No, il Mossad non c'entra con la morte della cantante Suzanne Tamin, uccisa e sfigurata a Dubai
Testata: La Stampa Data: 31 luglio 2008 Pagina: 15 Autore: Francesca Paci Titolo: «Uccisa e sfigurata la diva di Beirut»
Riportiamo la cronaca di Francesca Paci sulla morte della cantante libanese Suzanne Tamin, segnalando l'assurda domanda finale "E’ il giallo dell'estate araba: c’entrerà in qualche modo il Mossad?"
Probabilmente, la giornalista voleva sottolineare il peso degli stereotipi nell'informazione araba, dato che non vi è nessun motivo per credere a un coinvolgimento del servizio segreto israeliano.
Sarebbe stata opportuna, in questo caso, una maggiore chiarezza nell'evidenziare questo intento:
Il giallo dell’estate, titola il quotidiano di Beirut «Daily Star». L’assassinio della popolare cantante libanese Suzanne Tamim, accoltellata selvaggiamente nel suo appartamento a Dubai, rimbalza sui giornali del Cairo, Damasco, Amman, assai più interessati alla cronaca nera che alle prove di dialogo tra Damasco e Gerusalemme o alle dimissioni del premier israeliano Ehud Olmert. La conferma del capo della polizia di Dubai, Dahi Khalfan, sigilla la leggenda della bella e spregiudicata trentunenne nota per la sua voce ma soprattutto per il carosello di amanti, droghe, tribunali: «E’ lei», dice il generale Khalfan. Gli agenti, avvertiti da un parente della diva che vive a Sharjah, l’emirato compreso tra Dubai e Umm al-Quwain, sono saliti in cima al lussuoso edificio Burj al Remal, nel quartiere di Jumeirah, lunedì sera intorno alle 20. La donna era morta da diverse ore, il corpo pugnalato in varie parti, il volto completamente sfigurato da un taglierino. Suzanne Tamim viveva da otto mesi nella capitale economica degli Emirati Arabi, dove negli anni passati si era esibita per il pubblico internazionale del Regent Palace Hotel e del Jumeirah Beach Hotel. Da tempo però, aveva abbandonato il palcoscenico, provata dal lungo e tormentato divorzio con il secondo marito, il famoso produttore Adel Matouk. Proprio Matouk, secondo i fans scatenati sui blog, sarebbe in cima alla lista dei sospettati insieme al padre della cantante, in perenne conflitto con la figlia. A corto di notizie sui suoi ultimi mesi, i giornali arabi si affannano a ricostruire la breve vita e soprattutto le ultime ore della reginetta della canzone araba, incoronata, appena diciannovenne, dal prestigioso concorso canoro nazionale Studio al-Fann, una specie di Festival di Sanremo mediorientale. Nel 2002, al tramonto del breve matrimonio con Ali Muzannar, Suzanne incontra Matouk, amore a prima vista divampato durante la cena organizzata dall’impresario Simone Asmar, direttore di Studio Al Fan e grande amico della donna. Simone chiede al produttore di prendersi cura di lei, umanamente e professionalmente. La parola di un gentiluomo per gli occhi magnetici della fanciulla. Adel Matouk rispetta in pieno la seconda parte promessa: stipula un contratto quindicennale con la star e ne rilancia la carriera attraverso la sua casa discografica, l’Arab-European Production. Tempo pochi mesi e nelle discoteche imperversa il secondo e ultimo album della Tamim, Saken Albi. Il sodalizio privato tra i novelli sposi invece, funziona assai meno. Liti, abbandoni plateali, rumors di tradimenti reciproci e ricatti. Dopo neppure un anno Suzanne, pendolare tra Beirut e Parigi, comincia a parlare di divorzio. Sostiene che il marito voglia farle abbandonare la musica per chiuderla in casa, casalinga tardiva. Lui la denuncia per furto e vince la battaglia, il tribunale proibisce a Suzanne di lasciare il Libano. Le tracce della bella cantante cominciano a dissolversi. I media dimenticano, i giudici no. La corte suprema la condanna in contumacia a due anni di prigione per aver rubato 230 mila dollari all’assicurazione dell’ex marito Adel Matouk. Lei replica che la loro unione non è valida, che secondo la legge il primo matrimonio con Ali Muzannar non è mai stato annullato. Lui l’accusa di nuovo: Suzanne avrebbe tentato di farlo uccidere nel 2005, approfittando dell’ondata di attentati della primavera calda di Beirut. Invece muore lei. Chi ha ammazzato Suzanne Tamim, la Kate Moss libanese, icona della femminità araba che si ribella alle briglie dell’islam radicale? Meteora intermittentente, Suzanne appare, scompare, riappare. Specialista nel seminare i paparazzi, passerà alla storia per l’istantanea della sua morte. L’ultima volta da viva in televisione risale al 2006, il lancio della canzone «Lovers», composta in occasione del primo anniversario della morte dell’ex premier libanese Rafik Hariri. Poi più nulla, una parte importante nel musical di Elias Rahbani, «Ghadat Al Kamilia», il trasferimento al Cairo, l’oblio. Fino a lunedì pomeriggio. Chi è stato a infierire sul volto che ha fatto sognare almeno una generazione di giovani arabi? Il quotidiano anglo-saudita accenna a un uomo egiziano che pare vivesse con Suzanne nell’appartamento di Dubai. L’agenzia Elaph parla di un misterioso iracheno con cui Suzanne si accompagnava. Gli inquirenti lavorano sulla testimonianza di una donna delle pulizie che tre giorni fa avrebbe visto la cantante rincasare con degli amici e, successivamente, avrebbe udito «strani» rumori. «Era una tipa complicata», commenta un amico al cronista di «Gulf News». Nella casa di Aisha Bakkar la famiglia si chiude nel silenzio e sbarra la porta alla stampa. «Siamo sotto shock» spiega al sito internet «Beirut-online» lo zio Mahmoud Tamim, marito della celebre attrice siriana Sabah Jazaeri. E’ il giallo dell'estate araba: c’entrerà in qualche modo il Mossad?
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