Riprendiamo dall'UNITA' di oggi, 19/10/2008, a pag.4, con il titolo " Allo Yad Vashem: Quell'uomo per noi non ha mosso un dito ", il commento di Umberto De Giovannangeli, sempre molto corretto quando l'argomento sono gli ebrei sterminati.
I RAGAZZI e le ragazze in divisa militare visitano attenti, in silenzio, le sale dello Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto nel cuore della Gerusalemme ebraica. Mi
affianco al gruppo, che si ferma a leggere la didascalia che accompagna la foto di Pio XII. Un ragazzo occhialuto dice alla bionda ragazza in divisa: «Quell’uomo poteva salvare tanti ebrei, ma non ha mosso un dito...». E’ una testimonianza diretta. Che dà conto di un sentire comune che unisce molti dei sopravvissuti dai lager nazisti con le giovani generazioni di Israele: il giudizio negativo sul comportamento di Papa Pio XII. Un sentimento profondamente radicato, tanto da influenzare la stessa diplomazia dello stato ebraico nei confronti della Santa Sede. Israele ambirebbe alla visita ufficiale di Benedetto XVI ma non al prezzo della rimozione di quella didascalia che recita: «Eletto nel 1939, il Papa (Pio XII) mise da parte una lettera contro l’antisemitismo e il razzismo preparata dal suo predecessore. Anche quando i resoconti sulle stragi degli ebrei raggiunsero il Vaticano, non reagì con proteste scritte o verbali. Nel 1942, non si associò alla condanna espressa dagli Alleati per l’uccisione degli ebrei. Quando vennero deportati da Roma ad Auschwitz, Pio XII non intervenne». Una decina di righe: più che una didascalia, quelle righe hanno il contenuto e il tono di una requisitoria. Per Israele, Pio XII resta il «Papa dei silenzi». Silenzi pesanti. Pesanti come la morte. Come pesante è stato il silenzio del governo di Gerusalemme, e della direzione dello Yad Vashem, di fronte alla dichiarata volontà di Papa Ratzinger di avviare il processo di beatificazione di Papa Pacelli. A parlare, in quell’occasione è stato il direttore per gli Affari interreligiosi dell’American Jewish Committee, rabbino David Rosen, che ha invitato il Vaticano a tener conto delle "sensibilità" dei sopravvissuti alla deportazione e a "rinviare" qualsiasi decisione almeno fino all’apertura degli archivi ufficiali, tra cinque anni. Più dure le parole pronunciate dal rabbino capo di Haifa, Shear Yesuv Cohen, in occasione del recente Sinodo dei vescovi: «Crediamo che non dovrebbe essere beatificato o preso a modello, perché ha mancato di salvarci o di levare la sua voce, anche se ha cercato segretamente di aiutare». Affermazioni tanto più significative per il contesto e l’occasione in cui sono state svolte: era la primissima volta che un esponente ebraico veniva invitato al Sinodo dei vescovi.
«Ratzinger lo celebra? Se lo sapevo non venivo al Sinodo. Non siamo contenti dei tentativi nella Chiesa di dimenticare questo triste capitolo», aveva sottolineato il rabbino Cohen. «La verità storica non può essere piegata alle ragioni della diplomazia», dice a l’Unità una fonte autorevole vicina alla direzione dello Yad Vashem. In un Paese che fa della memoria della Shoah un elemento fondante della propria identità nazionale, la beatificazione di Pio XII verrebbe vista come un affronto. Peggio: come un oltraggio alla memoria dei milioni di ebrei sterminati nei lager nazisti. Per questo sarà molto difficile che quella didascalia venga rimossa. Perché Israele non può, non vuole dimenticare i silenzi di un Papa.
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