Il prof. Gianni Vattimo, già a capo degli odiatori di Israele durante le contestazioni alla presenza dello Stato ebraico alla Fiera del Libro di Torino nel maggio scorso, va in pensione. Una notizia di per sé irrilevante, capita a tutti di andare in pensione, ma per nessuno è un avvenimento che merita pagine su pagine nei quotidiani nazionali. Ma Vattimo è un’eccezione, forse stare a capo di quel manipolo di cretinetti che odiano Israele gli ha dato una aureola particolare di fascino mediatico, si sa, affermare menzogne e castronerie su Israele, specialmente se uno insegna filosofia all’università, equivale ad una buona pubblicità, gratuita per di più. Il nostro era arrivato a lodare quei “ Protocolli dei Savi di Sion “, indicandolo quale lettura utile per capire Israele. Una affermazione che non gli ha portato alcun danno, né di reputazione né di immagine, visti i festeggiamenti che l’Università di Torino gli ha riservato. Su Martin Heidegger, nel suo discorso di commiato, ha detto “ aderì al nazismo, ma fu un modo per dire no a una cultura del dominio”, eliminando qualsiasi ambiguità nei confronti del suo mentore tedesco. Finalmente abbiamo capito alcuni perché di tanti revival negazionisti di questi decenni. Se per rifiutare una qualsiasi “cultura dominante” è lecito aderire a ideologie come quella nazista, allora chiediamoci quali danni ha fatto il prof.Vattimo ai suoi studenti in decine di anni di insegnamento.
Di seguito, dalle pagine di Torino de La REPUBBLICA del 15 ottobre 2008, l'articolo di Vera Schiavazzi che riferisce delle affermazioni di Vattimo:
La cravatta a righe blu e rosa, il gatto Sancho, il caffè della fidata Jasmine, le foto e i ricordi delle persone care. Pare una mattina come tutte le altre, ma invece - almeno simbolicamente - è l´ultima di una lunga vita passata a insegnare («Tu spiegavi e noi capivamo, perfino Schelling e Fichte», come gli ha scritto ieri uno dei suoi allievi, Alessandro Baricco). Il professor Gianni Vattimo è andato in pensione, ma lo ha fatto da star, forse uno degli ultimi docenti della sua generazione a potersi permettere un congedo in grande stile: ragazzi seduti per terra, il Rettore Ezio Pelizzetti, i colleghi filosofi, gli impiegati del dipartimento. «Non vi libererete così facilmente di me», ha scherzato aprendo la sua lezione, e alludendo alle finestre della sua casa che guardano proprio il palazzo del Rettorato. E nelle sue dieci pagine di commiato, ancorché sotto forma rigorosa di lezione di filosofia, Vattimo non ha risparmiato le tesi controverse. Una per tutte, la rilettura dell´adesione di Martin Heidegger, il maestro al quale il filosofo torinese ha dedicato buona parte dei suoi studi, al nazismo nel 1933.
Una teoria destinata a far discutere, anche all´interno dello stesso ateneo torinese, dove non manca chi - come il francese Patrick Nerhot, docente di filosofia del diritto - sta rileggendo lo stesso Heidegger in chiave diametralmente opposta. «L´Occidente industriale - ha premesso Vattimo - si sente portatore dei veri diritti umani, dell´ordine politico giusto, al punto di volerlo imporre con la guerra, dell´autentica civiltà». «Tutto questo - è il passo successivo - Heidegger ci insegna a respingere come sopravvivenza della metafisica, e cioè del dominio, anche con il suo tragico errore del 1933. Un errore che ci appare non perché noi ci sentiamo rappresentanti di quella vera umanità di cui l´Occidente sarebbe il portatore. Solo, corrispondiamo o intendiamo corrispondere a un´altra chiamata storica».
Ad ascoltare l´inventore del "pensiero debole" e le sue tesi c´era ieri tra gli altri Diego Marconi, il filosofo analitico che (con Maurizio Ferraris e Ugo Volli, assenti all´appuntamento) rappresenta oggi il nome più rilevante tra i torinesi. Proprio la filosofia analitica, la storia della filosofia e l´ontologia analitica appaiono per altro come le discipline "di punta" studiate a Torino, quasi una sconfitta della battaglia culturale giocata negli anni dallo stesso Vattimo. Pare insomma che ai maestri che hanno lasciato l´Università per la pensione - non solo Vattimo, ma anche gli storici Nicola Tranfaglia o Massimo Salvadori, per citarne due soltanto - si sia sostituita un´altra generazione di ricercatori e di pensatori.
Ma lui non sembra dolersene, così come non intende abbandonare la scena della politica, anche se non più giocata in prima persona. Così, tra i libri sparsi sul tavolo di casa, al Miller del Paradiso perduto si affianca l´intervista a Ha´aretz dell´intellettuale palestinese Edward Said, «Il mio diritto al ritorno». Ai quadri di Max Pellegrini fanno da contraltare le mille decorazioni disegnate da Cordero, ma anche i fiori secchi e le tovagliette a fiori degne di un salotto gozzaniano. E non importa se negli ultimi anni il suo rapporto con la vita pubblica - dalla rottura con i Democratici di sinistra che non lo ricandidarono a Strasburgo e che lui stesso definì «troppo moderati», fino alle più recenti polemiche contro la presenza di Israele alla Fiera del Libro - è apparso controverso e a tratti sofferto. Ai ragazzi venuti ad ascoltarlo piacciono il linguaggio chiaro, il piglio provocatorio, la storia personale. E forse di Heidegger e dei suoi errori importa poco o nulla
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