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La Stampa Rassegna Stampa
30.09.2008 Alture del Golan, quasi tutta la Cisgiordania, porzioni di Gerusalemme Est
Israele deve cedere questi territori in cambio della pace, sostiene il premier dimissionario Ehud Olmert in un'intervista a Yediot Ahronot

Testata: La Stampa
Data: 30 settembre 2008
Pagina: 15
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Olmert: “Sì al ritiro da Gerusalemme Est”»

Da La STAMPA del 30 settembre 2008:

In questi giorni Gerusalemme assiste alla propria tragedia greca, nota il columnist del New York Times Ethan Bronner. Nell’altalena di capovolgimenti che da mesi tiene il Paese in sospeso, la crisi del governo assomiglia sempre più a un dramma di Eschilo. Come i protagonisti teatrali dell’Atene del V secolo, il premier Ehud Olmert se ne va accompagnato dal colpo di scena. Davanti alla sua residenza gerosolimitana i genitori di Gilad Shalit, rapito a Gaza nel 2006, allestiscono il cenone di Rosh Hashanah, il Capodanno ebraico, per protestare contro la debolezza dell’esecutivo verso Hamas e lui rilancia. «Quello che sto per affermare è qualcosa che nessun leader israeliano ha mai detto», confida nell’intervista di fine anno al Yediot Ahronot. Poi sferra il colpo: «In cambio della pace Israele deve ritirarsi dalle aree più decisive». Ossia, precisa, le alture del Golan, quasi tutta la Cisgiordania, porzioni di Gerusalemme Est. Per l’uomo che i nemici accusano d’equilibrismo è il momento delle decisioni: «Non è più il caso di discutere per 200 metri». La palla passa al successore, difficilissima da giocare.
Ha aspettato l’epilogo per l’autocritica estrema. Un mea culpa globale che arriva fino al ‘78, quando l’allora parlamentare del Likud si oppose alla stretta di mano tra il premier Begin e l’egiziano Sadat, e lo porta oltre il proprio partito. In Israele è sempre stato così: più terra sei disposto a cedere in nome della pace, più a sinistra ti collochi. Il presidente palestinese Abu Mazen, con il quale Olmert ha continuato a incontrarsi nonostante l’avvicendamento alla guida di Kadima, è il primo a rallegrarsene. I due leader si scambiano telefonicamente gli auguri per il Capodanno ebraico e per l’Id el-Fitr, la fine del digiuno di Ramadan. La sorte dell’uno è legata a quella dell’altro: una pace ai supplementari riscatterebbe la carriera del premier dell’onta della corruzione e blinderebbe Abu Mazen dall’assalto che Hamas si prepara a lanciare il 9 gennaio 2009, data di scadenza del mandato presidenziale.
L’addio o il rilancio del sogno sionista? L’anno 5769 comincia con un’alba tragica. La conta dei morti della seconda intifada, circa 6 mila da ambo le parti, e i servizi temono il terzo atto, una nuova ondata di violenze in Cisgiordania. Il risveglio della destra religiosa responsabile delle minacce ai colloqui di pace fino all’attentato allo storico di sinistra Zeev Sternhell. Un ancora-per-poco primo ministro che spariglia le carte. «Olmert ha perso completamente la bussola», commenta Zevulun Orlev, leader del Partito Nazional-Religioso. Le colombe non sono meno tenere con l’ex falco. Per l’ex leader del partito Meretz Yossi Beilin è fuori tempo massimo: «E’ un peccato imperdonabile che la rivelazione avvenga solo adesso, dopo una guerra superflua in Libano e mesi al governo con Avigdor Lieberman, leader della destra radicale Israel Beitenu, impegnato a bloccare ogni spiraglio di pace». Un’eredità pesante che Tzipi Livni, ora alla guida di Kadima, potrebbe rifiutare, smarcandosi dal predecessore e portando a compimento la sua tragedia.

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