L'atomica iraniana minaccerebbe il mondo Davide Frattini intervista il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak
Testata: Corriere della Sera Data: 07 agosto 2008 Pagina: 13 Autore: Davide Frattini Titolo: «L'Iran minaccia Israele e il mondo. Nessuna azione esclusa per fermarlo»
Dal CORRIERE della SERA del 7 agosto 2008:
TEL AVIV — Mettetegli davanti una mappa del Medio Oriente — dice chi lo conosce bene — e vedrete che invece di piazzare bandierine sugli Stati nemici, preferisce fare un cerchio attorno alla testa di Hassan Nasrallah e Khaled Meshal. Il giovane comandante delle forze speciali è rimasto lo stratega dei blitz. Ehud Barak è ministro della Difesa dal giugno del 2007, in questi tredici mesi i «vicini» — come li chiama lui — hanno subito qualche colpo misterioso, tra Siria e Iran. Operazioni che Israele non si è mai attribuita e che il soldato più decorato nella storia del Paese non vuole commentare. Dice solo: «Dobbiamo sempre trovare la via migliore per ottenere il massimo risultato, con il minimo danno collaterale. Ma se dovessimo essere sfidati, stiamo preparando l'esercito a combattere fino a una vittoria inequivocabile ». La vittoria «equivocabile» è quella su cui gli israeliani si lacerano ancora, guerra del Libano 2006. Barak allora era un ex primo ministro in pensione, che guardava la politica dal trentaduesimo piano delle torri Akirov, dove vive in un attico acquistato con gli investimenti fatti da privato, e preparava il ritorno a un altro grattacielo, la Kirya, il Pentagono di Tel Aviv. Nell'ufficio, l'odore dei sigari cubani è forte. Una passione che il leader laburista ha in comune con il socio di coalizione, Ehud Olmert. Preferisce non parlare di politica interna e delle dimissioni annunciate dal premier. Ammette solo di essere pronto a far parte di un nuovo governo: «Il Paese ha bisogno di unità, le sfide sono immense, per la sicurezza e sul piano diplomatico. Ci aspettano opportunità e minacce. Due anni fa, abbiamo visto il prezzo pagato per l'inesperienza ai vertici e siamo dotati di abbastanza buonsenso per evitarlo in futuro. Da questa regione, arriva la profezia che un giorno l'agnello e il leone giaceranno insieme: finché gli agnelli devono essere periodicamente rimpiazzati, preferiamo essere il leone». Gli americani hanno definito inaccettabile la risposta data dall'Iran sul congelamento del programma atomico. «Il messaggio di Teheran dimostra che il regime è determinato a sfidare tutto il mondo, a ingannare e rinviare. Il loro obiettivo è ottenere il nucleare militare, pensarla diversamente è un'illusione. L'Iran con l'atomica è una minaccia all'ordine mondiale. È il momento per agire, con le sanzioni, non per parlare. Le sanzioni economiche e finanziarie devono essere rinforzate, accelerate. Gli sforzi devono includere la Russia, la Cina e l'India. E in ogni caso dobbiamo lasciare qualunque opzione aperta». Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano, ha definito un «disastro», un eventuale attacco militare israeliano contro l'Iran. «Adesso c'è ancora tempo perché le sanzioni siano efficaci, ma ripeto — e lo dico con convinzione: il mondo e Israele devono lasciare qualunque opzione aperta. Il disastro sarebbe un Iran dotato di armi nucleari». Le multinazionali continuano a condurre affari con l'Iran. «Con la globalizzazione, è difficile per i governi imporre le decisioni alle aziende. So che la Fiat ricomincerà a produrre auto in Iran. È sbagliato. È nell'interesse delle imprese un ordine mondiale stabile e che l'economia internazionale resti forte». Amos Yadlin, capo dell'intelligence militare, sostiene che gli ayatollah stiano sviluppando missili in grado di colpire l'Europa. «Gli sforzi del programma balistico puntano a un raggio d'azione che va ben oltre Israele. Nei prossimi anni, potranno raggiungere tutti i protagonisti di questi negoziati sul nucleare, a eccezione degli Stati Uniti». Come giudica l'operato delle truppe Unifil, nel sud del Libano? «I caschi blu hanno un certo impatto stabilizzante e dimostrano l'impegno dei Paesi partecipanti nel voler aiutare una nazione in difficoltà. Detto questo, la risoluzione 1701 (approvata dalle Nazioni Unite alla fine della guerra, ndr) non funziona ed è violata in continuazione da Hezbollah, Siria e Iran. Dalla fine della guerra, il movimento sciita ha triplicato il numero di razzi accumulati. I soldati e i comandanti sul campo provano a fare del loro meglio, ma i miliziani di Hezbollah si muovono con abiti civili, scavano bunker tra le case». Andrebbero cambiate le regole d'ingaggio? «Le truppe Onu dovrebbero essere più determinate a entrare in azione, basandosi sulle informazioni che di certo possiedono. Gli Hezbollah provano a intimidirli e si genera un meccanismo minaccia-protezione». Il governo israeliano ha siglato una tregua con Hamas. È l'ammissione che la strategia dell'embargo, politico ed economico, è fallita? «Al contrario. Hamas ha chiesto il cessate il fuoco sotto la pressione dell'embargo e delle operazioni militari contro i lanci di razzi Qassam. Noi non negoziamo con Hamas, stiamo solo trattando per il rilascio del soldato rapito (il caporale Gilad Shalit, ndr). E non negozieremo con Hamas, fino a quando non accetteranno le richieste del Quartetto: riconoscimento di Israele e degli accordi firmati in passato, rinuncia alla violenza. Insomma, quando Hamas smetterà di essere Hamas». Lei è accusato di non credere abbastanza nei negoziati con Abu Mazen, presidente palestinese, e di non fare abbastanza per rafforzarlo, come rimuovere i posti di blocco. «Da primo ministro, sono stato il leader israeliano che è andato più lontano nell'offerta fatta ai palestinesi. Ho ritirato tutte le truppe dalla Cisgiordania e in cambio un'ondata di attentati suicidi ha colpito le nostre città. È ancora troppo presto per lasciare il controllo completo alle forze dell'Autorità. Hamas non può conquistare la Cisgiordania come ha fatto a Gaza solo perché i nostri soldati sono ancora là».
Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante