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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.05.2008 Hezbollah come il fascismo
la denuncia dei giornalisti libanesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 maggio 2008
Pagina: 16
Autore: Lorenzo Cremonesi - Maurizio Caprara
Titolo: «La morsa di Hezbollah sui media - Diplomazia mondiale a tele-colloquio Frattini: «Le regole d'ingaggio restano»»
Dal CORRIERE della SERA del 13 maggio 2008 una corrispondenza  di Lorenzo Cremonesi dal Libano:

BEIRUT — I giornalisti libanesi guardano ai tempi bui della democrazia italiana quando vogliono far capire le loro paure. «Da voi negli anni Venti una delle prime mosse della dittatura fascista al potere fu attaccare i giornalisti e zittire i media. Proprio come fa da noi oggi l'Hezbollah. Ci minacciano, uccidono, censurano le voci della libertà, bruciano quotidiani e televisioni scomodi», dichiara esasperato Nadim Munla, 56 anni, da 11 mesi direttore di Future News Tv. Parole rese ancora più drammatiche dal persistere delle tensioni: ieri gli scontri armati sono continuati nella regione di Tripoli e a partire da questa mattina alle 6 l'esercito promette di impiegare la forza per imporre il cessate il fuoco.
Da venerdì Nadim non va in ufficio, evita di andare ai sit-in di protesta, vive come un animale braccato. Esattamente da quando per telefono lo hanno informato che un gruppo di miliziani armati dell'Hezbollah su cinque gipponi aveva fatto irruzione negli studi della sua tv per tagliare i cavi in fibre ottiche e andarsene meno di mezz'ora dopo portando via alcuni computer e materiale tecnico. Il motivo?
Future News è il fiore all'occhiello del gruppo editoriale voluto 11 anni fa dal leader sunnita Rafiq Hariri, assassinato nel febbraio 2005 e oggi condotto dal giovane figlio Saad, che, assieme al druso Walid Jumblatt, a larga parte dei partiti cristiani e ai sostenitori del premier Fouad Siniora, fa fronte unito contro il blocco sciita legato a Iran e Siria.
Una rapida visita agli studi supermoderni dell'emittente rivela l'entità del danno. E sembrano poca cosa le manifestazioni dei circa 350 giornalisti del gruppo Future oltre a un altro paio di centinaia di colleghi, per lo più dipendenti di media del campo cristiano. Nelle sale illuminate a led, equipaggiate con il meglio dell'ultima tecnologia, mostrano il «lavoro da specialisti» degli incursori. «È probabile che i terroristi avessero con loro qualche tecnico di Al-Manar,
l'emittente tv di Hezbollah, o magari qualche esperto mandato da Damasco e Teheran. Hanno fatto un lavoro da ingegneri, un vero boicottaggio scientifico», dicono i giornalisti. Quelle stessa mattina sono stati bruciati gli archivi del gruppo, la sede del loro quotidiano
Al-Mustaqbal (Il Futuro, 15.000 copie di tiratura), della radio Al Sharq (Oriente) e sono state fatte telefonate minatorie ai loro direttori. In parallelo venivano devastati i locali di una piccola radio armena e minacciati alcuni responsabili delle emittenti cristiane, tra cui Pierre Daher, direttore di Lbc, la più diffusa tv privata. Conta tra i suoi collaboratori quella stessa May Chidiac nota in tutto il mondo per il coraggio dimostrato dopo l'attentato subito il 25 settembre 2005, quando perse una gamba e un braccio nell'esplosione della sua auto ma pochi mesi dopo scelse di continuare il suo lavoro. Tra i censurati c'è anche la tv pan-araba
Al Arabiya.
Che sia la fine del miracolo libanese? Della caratteristica che lo rendeva unico: piccolo, violento, lacerato da faide interne, preda di vicini molto più potenti eppure con una libertà intellettuale e una pluralità sconosciute in Medio Oriente? Al quotidiano cristiano
L'Orient Le Jour molti lo temono e chiedono il sostegno dell'Occidente. Dice Nadim Munla: «C'è una drammatica linea rossa che unisce gli attentati contro Hariri, contro l'intellettuale Samir Kassir che guidò la Primavera dei Cedri tre anni fa, contro il direttore del quotidiano Al Nahar,
Jebran Tueni, nel dicembre 2005. E oggi ai danni del gruppo
Future. Dietro c'è la stessa mano totalitaria, pronta ad assassinare chi non è disposto a funzionare come suo portavoce. Non credete a chi sostiene che in Libano sta tornando la calma. Qui è in atto un golpe strisciante: si vuole uccidere la voce del Libano libero».

Un articolo di Maurizio Caprara sulla posizione della comunità internazionale e dell'Italia:

ROMA — In vista della visita di domani nella quale una delegazione della Lega araba ascolterà a Beirut le parti in lotta, un'esortazione a porre fine alle violenze è stata rivolta ai libanesi da un pezzo consistente della comunità internazionale. L'invito a far tacere le armi, ritirare le milizie dalle strade, sostenere le istituzioni, far riaprire l'aeroporto della capitale è stato rivolto ieri da Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Spagna, Arabia Saudita, Giordania, Qatar, Kuwait e dalla stessa organizzazione che riunisce 21 Stati arabi più l'Autorità palestinese.
La linea è stata concordata in una telefonata collettiva tra ministri degli Esteri, una conference call, voluta dal segretario di Stato americano Condoleezza Rice. Per l'Italia, ha partecipato Franco Frattini. In collegamento, tra qualche difficoltà tecnica, anche il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon. La riunione virtuale ha chiuso una giornata nella quale Frattini ha utilizzato l'ultima fiammata divampata in Libano per derubricare nel campo delle ipotesi da riservare al futuro un obiettivo dichiarato da Silvio Berlusconi in campagna elettorale: le modifiche alle norme di comportamento per i militari dell'Unifil- 2. Un proposito che non era sfuggito al capo del Partito di Dio Hassan Nasrallah e che incontrerebbe ostacoli al Palazzo di Vetro.
«Oggi parlare di cambiamento unilaterale dele regole di ingaggio della missione Unifil non è possibile data la situazione di crisi», ha detto il titolare della Farnesina su Sky. «Le regole di ingaggio per i nostri militari sono una questione talmente delicata che non possono essere decise da Roma, Parigi o Berlino. Sono decisioni che si prendono innanzitutto con una valutazione di chi, come solo i militari, conosce sul territorio le reali condizioni di sicurezza», ha aggiunto Frattini.
Che l'Italia non potesse modificare di testa sua quelle norme, in base alle quali si stabilisce quando i soldati possono o non possono sparare, perquisire o bloccare libanesi sospetti e così via, lo aveva sostenuto l'allora ministro degli Esteri Massimo D'Alema appena Berlusconi, il 14 marzo scorso, aveva indicato l'obiettivo di cambiarle. L'attuale presidente del Consiglio se lo era prefisso precisando alcune affermazioni di Antonio Martino, di Forza Italia, ingombranti a causa dei desideri di ritirare i soldati italiani dal Libano o di ridurli.
Frattini ieri non ha cancellato l'idea di cambiare le regole di ingaggio, ha sottolineato che «purtroppo il traffico d'armi oggi c'è e scorre dalla Siria al Libano, è un dato di fatto che nel mandato dell'Onu non è compreso il disarmo forzato». Ma il ministro è parso togliere la questione dall'agenda degli impegni immediati. Per ottenere norme meno generose verso Hezbollah occorrono alleati. «Le decisioni vanno prese in Europa e poi portate in Consiglio di sicurezza», ha osservato il ministro, ripetendo che bisogna «ascoltare prima i militari », mentre da Rifondazione Elettra Deiana lo ha accusato di «pura demagogia» quando «fa appello ai militari per modificare le regole».
Il segno di una discontinuità rispetto al governo precedente è arrivato sui fondamentalisti islamici di Gaza. «A differenza di Prodi e D'Alema, io resto contrario a trattare con Hamas», ha fatto presente Frattini.

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