L'amico italiano degli ayatollah è Romano Prodi, che a Teheran ha incontrato Khamenei e Ahmadinejad
Testata:Il Giornale - L'Opinione Autore: Marco Zucchetti - Marco Mauri Titolo: «Ora il pensionato Prodi gioca a fare l'ayatollah e strizza l'occhio all'Iran - Prodi “riposizionatore” a Teheran»
Prodi in visita in Iran auspica un "riposizionamento" dell'Iran, matace sull'antisemitismo e sul negazionismo del regime e sul suo progetto di cancellare Israele dalla carta geografica. La cronaca de Il GIORNALE
L’Impero Romano in Persia non c’era arrivato. L’ex presidente Romano, invece, ha fatto di Teheran un buen retiro. E pazienza se nei duemila anni che intercorrono tra Augusto e Prodi l’Iran è diventato il nemico numero uno dell’Occidente. Prodi non se n’è accorto. Non c’era. E se c’era, dormiva. Il filo tra l’ex premier e la Repubblica Islamica non si è mai spezzato. Nel ’98 fu il primo capo di governo europeo a visitare l’Iran dopo la rivoluzione del 1979; dieci anni dopo, da capo della task force per l’Africa delle Nazioni Unite, è invece solo una delle tante «vecchie glorie» della politica internazionale incapaci di opporre un saldo rifiuto ai deliri antisemiti del presidente Mahmud Ahmadinejad. Già, perché sono in tanti ad aver provato disagio di fronte al sorriso da gioioso Balanzone che l’ex leader dell’Ulivo ha sfoggiato mentre stringeva calorosamente la mano di Ahmadinejad. Un gesto che replica il criticatissimo incontro bilaterale che i due ebbero due anni fa al Palazzo di Vetro. Un gesto che ieri sia Il Foglio sia Il Riformista hanno aspramente criticato. Perché Prodi - anche se si precipita a precisare che non ricopre più «alcun ruolo nella politica europea e italiana» - non è un semplice pensionato bolognese appassionato di viaggi: a Teheran è stato invitato al meeting sulle «Religioni nel mondo moderno» dall’ex presidente moderato Khatami in quanto suo antico interlocutore. Quindi, non può nascondere il senso di responsabilità nazionale sotto l’angolo del primo tappeto persiano. E deve essere consapevole che ogni suo avvicinamento ad Ahmadinejad reca con sé l’immagine di una parte di Italia che apre al fondamentalismo. Contrapposta a quell’Italia che con Frattini e Berlusconi ha rifiutato di incontrare l’ultraconservatore iraniano al vertice Fao. Eppure Prodi ci ha provato, a piantare dei paletti: «L’Iran operi per la distensione e diventi una società aperta». Di fronte a tanta severità, Ahmadinejad ha preso paura. Così tanta che non fermerà il piano di arricchimento dell’uranio a scopi nucleari ed è tornato ad accusare Israele: «Non ci sarà pace finché il regime sionista occuperà la Palestina. E in Medio Oriente le truppe straniere devono andarsene». Italiani compresi. E Prodi come ha reagito? Con un bello spot, ricordando che Teheran ha bisogno di investimenti stranieri. Perché alzare la voce in casa d’altri non si fa. Ma in casa d’altri, se sono sgraditi, nemmeno ci si va.
E quella deL'OPINIONE
Un “riposizionamento” dell’Iran, in sostanza un ammorbidimento delle sue posizioni per aiutare la distensione nella regione mediorientale. E’ quanto ha auspicato l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi durante una visita di quattro giorni a Teheran, scanditi da lunghi colloqui con i vertici della Repubblica islamica. “Non ho un ruolo di mediatore, e quindi non ho avuto risposte”, ha detto Prodi all’Ansa prima di ripartire la notte scorsa dall’Iran, sottolineando di non avere “alcun ruolo politico in Europa e in Italia”. Ma i rapporti instaurati con i suoi interlocutori durante la permanenza a Palazzo Chigi gli hanno permesso di esprimere l’auspicio di un’apertura di Teheran, anche a vantaggio della sua economia, bisognosa di attirare investimenti stranieri nel settore energetico. Prodi si è recato a Teheran per partecipare ad una conferenza sul dialogo tra civilizzazioni e religioni organizzata da una fondazione dell’ex presidente riformista Mohammad Khatami con la presenza di altri ex leader mondiali, tra i quali l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan. Prodi e Khatami, che potrebbe tornare a candidarsi per le presidenziali del prossimo anno, intrattengono rapporti cordiali dal 1998, da quando cioé l’allora presidente del Consiglio italiano fu il primo capo di governo europeo a visitare l’Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979. Si era allora all’inizio della presidenza Khatami, che tante speranze alimentava per un cambiamento democratico nel Paese e un’apertura internazionale.
L’ultimo decennio non ha mantenuto quelle promesse. Nel 2005 il posto di Khatami è stato preso dall’ultraconservatore Mahmud Ahmadinejad e, dopo gli attacchi terroristici agli Usa dell’11 settembre 2001, la regione ha visto due guerre, in Afghanistan e Iraq. Ma, paradossalmente, proprio questi interventi americani hanno eliminato i nemici più pericolosi per Teheran, i Talebani e Saddam Hussein, e favorito una crescita esponenziale dell’influenza iraniana nell’area. La Repubblica islamica ne è consapevole, ha sottolineato Prodi, e proprio per questo motivo ha invitato i suoi dirigenti - in primis la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei - a svolgere un ruolo responsabile per la pacificazione della regione. “Oggi è un momento di grande movimento nel mondo” ha affermato Prodi, riferendosi tra l’altro alle elezioni negli Usa, all’Iraq, al conflitto israelo-palestinese “e in questo rimescolamento delle carte l’Iran deve trovare il coraggio di riposizionarsi”. Una normalizzazione della situazione nell’area e una soluzione del braccio di ferro sul programma nucleare iraniano andrebbero inoltre a tutto vantaggio degli oltre 70 milioni di iraniani, ha aggiunto Prodi, sottolineando che oggi il Paese ha grande bisogno di investimenti stranieri per sviluppare il suo settore energetico, in particolare nel gas. Oltre a Khamenei e Ahmadinejad, Prodi ha incontrato anche il capo negoziatore sul nucleare, Said Jalili, e il ministro degli Esteri, Manuchehr Mottaki, con il quale si è intrattenuto anche sulla crisi finanziaria mondiale. Nonostante l’esultanza manifestata nei giorni scorsi dalla Guida suprema e dal presidente, che è arrivato a parlare di “fine del capitalismo”, la paura della recessione colpisce anche l’Iran, quarto produttore mondiale di greggio. Il prezzo di un barile di petrolio, sceso ieri intorno ai 70 dollari, è già al di sotto di quello che le autorità di Teheran considerano come il “livello d’allarme” per la loro economia, che dipende per l’80% da queste entrate.
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