Da PANORAMA del 16 agosto 2008:
La nuova crisi internazionale in cui Vladimir Putin mostra che l’impronta egemonica di stampo sovietico è un tratto dominante del suo governo non è buon segno per il conflitto mediorientale. Il comportamento della Russia, incurante degli interessi occidentali, potrebbe avvicinare l’eventuale attacco israeliano alle strutture atomiche iraniane. La possibilità per i russi di porre il veto a nuove sanzioni contro Mahmoud Ahmadinejad attribuisce loro uno spazio di manovra, diciamo pure di ricatto, enorme.
Dopo la crisi georgiana possiamo essere ancor più certi che Putin non rinuncerà facilmente a usare la carta iraniana per dimostrare la sua forza nel pilotare il mondo, e probabilmente non consentirà di colpire con nuove decisive sanzioni Ahmadinejad. Egli potrà così proseguire nella costruzione della bomba atomica, con l’aiuto della Russia. L’ambasciatore russo all’Onu Vitaly Churkin ha appena detto chiaramente che «non ci sono accordi per prossime sanzioni» e, negando l’ovvio, che «l’Iran non ha ricevuto un ultimatum per le risposte e i negoziati sono aperti». Se la Russia impedisce al mondo di agire pacificamente, poiché ogni ipotesi per Israele è migliore di un Iran in grado di distruggerla completamente, questo potrebbe avere serie conseguenze. Sia il primo ministro Ehud Olmert che i ministri Tzipi Livni ed Ehud Barak hanno ripetuto che il problema iraniano è mondiale e che la bomba sciita minaccia tutto l’Occidente, gli Usa e l’Europa, inclusa la Russia. Ma se l’uso di sanzioni decisive dovesse sparire dall’orizzonte, allora Gerusalemme deciderebbe per quello che considera il male minore: attaccare gli impianti di Isfahan, Natanz, Arak e Bushehr. Per l’Iran non è facile difendere le proprie strutture perché le uniche armi antiaeree ancora efficienti di cui dispone sono i vecchi F 14 Tomcat acquistati dagli Usa prima del 1979, anno della rivoluzione khomeinista. I successivi missili russi (Sa 15S) e cinesi non danno altrettanto affidamento. E se l’assenso degli Usa all’attacco è decisivo, e non vi è segno che sia stato dato, Condi Rice in una recente intervista si è mostrata molto comprensiva verso le preoccupazioni di Israele. A Gerusalemme pensano che alla fine l’aiuto non verrebbe a mancare.
Si sa poco sui metodi dell’attacco, ma i piloti israeliani sono in grado di condurre lunghi voli su aerei modificati; compiono esercitazioni frequenti; il numero di aerei necessari è basso; l’aviazione e il Mossad, insieme al primo ministro, spingono per un’azione immediata. Si sa bene, invece, che la parte più complessa è quella della preparazione di sistemi antimissile. È chiaro che la reazione contro Israele verrebbe condotta soprattutto con missili Shahab o con i missili russi in dotazione anche alla Siria e agli hezbollah. Potrebbe essere una reazione da più fronti. Della testata è impossibile oggi prevedere la natura. Ma quello che si può invece arguire è che quell’intervallo, tra 3 e 11 minuti, necessario perché i missili raggiungano Israele è tale da permettere ai sistemi di protezione di entrare in funzione. Esiste un accordo, di cui Ehud Barak avrebbe appena parlato con il segretario alla Difesa Robert Gates secondo il quale, al bisogno, il potente sistema di radar antimissile X band entrerà in funzione per gli israeliani. Intanto sono state compiute esercitazioni comuni che hanno simulato l’entrata in funzione dei sistemi americani assieme a quelli di Israele. Perché il punto è questo: i più importanti non sono i sistemi di attacco, ma quelli che riguardano i radar della difesa: possono cambiare gli esiti di una guerra.
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