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Il Foglio Rassegna Stampa
22.05.2008 Il Libano nelle mani di Hezbollah
l'analisi di Carlo Panella sulla "tregua" mediata dalla Lega araba

Testata: Il Foglio
Data: 22 maggio 2008
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella
Titolo: «La “tregua” siglata dalla Lega araba consegna il Libano a Hezbollah»
Da Il FOGLIO del 22 maggio 2008

Roma. Le diplomazie di mezzo mondo festeggiano l’accordo di Doha per la stabilizzazione del Libano, ma in realtà l’intesa segna la vittoria di Hezbollah e pone le basi perché l’intero Paese dei cedri diventi una nuova grande Gaza sotto influenza iraniana. Il successo militare del Partito di Dio a Beirut si è così tradotto in una vittoria politica nelle trattative intavolate con il fronte antisiriano che si riconosce nel governo di Fouad Siniora. Il tentativo di Saad Hariri di ottenere garanzie sul disarmo di Hezbollah è fallito. Hezbollah si limita a fornire un’assicurazione verbale sul “divieto di ricorso alle armi”. Ali Fayyad, capo dell’unità strategica di Hezbollah, ha detto: “Sono contento che la coalizione del 14 marzo abbia accettato la condivisione del potere. Nonostante da oggi si apra una nuova stagione politica, Hezbollah rivendica il pieno riconoscimento del suo ruolo di gruppo armato in lotta contro l’aggressore israeliano”. Roma. La piena vittoria militare di Hezbollah nel braccio di ferro di dieci giorni fa a Beirut si è tradotta ieri in una vittoria politica ai punti nelle trattative intavolate a Doha con il fronte antisiriano che si riconosce nel governo del premier Fouad Siniora. I punti dell’accordo non lasciano adito a dubbi. Il tentativo di Saad Hariri – figlio di Rafiq, l’ex premier ucciso a Beirut nel 2005 – di ottenere garanzie sul disarmo di Hezbollah al di fuori del Libano meridionale è pienamente fallito. Hezbollah, che ha dimostrato di poter occupare tutta Beirut in meno di due ore, non disarmerà né nella capitale né nella Bekaa né a Tripoli. Si limita a fornire un’assicurazione verbale sulla sua accettazione del “divieto di ricorso alle armi e alla violenza” per ottenere risultati politici e sul suo riconoscimento “del monopolio dello stato sulla sicurezza e l’attività militare”. Parole, soltanto parole di pura forma. La sostanza rimane immutata: l’esercito parallelo di Hezbollah continuerà a radicarsi in tutto il Libano, lo strategico impianto parallelo di comunicazioni di Hezbollah – origine dell’ultima crisi – continuerà a essere impiantato. L’ha confermato Ali Fayyad, capo dell’unità strategica di Hezbollah: “Sono contento che la coalizione del 14 marzo abbia accettato la condivisione del potere nel futuro governo. Nonostante da oggi si apra una nuova stagione politica, Hezbollah rivendica il pieno riconoscimento del suo ruolo di gruppo armato in lotta contro l’aggressore israeliano”. Quando e se Hezbollah deciderà di dispiegare il suo formidabile volume di fuoco, magari impadronendosi di Beirut come ha appena fatto, lo potrà fare. Gli accordi istituzionali siglati rispecchiano il riconoscimento della supremazia militare di Hezbollah. Alla presidenza della Repubblica sarà infatti eletto il generale Michel Suleiman, comandante delle Forze armate libanesi. E’ stato boicottato da Hezbollah per dieci mesi quale candidato di Fouad Siniora e delle forze antisiriane. Ora viene accettato perché ha fatto il passo che Hezbollah chiedeva. Ha disobbedito agli ordini del premier – che l’ha infatti denunciato pubblicamente – di sgomberare i reparti di Hezbollah dal centro di Beirut, ha dichiarato che il Partito di Dio aveva ragione e ha abusato del suo potere, ordinando che venisse riattivata la rete telefonica illegale che Siniora aveva interrotto. Accettata la catena di comando di Hassan Nasrallah, dopo essersi insubordinato a quella legittima di Siniora, può ora diventare presidente della Repubblica. I margini della sua autonomia saranno decisi da Hezbollah, che ha conseguito un successo pieno anche nella trattativa sul nuovo governo. I ministri della maggioranza antisiriana saranno sedici, undici quelli di Hezbollah e tre saranno gli indipendenti nominati da Michel Suleiman, con criteri che è facile prevedere. Di fatto Hezbollah ha ottenuto l’obiettivo prefissato due anni fa, quando ha accerchiato militarmente il palazzo del governo perché pretendeva di godere di un diritto di veto. Il commento di Amr Moussa, segretario della Lega araba, è a tono con questi risultati: “Abbiamo dimostrato che la storica formula libanese del né vincitori né vinti è l’unica che possa condurre in un porto sicuro”. Questo è vero sotto il profilo formale, ma non dal punto di vista sostanziale. In questi ultimi due anni di crisi si è verificato che né i sunniti di Saad Hariri né i drusi di Walid Jumblatt né i cristiani di Amin Gemayel hanno intenzione di riarmare le proprie milizie. Hanno anche dimostrato che Hezbollah non rispetta le risoluzioni dell’Onu di disarmare e che addirittura sta dotandosi di armamenti più moderni, di missili a più lunga gittata. L’esercito libanese – cui la comunità internazionale ha delegato il compito di disarmare Hezbollah – non ha fatto nulla al riguardo, anzi, e quando è stato mandato a contrastarlo si è schierato dalla sua parte. Unifil, infine, ha egregiamente svolto la sua funzione soltanto nei primi giorni del suo impiego, quando ha sigillato il cessate il fuoco tra le forze israeliane e quelle libanesi. Poi, nei successivi venti mesi, ha atteso che l’esercito libanese – col suo sostegno – disarmasse Hezbollah, impegno che Michel Suleiman si è ben guardato dal concretizzare. A Doha, dunque, è stata siglata una classica “hudna”, una tregua islamica, a tutto vantaggio del più forte sul terreno. Non è stato fatto alcun passo avanti per chiudere la crisi libanese, la si è cristallizzata – tipico, disastroso vizio della Lega araba – nei rapporti di forza esistenti sul terreno delle armi. Da oggi Hezbollah tiene banco in Libano

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