Gli eroi paraolimpici di Israele a Pechino "vanno anche a rivendicare la vittoria sul terrorismo": un articolo di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 30 luglio 2008 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Le Paraolimpiadi d’Israele, corpo pieno di schegge e noci d’acciaio»
Da Il FOGLIO del 30 luglio 2008
Roma. Oren Almog aveva dodici anni quando una terrorista suicida si fece esplodere al ristorante Maxim di Haifa, uccidendo 21 israeliani compresi 5 membri della sua famiglia. “L’ultima immagine che ricordo è quella di un medico che mi ha messo un tubo in bocca, dopo un mese mi sono svegliato cieco”. Prima dell’attentato, Oren era il più giovane israeliano insignito della cintura nera di karate. E’ stato Avi Mizrachi dell’associazione Etgarim, fondata 15 anni fa dall’invalido della guerra del Kippur Yoel Sharon, a convincerlo a tornare a fare sport, ma stavolta la vela. Oren dice di ispirarsi a Dror Cohen, il velista paraplegico che ha vinto la medaglia d’oro alle Paraolimpiadi di Atene 2004. I veri paladini dello sport in Israele sono i paraolimpici. Sono meno mediatizzati dei loro colleghi “normali”, ma quando trionfano esprimono il perché d’Israele, il paese con la più alta concentrazione di invalidi di guerra o per le ferite riportate in attentati terroristici. Il dieci per cento dell’intera popolazione soffre di disabilità. A Pechino anche quest’anno ci saranno gli “eroi paraolimpici”, come li chiama il Jerusalem Post. Non sono “sportivi”, sono il meglio dello spirito israeliano. Il tiratore Doron Shaziri perse una gamba su una mina nel 1987 ed è passata dall’esercito anche la nuotatrice Karen Leibovitch. Oltre la metà degli atleti paraolimpici sono reduci di Tsahal. Molti sono immigrati. Il cestista Tal Brody viene dal New Jersey, mentre è russo il campione di decathlon Alex Averbukh. Alcune delle loro storie risalgono al massacro di Monaco ’72, quando un commando di terroristi palestinesi uccise undici atleti israeliani. Come Michal Shahar, perse il padre Kahat in quella strage. Le loro avventure hanno ispirato la riabilitazione degli scampati al terrorismo. Come Asael Shabo, sei anni fa gli uccisero la famiglia in un’esecuzione sommaria presso Nablus. Asael è tornato in Israele sulle proprie gambe, una delle quali artificiale. Aveva sempre rifiutato di indossare protesi, preferendo le grucce o saltellando su una gamba sola. E’ stato Shlomo Nimrod, un invalido di guerra che indossa una protesi simile a quella dell’atleta Oscar Pistorius, a convincere Asael a farsene preparare una simile. Il generale Doron Almog è il paladino dei disabili. Ha preso parte alle più grandi imprese militari, dalla liberazione di ostaggi a Entebbe al trasporto aereo di seimila ebrei dall’Etiopia. Suo figlio Eran non parla, mangia cibo per bambini ed è autistico. Doron ha fondato un’organizzazione, Aleh, che fornisce cure mediche e riabilitative ad alto livello a 500 bambini disabili. Ha anche pensato di costruire un villaggio nel Negev per dare una casa a 200 adulti disabili. “A Entebbe era possibile liberare gli ostaggi”, ha detto Doron. “Ma per Eran non esiste operazione che li renda liberi. Tutto quello che si può fare è dar loro un futuro migliore”. Gli scampati al terrorismo passano dal Centro di riabilitazione Lowenstein. Ilona voleva fare l’indossatrice, ma le hanno dovuto insegnare nuovamente a parlare perché quella sera era in discoteca e ci sono voluti 22 interventi di chirurgia per riavere un viso. Maya ha un chiodo in testa perché mangiava in pizzeria, Ronit ha noci di metallo perché ha preso il bus, Maia ha perso un occhio e ha frammenti nel cranio perché sedeva in un caffé, Emma ha un chiodo nell’addome e il corpo di Paulina è pieno di pezzi di ferro. Un tempo era una danzatrice, passo dopo passo è tornata a camminare. Medici, psicologi, infermieri, volontari e familiari. E poi scuole, ristoranti, sinagoghe, strade e case. Israele è una meravigliosa gigantesca ferita. A Pechino i suoi atleti vanno anche a rivendicare la vittoria sul terrorismo.
Per inviare una e-mail alla redazione del Foglio cliccare sul link sottostante lettere@ilfoglio.it