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Il Foglio Rassegna Stampa
30.10.2008 Israele verso le elezioni
mentre scade il mandato di Abu Mazen e il problema iraniano resta irrisolto

Testata: Il Foglio
Data: 30 ottobre 2008
Pagina: 3
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: «Doveva scomparire Kadima, ma sta scomparendo la sinistra»
Da Il FOGLIO del 30 ottobre 2008, l'analisi di Emanuele Ottolenghi sul :

A una cerimonia per il decimo anniversario della fondazione del Peres Center for Peace, il presidente israeliano, Shimon Peres, ha annunciato alla gremita platea che la pace con i palestinesi “non è mai stata così vicina”. Naturalmente, tutto dipende dai punti di vista. Anche l’atterraggio della prima missione umana su Marte non è mai stata così vicina – certamente siamo più prossimi a tale epocale passo nella conquista dello spazio di quanto non lo fosse Cristoforo Colombo quando salpò da Palos de la Frontera, senza il quale del resto la base di Cape Canaveral in Florida da cui tante missioni spaziali sono partite non sarebbe forse mai esistita. Il che non ci dice “quanto vicini siamo alla pace”. A giudicare dai sondaggi emersi all’indomani del fallimento dei negoziati per una nuova coalizione in Israele e dell’approssimarsi di nuove elezioni, ci viene il dubbio che la pace di Peres sia appena un po’ più distante di quanto auspichi il vetusto presidente dello stato ebraico. Certo, come era uso dire lo stesso Peres, “i sondaggi sono come il profumo, sono buoni da annusare ma un veleno da bere”. E lui che di bicchieri di cicuta a seggi chiusi ne deve aver bevuti molti, di questo sa bene. Dunque anche se la sinistra israeliana – il portabandiera della pace di Peres – conta nei primi sondaggi emersi soltanto un quarto del sostegno popolare (e dei seggi parlamentari) che aveva quando la nemesi laburista di Peres, Yitzhak Rabin, vinse le elezioni del 1992 e inaugurò la stagione di Oslo, tutto questo in tre mesi può cambiare. Ci sta però che può anche cambiare in peggio e che voto o non voto, il prossimo primo ministro israeliano, a coalizione fatta, si troverà con una gatta da pelare sulla soglia di casa che a confronto il viaggio su Marte è missione compiuta.Con tanto eccitarsi al fenomeno elettorale israeliano e le sue incognite infatti ci si dimentica in maniera un po’ affrettata che a gennaio scade il mandato presidenziale di Abu Mazen. Ora, non abbiamo dubbi sul fatto che la comunità internazionale troverà brillanti escamotage per offrire al mansueto rais palestinese una scusa per stare nel suo ufficio di Ramallah qualche mese (anno?) in più, ma difficilmente ci aspettiamo che tale trucchetto – vi ricordate quando ci inventammo la carica di primo ministro palestinese per non dover più parlare con Arafat? – sia digerito bene dall’altro governo palestinese, quello che sta a Gaza, o dai loro capetti che stan di stanza a Damasco. E a Gaza non sono come all’Onu, che quando si arrabbiano mandano una letterina tutto pepe. Sono gente seria, e una loro protesta non avviene senza il morto. Insomma, un bel pasticcio. Israele nel mezzo di un’elezione, l’America, appena emersa da un’elezione e in transizione tra George W. Bush e il suo successore, Abu Mazen che prudentemente lascerà le chiavi al suo primo ministro (quello che a Gaza non riconoscono), Salam Fayyad, per andare a farsi una vacanza a tempo indefinito nel Golfo, e la faida tra Hamas e Fatah pronta a ripartire. In mezzo a questo pasticcio, già munita di tuta spaziale per il prossimo atterraggio su Marte (“la pace non è mai stata così vicina”) cavalcherà come una valchiria il “primo premier donna” d’Israele, dopo naturalmente il primo premier donna d’Israele che fu Golda Meir, anche se di lei dicevano che era l’unica del suo gabinetto di ministri ad avere le palle. Certo, anche qui ci sono legittimi dubbi. Ce la farà Tzipi Livni a vincere le elezioni? A giudicare dal suo curriculum, i suoi più grandi successi si registrano nell’aver avanzato di carriera salvo gli scarsi risultati, quindi siamo sicuri che possa vincere. Governare il paese invece è un’altra storia. Supponiamo che Livni ce la faccia. E che tutti per mezza giornata si freghino le mani felici del grande risultato per la storia del femminismo – premier donna, presidente della Corte suprema donna e, se Dalia Itzik rimane presidente del Parlamento, allora tre donne a capo dei tre poteri dello stato. Sarà l’8 marzo tutto l’anno insomma. Ma il day after, che succede? Succederà questo: primo, gli americani faranno lo sgambetto a Israele (per non parlare dell’Europa) aprendo un dialogo diretto con Teheran, la quale nel frattempo continuerà imperterrita nei suoi intenti nucleari. Livni non potrà certo ordinare un attacco preventivo a quel punto, visto che comunque gli americani, avendo installato un radar nel Negev manovrato da soldati americani e non israeliani, sapranno benissimo cosa combina l’aviazione israeliana ben prima che lo sappia persino la Livni. Secondo, tutti i ministri degli Esteri europei, il capo della diplomazia di Bruxelles, Javier Solana, e gli inviati presidenziali americani per la pace in medio oriente voleranno in Israele ogni due per tre a incoraggiare la Livni a far la pace, promettendo migliaia di milioni ai palestinesi (a chi non si sa, ma questo è un dettaglio) per garantire, sviluppo, prosperità e felicità. Che gli dirà la signora premier, oltre che gran sorrisi e nobili dichiarazioni d’intenti? Ma se è il teatro che vogliono, allora lì forse gli israeliani ce la faranno a far finta per un poco. E terzo, che la coalizione che la Livni non ha saputo mettere in piedi questa volta e che farà fatica a rappezzare la prossima cadrà come un castello di carte quando arriverà – semmai ci sarà – il momento della verità. Perché a conti fatti, i sognatori e i faccendieri che tengono in vita l’industria del processo di pace in medio oriente non fanno mai i conti con due cose: la realtà della regione, dove la guerra e il radicalismo che l’alimenta sono forze più vitali degli aneliti di pace dei salottieri europei; e l’opinione pubblica israeliana, che a furia di annusare i profumi di Peres, ha sviluppato un fiuto formidabile per l’inghippo.

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