La Libia al Consiglio di Sicurezza paragona Gaza ai lager nazisti dopo che Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Belgio, Croazia e Costa Rica abbandonano l'aula, l'Italia chiede la sospensione della seduta
Testata: Corriere della Sera Data: 25 aprile 2008 Pagina: 2 Autore: Alessandra Farkas - Maurizio Caprara - Pierluigi Battista Titolo: «La Libia: «Gaza un lager» Nazioni Unite, l'Italia dice no - Onu e Medio Oriente Farnesina, nuove mosse - Una prima svolta»
Dal CORRIERE della SERA del 25 aprile 2008, una cronaca di Alessandra Farkas sul dibattito all'Onu sulla Striscia di Gaza. Dalla quale risulta chiaramente che l'ambasciatore italiano all'Onu ha chiesto la sopsensione della riunione solo dopo che gli ambasciatori di cinque paesi avevano lasciato l'aula, per protesta nei confronti delle dichiarazioni del delegato libico, che paragonavano Gaza ai lager nazisti. Ecco il testo:
NEW YORK — Insurrezione al Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla situazione nella Striscia di Gaza. Il rappresentante della Libia paragona la regione palestinese ai lager di Adolf Hitler: un'accusa a Israele che ha spinto l'ambasciatore italiano all'Onu a chiedere e ottenere di sospendere immediatamente la riunione dopo che gli ambasciatori di alcuni Paesi occidentali avevano abbandonato la sala. La protesta, secondo gli addetti ai lavori rara nella storia del Palazzo di Vetro, è scattata mercoledì sera, quando, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dedicata al Medio Oriente, il viceambasciatore libico Ibrahim Dabbashi ha dichiarato che «la situazione a Gaza assomiglia a quella in un campo di concentramento nazista durante la Seconda guerra mondiale». Parole incendiarie che hanno immediatamente suscitato le reazioni indignate dei Paesi occidentali. A partire dall'ambasciatore francese Jean-Maurice Ripert, che dopo essersi strappato gli auricolari ha abbandonato la sala, seguito, a ruota, dal numero due Usa Juan Alexandro Wolff, dall'omologa britannica Karen Pierce, dal belga Johan Verbeke, dal croato Neven Jurica e dal costaricano Saul Weisleder. È a questo punto, secondo fonti diplomatiche italiane a New York, che l'ambasciatore italiano Marcello Spatafora avrebbe chiesto al presidente di turno — il sudafricano Dumisani Kumalo — di sospendere la riunione: una procedura straordinaria che è stata subito accolta, ponendo bruscamente fine a una riunione che rischiava di proseguire a livello di delegati. Nonostante il polverone sollevato dall'incidente, ieri la Libia si è spinta oltre. «Vivere nella Striscia di Gaza è persino peggio che stare in un campo di concentramento nazista», ha rincarato la dose in un incontro coi giornalisti Dabbashi. «Ci sono i bombardamenti quotidiani da parte di Israele che non c'erano nei campi di concentramento». L'inviato di Washington ha bocciato le dichiarazioni dell'inviato di Tripoli. «Sono indicative del livello di ignoranza storica — ha commentato Wolff — e dell'insensibilità morale che stanno alla base dell'impossibilità del Consiglio di Sicurezza di agire in Medio Oriente». Dura anche la condanna dell'ambasciatore israeliano all'Onu Dan Gillerman: «È una vergogna che uno Stato terrorista come la Libia segga nel Consiglio di Sicurezza. La sua presenza paralizzerà ogni sforzo di pace a Gaza e in Cisgiordania». Ma a dar manforte all'emissario di Gheddafi è sceso in campo l'ambasciatore siriano Bashar Jaafari, secondo cui «purtroppo coloro i quali si lamentano di essere stati vittima di un genocidio ripetono lo stesso tipo di genocidio contro i palestinesi ». Nei corridoi dell'Onu ieri si è cercato di minimizzare sull'incidente, ricordando che i dibattiti del Consiglio di Sicurezza sul conflitto israelo-palestinese sono da sempre i più controversi e divisori. Il 6 marzo scorso la proposta Usa per una condanna non vincolante del-l'attentato contro una scuola talmudica a Gerusalemme si era arenata proprio a causa delle obiezioni della Libia.
