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Rassegna Stampa
05.10.2008 Udg intervista Salam Fayyad
ma la realtà palestinese non è quella

Testata:
Autore: Umberto De Giovannageli
Titolo: «L'Anp si fida di Tzipi Livni ma deve fermare le colonie»
Sull' UNITA' di oggi, 05/10/2008, Umberto De Giovannangeli intervista il premier palestinese Salam Fayyad. Da notare alcune sue affermazioni, quali il riferimento allo stato palestinese " compatto territorialmente ". Ci chiediamo come possa affermarlo, tenendo conto che la Cisgiordania non confina con Gaza ! Incredibile che si lamenti poi della presenza dei soldati israeliani in Cisgiordania, se non ci fossero loro  a difendere l'Anp  lui non sarebbe più premier e lì comanderebbe Hamas. Al posto di Udg, questa domanda gliela avremmo fatta chiaramente, anche perchè molte affermazioni di Fayyad prescindono dalla realtà. Ecco l'articolo:
 
«Il processo di pace è a uno snodo cruciale. O fa sostanziali passi in avanti o dovremmo concludere che la conferenza di Annapolis (novembre 2007, ndr.) ha alimentato speranze che si sono trasformate in un ennesimo fallimento. Il tempo non lavora per la pace. Ed è per questo che spero che la signora Livni riesca a dare a Israele un governo stabile e duraturo, in grado di accelerare le trattative. Ciò che temo è che in Israele si avvii ad una campagna elettorale destinata a bloccare per mesi il dialogo». Siamo alla Muqata, quartier generale dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). È qui che incontriamo Salam Fayyad, 58 anni, primo ministro palestinese, trascorsi alla Banca Mondiale, apprezzato a Washington come nelle cancellerie europee. Nel suo recente passato politico c’è anche la costituzione di un partito laico, progressista, «Terza Via», che ha come sua finalità la nascita di uno Stato di diritto in Palestina, che salvaguardi la pluralità in campo politico e religioso, garante del rispetto dei diritti umani e civili. «Sono convinto - afferma - che indipendenza e democrazia siano tra loro strettamente legate».
Signor primo ministro, in Israele la sua omologa in pectore, Tzipi Livni, prova a formare un nuovo esecutivo. Ma la sua strada appare irta di ostacoli.
«La formazione di un governo è un affare interno al Paese che ha di questi problemi: siamo molto gelosi della nostra autonomia per invadere campi altrui. Ma questo non vuol dire che noi palestinesi guardiamo con distacco agli sforzi che la signora Livni sta compiendo».
Fate il tifo per lei ?
«Non si tratta di tifare. Né di nascondere le differenze, sostanziali, tra le nostre posizioni e quelle sostenute dalla signora Livni. Si tratta però di avere consapevolezza che il negoziato di pace è entrato in una fase cruciale e qualsiasi ritardo potrebbe pregiudicarne gli esiti. E va da sé che se Israele dovesse andare ad elezioni anticipate, tutto resterebbe fermo per mesi. E in Medio Oriente, si sa, il tempo non lavora per la pace».
La premier incaricata afferma di essere determinata a raggiungere un compromesso con l’Anp.
«Conosco la signora Livni, e ho imparato ad apprezzarne la competenza e la determinazione. Non dubito dei suoi propositi. So che è una interlocutrice impegnata e onesta intellettualmente. Il che, naturalmente, lo ripete, non significa che sposiamo ogni sua posizione. Tutt’altro. Non posso nascondere che i contenuti del compromesso sono ancora da definire. Non basta evocare il principio di una pace fondata sul principio di due popoli, due Stati. Si tratta di entrare nel merito di cosa intenda Israele per Stato palestinese, verificare la volontà di dar corso alle risoluzioni 242 e 338 dell’Onu, cercare di dar corso ad una pace che contempli assieme al diritto alla sicurezza per Israele, il diritto del popolo palestinese ad un proprio Stato indipendente, compatto territorialmente, con Gerusalemme Est come capitale. È questo l’impegno assunto dal governo da me guidato e dal presidente Abbas. Ma la pace è un "working in progress", e purtroppo questo "cantiere" non sta andando avanti come dovrebbe».
Il primo ministro israeliano dimissionario Ehud Olmert continua a parlare di significativi passi in avanti.
«Mi è difficile condividere l’ottimismo di Olmert. Purtroppo le cose non stanno così. Certo, i colloqui tra le due delegazioni si svolgono in un’atmosfera cordiale, tutti i dossier sono sul tavolo, ma non è l’atmosfera a fare la sostanza. Il dialogo ha bisogno di risultati concreti per rafforzarsi, e questi risultati stentano a realizzarsi: penso alla presenza dei soldati israeliani in Cisgiordania, allo sviluppo degli insediamenti ebraici; penso alla sofferenza della popolazione di Gaza».
Quale atto di apertura si sente di chiedere oggi a Tzipi Livni?
«Porre uno stop deciso alla colonizzazione dei Territori. È questo un passaggio decisivo, il banco di prova di una reale volontà di raggiungere un accordo. La costruzione accelerata delle colonie israeliane rischia di privare di ogni significato i negoziati per un futuro statuto della Palestina. Pace e colonizzazione sono tra loro inconciliabili».
Tra i nodi da sciogliere, uno dei più intricati è quello del diritto al ritorno dei profughi palestinesi del ’48.
«Un diritto sancito da una risoluzione delle Nazioni Unite e come tale va riconosciuto; sta poi al negoziato definire la sua concreta realizzazione».
Israele teme che il "diritto al ritorno" sia utilizzato dai palestinesi per cancellare l’identità ebraica dello Stato d’Israele.
«Su questo punto la nostra posizione è chiara: il diritto al ritorno va inquadrato all’interno della creazione di uno Stato palestinese. Non c’è alcuna minaccia all’identità di Israele, ma nessuno può chiederci di considerare i palestinesi della diaspora come una scoria del passato, come palestinesi di serie b. Il popolo palestinese è uno e uno solo».
È ancora possibile, come auspicato nuovamente dal presidente Usa, il raggiungimento di un accordo di pace fra Israele e Anp entro il 2008?
«Francamente mi pare difficile, molto difficile, ma proprio la consapevolezza di queste difficoltà dovrebbe moltiplicare gli sforzi per rimettere sui giusti binari il negoziato di pace».
È pensabile un accordo di pace che escluda Gerusalemme?
«No, mai, questo è del tutto improponibile. Nessun dirigente palestinese, neanche il più aperto al compromesso, firmerebbe mai un accordo che non contempli Gerusalemme. Gerusalemme può essere, deve essere una città condivisa. Per Gerusalemme non vedo altro futuro che quello di divenire capitale di due Stati».
C’è chi sostiene che il suo governo è a sovranità limitata… Limitata non solo da Israele ma anche da Hamas.
«Sono in molti, e per fini opposti, quelli che operano per delegittimare le istituzioni palestinesi. Per quanto riguarda Hamas, il dialogo è possibile solo a partire dal ritorno alla situazione precedente il golpe di Hamas a Gaza».
Sono in molti a evocare la prospettiva di due Stati palestinesi. È una ipotesi realistica?
«Assolutamente no. Questa prospettiva non esiste né ora né mai. Il colpo di mano militare di Hamas non deve oscurare una verità storica: esiste un unico popolo palestinese e nel futuro c’è spazio per un solo Stato di Palestina».
(ha collaborato Osama Hamdan)
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