. Il presidente Reagan lo autorizzò di persona: il leader libico aveva fatto saltare la discoteca La Belle a Berlino, frequentata dai nostri soldati». Il bombardamento di Tripoli non raggiunse lo scopo: «Due anni dopo — sostiene Cannistraro — la Libia reagì con l'attentato al volo 103 della Pan Am in Scozia».
La decisione di attaccare Tripoli, riferisce l'ex agente della Cia a Roma, fu presa nella cosiddetta Stanza dei bottoni, nel sotterraneo della Casa Bianca, dal Consiglio di sicurezza nazionale, di cui era direttore Robert McFarlane e vicedirettore Oliver North, l'uomo che aveva fatto intercettare l'aereo dei dirottatori dell'Achille Lauro a Sigonella: entrambi si sarebbero poi dimessi nello scandalo Irangate della fornitura clandestina di armi all'Iran. «Venne presa nella massima segretezza, con l'assenso del dipartimento di Stato, del Pentagono, del ministero della Giustizia, e di tutti i servizi. Nell'85 c'erano già stati scontri armati tra le nostre forze e le forze libiche nel Golfo della Sirte, la misura era colma ». S'era anche discusso se sferrare l'attacco dall'Italia, ma l'ipotesi era stata scartata perché la vicenda di Sigonella aveva irritato la Casa Bianca e c'era il sospetto che il segreto trapelasse.
Se l'Italia fosse stata preavvertita formalmente del bombardamento e Andreotti l'avesse svelato, termina Cannistraro, «sarebbe scoppiato uno scandalo, un grave incidente diplomatico ». Ma non ci fu nessun sentore di una sua informativa a Gheddafi, e nessuna protesta presso la Farnesina, solo il rammarico che il Colonnello fosse sopravvissuto al blitz, in cui morì invece la piccola figlia adottiva del leader libico. «Noi oggi — rileva ironicamente l'ex membro del Consiglio di sicurezza nazionale — siamo in buoni rapporti con la Libia, tanto che il segretario di Stato Condi Rice l'ha persino visitata. Ma per 10 anni, dal '76 all'86, avevamo periodicamente contemplato di usare le armi contro Tripoli: rammento che se ne parlava sotto il presidente Ford, prima ancora dei presidenti Carter e Reagan: il ministro della Difesa James Schlesinger aveva messo a punto un piano al riguardo, ma fu rinviato più volte».

 Un'intervista di Lorenzo Fuccaro a Francesco Cossiga:

ROMA — Le rivelazioni del ministero degli Esteri libico Shalgam (nel 1986 l'allora capo del governo Bettino Craxi avvertì Gheddafi che gli americani avevano programmato un raid per ucciderlo) non giungono inaspettate al senatore a vita Francesco Cossiga. «Una "gola profonda" dei servizi me ne parlò. E io, a mia volta, informai lo staff del Quirinale». Nel 1986 Cossiga era presidente della Repubblica e oggi rivela al Corriere una circostanza inedita: «Quando ci fu il lancio dei missili libici contro Lampedusa, Craxi se la prese come se fosse stata un'offesa personale. E diede ordine al Capo di Stato Maggiore della Difesa di preparare un'incursione aero-navale contro la Libia. L'incursione consisteva nell'invio di un consistente gruppo di forze speciali che sarebbero dovute sbarcare sulla spiaggia di Bengasi».
Perché non se ne fece nulla?
«Gli suggerii di lasciare stare. Fu davvero duro convincerlo. Bettino si inquietò molto dopo tutto quello che aveva fatto per salvare la vita al colonnello Gheddafi. Però alla fine ci riuscii».
Come?
«Gli fu spiegato che i missili non affondarono al largo di Lampedusa per un caso. Fu una scelta deliberata a seguito dei suggerimenti dei consiglieri militari sovietici all'epoca presenti in Libia. Ai sovietici dava molto fastidio che Lampedusa ospitasse la cosiddetta stazione aeronavale della Coast Guard americana che governava tutto il traffico della flotta statunitense nel Mediterraneo. Il lancio dei missili, quindi, fu un avvertimento rivolto all'amministrazione americana e non una ritorsione nei confronti dell'Italia ».
Torniamo alla «gola profonda» dei servizi segreti. Che cosa le disse esattamente?
«Fui informato che gli Stati Uniti avevano fatto levare in volo, dalle basi britanniche in Scozia, alcuni bombardieri. La rotta più diretta sarebbe stata Germania-Italia e da qui puntare sulla Libia. Fu quindi dato avviso di sorvolo — come prevedono gli accordi militari — ma Craxi diede ordine di rifiutare. Rifiutarono anche Francia e Spagna. E allora i bombardieri americani dovettero volare al largo del Portogallo, tanto da essere riforniti in volo da aerei-cisterna partiti dalla base di Torremolinos. In tempo reale il nostro servizio segreto informò il governo libico dell'imminente attacco. Tuttavia la notizia non fu creduta del tutto, tanto è vero che Gheddafi si mise in salvo ma non la figlia adottiva che restò uccisa. Da allora, però il colonnello non ha più una dimora fissa ».
Come spiega il comportamento di Craxi?
«Con il fatto, come ha osservato un acuto commentatore di politica internazionale qual è Sergio Romano, che tutto ciò avveniva nel quadro di alcune libertà che l'Italia si prendeva rispetto alla politica dell'Alleanza atlantica, in particolare di quella americana. Non potendo certo mettersi in contrasto con gli Stati Uniti e con la Nato, Moro Andreotti e Craxi si prendevano la libertà di praticare una politica filo- araba e anti-israeliana. Del resto, lo stesso Moro mise a punto un "lodo" che porta il suo nome e che consisteva in un'intesa in base alla quale i palestinesi potevano scorrazzare liberamente per il nostro territorio senza però compiere attentati. E un'autorevole conferma dell'esistenza di questo patto segreto è giunta proprio dal leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina Bassam Abu Sharif intervistato ad agosto dal Corriere ».
In ogni caso dal suo osservatorio, al Quirinale, le saranno giunte le reazioni americane?
«Certo e furono molto violente. A chi si lamentava feci presente che il bombardamento sulla Libia non era un'operazione Nato. Spiegai che noi italiani siamo confinanti, per via del Mediterraneo, con la Libia. E poi tagliai corto obiettando che la politica estera e quella militare la faceva il governo e non il presidente della Repubblica, il quale tutt'al più si limitava a fare da portavoce ».

