L'insegnamento dell'odio e il reclutamento dei terroristi un'analisi di Federico Steinhaus
Testata: Informazione Corretta Data: 14 luglio 2008 Pagina: 1 Autore: Federico Steinhaus Titolo: «L'insegnamento dell'odio e il reclutamento dei terroristi»
Un giovane musulmano inglese della terza generazione, Maajid Nawaz, ha raccontato la sua storia personale al Washington Institute for Near East Policy.
A causa di alcune ingiustizie subite egli non si trovava a proprio agio con l’identità inglese e fu avvicinato da alcuni estremisti del gruppo Hizb-ut-Tahrir, al quale aderì e del quale divenne propagandista. Durante un periodo di carcerazione in Egitto, però, egli ebbe modo di confrontare le interpretazioni radicali del Corano con quelle tradizionali e di rilevarne le incongruenze. In particolare egli non trovò traccia della pretesa di fondare un Califfato mondiale dopo aver cancellato il “cancro” di Israele e dell’occidente. L’assistenza di Amnesty International lo convinse poi dell’esistenza anche di “occidentali buoni”.
Nel 2007 egli si staccò dal gruppo estremista accusandolo di sfruttare motivi reali di malcontento – il degrado sociale, la mancata integrazione – per alimentare l’odio contro l’occidente. Ora egli, con altri radicali pentiti, ha fondato una associazione (Quilliam Foundation) che accusa gli estremisti islamici di abusare della religione per finalità politiche ed apre un dialogo con quanti forse possono essere convinti a dissociarsi a loro volta.
Perché una analisi politica degli avvenimenti più o meno recenti comincia con un caso personale? Per il semplice motivo che il meccanismo di arruolamento ed indottrinamento segue spesso proprio questi percorsi, impadronendosi delle emotività delle vittime designate per piegarle al male ed all’odio. Ma è anche seguendo a ritroso questo meccanismo perverso che, talvolta, esso può venire rivelato e smontato.
A Parigi si apre un vertice singolare, per mezzo del quale Sarkozy vuole costruire una realtà politico-economica innovativa su scala regionale. Gli Stati rivieraschi del Mediterraneo presentano profonde diversità dalla sponda nord a quella sud e ad est. Alcuni hanno già dei legami forti che in parte risalgono all’epoca coloniale, altri ambiscono a posizioni di predominio, altri ancora sono agnelli sacrificali (pensiamo al Libano) per antonomasia. Quale potrebbe essere il minimo comune denominatore per tutti costoro?
C’è chi spera di poter incassare risultati clamorosi – un incontro fra Assad ed Olmert, un riallineamento della Siria in Libano, l’isolamento delle forze eversive ed estremiste di Hezbollah e Hamas – ma il fallimento sostanziale del vertice è l’opzione più realistica. Strette di mano ed abbracci sono un regalo ai fotografi ma non costituiscono impegni politici.
A proposito di Hamas va evidenziato in questo contesto che si sta acuendo lo scontro con le Brigate Al Aqsa, braccio armato del Fatah di Abu Mazen, ma anche che Hamas sta dimostrando di essere padrone della situazione nella Striscia di Gaza. La tregua con Israele regge proprio perché Hamas impedisce anche con la forza che altri gruppi radicali
la violino. Queste due constatazioni fanno presumere che Hamas si stia preparando a prendere il potere anche in Cisgiordania, scalzando il debole governo dell’Autorità Palestinese; da questa lotta per il predominio potrebbe anche scaturire una spinta che acceleri il processo di pace con Israele, ma come al solito in questo panorama si confondono il realismo delle analisi ed il wishful thinking che vorrebbe trasferire nella politologia i nostri desideri. Lo stesso ragionamento vale al nord per Hezbollah, che dopo aver assediato il governo libanese ed impedito per mesi l’elezione di un presidente ora tratta direttamente con Israele lo scambio di criminali incarcerati in cambio di cadaveri (o pezzi di cadaveri, come vanta Nasrallah).
Spostiamo ora brevemente la nostra attenzione sull’Autorità Palestinese, il cui presidente ha abbracciato Olmert a Parigi.
Il terrorista Samir Quntar, che ha ucciso una bambina di 4 anni spaccandole la testa col calcio del fucile dopo averne ucciso il padre (e che potrebbe essere oggetto dello scambio di prigionieri con Hezbollah) , è glorificato come un eroe dai media palestinesi e da esponenti del governo; lo stesso è sempre avvenuto ed avviene ancora con altri terroristi che hanno ucciso decine di civili raccolti in preghiera, o seduti in pizzeria, o sorpresi a divertirsi in discoteca. Attraverso questa percezione del “martirio” l’Autorità Palestinese veicola anche la manipolazione della storia biblica di Israele, il legame storico e religioso del popolo ebraico con Israele, la stessa immagine degli ebrei in generale, rappresentati come personificazione del Male. La scuola ed i media da molti anni ripetono i medesimi slogan che oramai fanno parte dell’immaginario collettivo della gioventù palestinese. Un solo esempio, da una intervista al viceministro dell’educazione religiosa Saleh Riqab: “Il fine del movimento sionista è di costituire uno stato in Palestina che diverrebbe la base per governare il mondo intero. Le altre finalità del sionismo sono la distruzione delle religioni alle quali si oppone, in particolare l’Islam; la corruzione dei valori e della moralità; la diffusione della permissività e del sesso; la promozione del declino morale”(14.5.2008, sessantesimo anniversario di Israele).
I siti memri.org e pmw.org.il documentano con abbondanza di citazioni e riferimenti quelli che non sono “incidenti di percorso” e gaffes di persone prive di responsabilità politiche religiose od educative, ma una precisa scelta politica finalizzata a delegittimare lo stato d’Israele. Forse, come in questi giorni affermano Olmert ed Abu Mazen, la pace non è mai stata così vicina – speriamolo! – ma certamente il trasferimento del testo di un auspicato trattato diplomatico nei comportamenti e nella cultura di un popolo lo è molto meno.