Sempre dal CORRIERE, un articolo di Maurizio Caprara che aggiunge altri particolari: "non c'è stata alcuna direttiva impartita da Roma". L'ambasciatore libico in Italia non ha trovato nulla da eccepire nel comportamento del nostro ambasciatore all'Onu e ha dichiarato: «E perché io avrei dovuto protestare? Ho sentito il mio ambasciatore a New York e mi ha confermato che francesi e americani, non italiani, sono usciti dall'aula ». L'ambasciatore Spatafora, dunque, non ha preso una posizione tempestiva ed esemplare sulle parole del rappresentante libico. Men che mai lo ha fatto la Franesina. Anzi, è evidente che il poco che Spatafora ha fatto, ha potuto farlo perché D'Alema è ormai sostanzialmente fuori dal ministero degli Esteri.
Ecco il testo:
ROMA — Non c'è stata alcuna direttiva impartita da Roma, secondo la ricostruzione della riunione accreditata dalla Farnesina. Sarebbero state considerazioni maturate a caldo, mercoledì, a spingere l'ambasciatore italiano seduto nel Consiglio di sicurezza dell'Onu a ottenere la sospensione della seduta. Quando l'aula è stata infiammata dal paragone del viceambasciatore libico tra i campi di sterminio nazisti e le condizioni di Gaza per le azioni dei mi-litari di Israele, Marcello Spatafora, il rappresentante permanente dell'Italia al Palazzo di Vetro, ha chiesto di interrompere i lavori per due motivi. Uno di merito: la gravità dell'accostamento che aveva appena spinto i rappresentanti di Francia, Stati Uniti e Costa Rica ad andarsene. Uno di metodo: l'impossibilità di proseguire la riunione nel clima turbolento che c'era. Così si viene a sapere dal ministero degli Esteri tuttora guidato da Massimo D'Alema, in carica per gli affari correnti fin quando non si sarà insediato il governo di Silvio Berlusconi. Ieri sera, la tesi sembrava avere a sostegno alcuni elementi. A New York lo scontro sulle parole del viceambasciatore libico Ibrahim Dabbashi, che aveva accostato la situazione di Gaza ai lager di Adolf Hitler, è scattato mentre a Roma era notte. In più, ieri non ci sono state proteste verso l'Italia da parte dell'ambasciatore dello Stato di Muhammar el Gheddafi presso il Quirinale, Abdulhafed Gaddur. «E perché io avrei dovuto protestare? Ho sentito il mio ambasciatore a New York e mi ha confermato che francesi e americani, non italiani, sono usciti dall'aula », ha detto al Corriere Gaddur. E' evidente che nei rapporti tra Stati entrano in gioco numerosi elementi di valutazione. Nel 2006, mentre Berlusconi era a Palazzo Chigi, la Libia si indignò quando il leghista Roberto Calderoli esibì, in tv, una maglietta con le vignette su Maometto. La repressione di un assalto al consolato italiano a Bengasi costò morti e morti. Il nostro Paese è il primo partner economico della Giamahiria, la quale ci fornisce il 18% dell'energia che consumiamo, a cominciare dal petrolio. Il passaggio tra due governi in Italia è una fase delicata. Romano Prodi si prefiggeva di portare Gheddafi in visita a Roma. La Farnesina non può assecondare offese a Israele. Ma ieri né Roma né Tripoli hanno cercato di complicarsi i rapporti. E' su un altro versante delicato che il ministero di D'Alema, senza grande clamore, ha compiuto una svolta che non era scontata: sull'Iran. Nei giorni scorsi, a Bruxelles, il rappresentante d'Italia presso il Comitato politico di sicurezza dell'Unione Europea, ambasciatore Andrea Meloni, ha fatto cadere una riserva che era stata posta dal nostro Paese, in sede europea, sulle sanzioni da applicare a Teheran in virtù della seconda risoluzione dell'Onu contro i piani nucleari iraniani. Una mossa che, a prima vista, ci si sarebbe potuta aspettare dal governo di centrodestra. La questione però è più complicata. Il movente della scelta sarebbe stato in particolare il desiderio di far rientrare l'Italia nel giro dei Paesi che hanno un peso notevole nelle decisioni internazionali sull'Iran. Pur sapendo di non poter trovare un posto all'interno del cosiddetto «5+1», l'ambizione è di essere consultati in vista delle prossime decisioni da questo comitato formato da Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna e Francia, che sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza, più la Germania. Durante il semestre italiano di presidenza europea, nel 2003, il governo Berlusconi preferì restar fuori dal gruppo degli Stati europei incaricati di negoziare con Teheran sul nucleare. La Repubblica islamica ci avrebbe voluto dentro. Londra, Parigi, Berlino non se ne ebbero a male e, seppure senza risolvere la questione, accrebbero il loro peso. Adesso si prepara la quarta risoluzione dell'Onu e l'Italia, per accrescere il suo ruolo, riduce gli ostacoli a sanzioni europee.
Dal CORRIERE della SERA, l'editoriale di Pierluigi Battista:
I diplomatici di quattro Paesi occidentali platealmente abbandonano per protesta la sala del Consiglio di sicurezza all'Onu e l'ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, Marcello Spatafora, convince la presidenza a dichiarare immediatamente chiusa la discussione. Descritta così, potrebbe sembrare una di quelle tempeste destinate a compromettere la stabilità internazionale. Ma può anche essere una svolta, il segnale di un sentimento politico di insofferenza per chi, all'interno e fuori del Palazzo di Vetro, indugia ancora nel paragone tra «la situazione di Gaza e quella dei campi di concentramento nazisti», avanzata dal rappresentante della Libia. La reazione stavolta è stata fulminea: non restava che lasciare quell'importante riunione per non accettare in silenzio quell'ennesima ingiuria contro Israele. A sessant'anni dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo promossa dalle Nazioni Unite all'indomani di una guerra apocalittica e feroce, l'azione dell'Onu a tutela dei diritti calpestati nel mondo non gode di grande reputazione. Difficile credere che le Nazioni Unite possano dimostrare un impegno efficace se al vertice delle commissioni deputate alla difesa di quei diritti siedono Paesi (e la Libia è tra questi) in cui il diritto è totalmente inesistente, le carceri rigurgitano di prigionieri rinchiusi senza regolare processo, la tortura è una pratica diffusa e impunita, le libertà politiche e civili cancellate da regimi asfissianti. E' difficile chiedere equanimità a un organismo internazionale che si rifiuta, com'è accaduto due mesi fa, di condannare la strage nella scuola rabbinica di Gerusalemme. E così all'Onu il terrorismo antisraeliano non viene mai sanzionato, ogni volta il veto di uno Stato di fede antioccidentale non consente a Israele di godere della solidarietà internazionale. Il ruolo di Israele deve essere sempre quello del carnefice. Ogni cordoglio per le sue vittime viene negato. Israele, con un paragone fabbricato deliberatamente per offendere crudelmente gli ebrei, viene dipinto come il «nuovo nazismo», e la questione palestinese come la nuova Shoah. Fu in ambito Onu che a Durban, nel 2001, una conferenza si trasformò in una truce kermesse antiebraica. E non si è dissolto il triste ricordo di quell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, anno 1975, in cui un nutrito gruppo di dittature equiparò il «sionismo» a una nuova forma di razzismo. Il gesto degli ambasciatori che abbandonano il Consiglio di sicurezza quando risuonano le ingiurie antisraeliane del rappresentante libico rovescia un atteggiamento rassegnato in cui la prudenza si trasforma in accondiscendenza, sottomissione ai capricci di nazioni che soffrono di un deficit strutturale di democrazia, irresponsabilità su un tema, quello dei diritti universali, che stenta a trovare il riconoscimento che gli si deve. Ed è significativo che l'ambasciatore italiano si sia adoperato per sospendere una riunione che non avrebbe avuto senso proseguire, se non al prezzo di accettare la grottesca comparazione tra la condizione di Gaza e Auschwitz. E' significativo e confortante perché segna la volontà di non accettare più i proclami di chi vorrebbe cancellare Israele dalla carta geografica, negando ad esso persino il diritto d'esistenza. Un primo passo. Ma un passo importante.
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