Un inedito memoriale  di Bettino Craxi:


Ricordo che ero nell'Aula del Senato al banco del Governo. Spadolini mi stava accanto. Mentre seguivo il dibattito mi fu fatto pervenire un dispaccio dell'agenzia France Press.
Secondo l'agenzia francese i libici avevano lanciato due missili contro l'isola italiana di Lampedusa. Passai subito il foglio a Spadolini dicendogli: «E noi lo veniamo a sapere da una agenzia francese!». Giovanni annuì, si alzò e uscì per informarsi e vedere di che cosa si trattava. Passò qualche minuto. Non vedendolo tornare anch'io mi alzai, uscii dall'aula e mi infilai nella Sala del Governo (...).
Spadolini era in piedi e stava telefonando. Parlava con una Autorità militare. «Ecco — disse — è entrato ora il Presidente». Poi rivolgendosi a me disse «hanno tirato due missili contro Lampedusa. Sono finiti fortunatamente in acqua. Pare siano stati lanciati da una nave libica». Ricordo che gli dissi: «Digli di affondarla» e così Spadolini fece, ripetendo l'ordine. Non ci fu nessun affondamento. Sapemmo infatti che si era trattato di due missili a lunga gittata, due Scud, partiti non da una nave ma direttamente dal territorio libico. Il giorno dopo tenemmo una riunione con lo Stato Maggiore della Aeronautica. (...) Nell'ipotesi di una azione di rappresaglia contro la Libia ci fu illustrato un piano già predisposto (...). Era stato scelto un aeroporto del Sud libico.
Entro poche ore avrebbe potuto subire un bombardamento da parte dell'aviazione italiana. Ricordo che chiesi quanti bombardieri sarebbero stati impiegati. Mi fu risposto: «Due». Chiesi ancora se c'era il rischio di vittime civili. Mi fu risposto che non si poteva escludere. Seduta stante, d'accordo con Spadolini, si decise di soprassedere all'azione. Il Governo italiano si limitò a protestare energicamente con Tripoli. In realtà, visto che i missili erano finiti in acqua e non avevano provocato né vittime né disastri, decidemmo di non procedere ad una reazione militare, dicendoci però che di fronte ad un altro atto di aggressione una reazione militare sarebbe stata inevitabile. Si sarebbe in quel caso trattato di una reazione di altra portata (...).
Per rafforzare la protesta italiana inviai anche un messaggio diretto e personale a Muhammar Gheddafi. La Libia, dal canto suo, si comportò come se avesse compiuto una grande impresa militare. Dichiarò di aver distrutto a Lampedusa una base militare americana come risposta al bombardamento di Tripoli. A Lampedusa non c'erano postazioni militari americane, bensì una stazione civile di orientamento della navigazione.

Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT