Barbara Spinelli, sostenitrice dello Stato binazionale ebraico-arabo, si scaglia sulla STAMPA di oggi, 17/02/2008, contro Sarkozy, in un articolo dal titolo " Sarkozy, Napoleone e la Shoah". Due piccioni con una fava, verrebbe da dire, Sarkozy e la Shoah, con una spruzzatina di Napoleone, che non guasta. Nel panorama degli analsiti politici, Spinelli è tutto sommato un'eccezione. Quel che viene a galla nelle sue analisi è soprattutto l'odio, la sua cifra di lettura. Spinelli odia Sarkozy, come odia Israele. Il termine è quello giusto, non ne esistono altri. E' odio, se si scrive è a favore dello Stato binazionale, che altro non potrà essere che arabo per motivazioni demografiche. Lo stesso criterio lo applica su Sarkozy e sulla Shoah. Si può benissimo essere contrari con la proposta di ricordarene la memoria nelle scuole francesi, facendo < adottare > un bambino massacrato dai nazisti ad uno studente francese. A noi sembra una proposta eccellente, per niente traumatica, ricca invece di un profondo senso di umanità. Ma, ripetiamo, si può non essere d'accordo. I lettori leggano però l'articolo della Spinelli, dove Sarkozy viene non solo criticato, ma fatto a pezzi, distrutto, la sua immagine deturpata. " Guardati da quelle donna, è cattiva ", era il commento delle mamme di un tempo quando volevano mettere in guardia un figlio dalle grinfie di una . Ecco, la Spinelli ha questo odio nel suo DNA, sempre nella direzione di un obiettivo che contenga qualcosa di correlato a Israele o agli ebrei. L'articolo di oggi a questo riguardo è illuminante. Eccolo:
Ogni giorno Sarkozy inventa qualcosa fatta per eccitare, sbigottire, suscitare alla rinfusa eventi. L’ultima trovata - poiché di trovata si tratta, non di idea - è quella di gemellare ogni bambino di 10-11 anni con un coetaneo gasato nei Lager. Se approvata, la missione verrà affidata agli insegnanti: al bambino sarà spiegato che avrà un amico immaginario con cui identificarsi, un bambino con nome e cognome che non è precisamente vissuto: è precipitato nella voragine della Soluzione Finale. Ci sono undicimila bambini da assegnare, perché tanti furono i piccoli ebrei francesi deportati e inceneriti. Un entusiasta dell’iniziativa, Serge Klarsfeld, sostiene che solo così si riuscirà a debellare l’oblio incombente: è molto efficace imprimere il dovere di memoria nella mente d’un infante. Visto che l’adulto spesso resiste, catturiamo i piccoli che sono inermi, malleabili, malfermi: in fondo rappresentano il cittadino ideale, infantilizzato, che ogni uomo forte fantastica quando sogna la totale potenza che nessuno Stato possiede più. Plasmare l’essere umano è sogno condiviso dei dittatori: quelli che lo sono davvero e quelli che mimano (fu l’immagine del candidato-presidente sulla copertina dell’Economist) Napoleone su un candido cavallo.
Molto ammirato in Italia e perfino invidiato, Sarkozy si sta rivelando un personaggio singolare, non genialoide come vorrebbe ma eccezionalmente capriccioso, vicinissimo al ridicolo: l’ultima proposta sulla Shoah è emblematica.
Per la verità le sue caratteristiche apparvero già chiare durante la campagna elettorale, quando in un’intervista al filosofo Michel Onfray, nell’aprile 2007 sulla rivista Philosophie magazine, ebbe a dire cose significative: che pedofilia e omosessualità erano «malattie genetiche», ad esempio. E quando d’un tratto s’irritò con Onfray che gli parlava di filosofia e introspezione, e confessò senza pudore che mai aveva «ascoltato qualcosa di così assurdo come la frase di Socrate: Conosci Te Stesso».
Bisogna nutrire simile sprezzo per dire quel che Sarkozy va ultimamente proclamando: specie sulle religioni, la laicità, la scuola infine, accusata di essere inadatta non tanto a formare, quanto a elevare gli alunni. Per questo la sua è una trovata. Il dizionario Battaglia dice che la trovata, a differenza dell’idea, è «per lo più tempestiva, volta a perseguire un intento»; sinonimo di stratagemma, astuzia, espediente. Così l’adozione nell’infanzia di bambini gasati: l’iniziativa è al tempo stesso leggera e impregnata di ignoranza militante, è spettacolare e brutale. Solo chi rifiuta l’oracolo delfico fatto proprio da Socrate può pensare che sia salutare, per un piccolo, identificarsi con un coetaneo gettato nei forni. Può immaginarlo forse, con tremore. Ma immedesimarsi? Può farlo senza traumi solo se la storia viene tramutata in fiaba nella quale il mostruoso si colora di Kitsch e la mortifera identificazione diventa non un gioco con la memoria ma quel che fa Sarkozy: un giocherello.
Bisogna non conoscere se stessi per scordare a tal punto l’infanzia. Tanti hanno avuto un amico immaginario, allora: per solitudine o svago, profondità o flessuosa fantasia, comunque per senso d’irrealtà. Poi viene il momento, non improvvido, in cui ci si congeda dall’amico immaginario e comincia il confronto con l’altro vero, vivo: che fissa i nostri confini e i suoi. Come congedarsi dal piccolo Aaron o il piccolo Moses, senza sentire il tremendo d’una colpa? Come, senza cominciare a odiare quel fardello che la scuola ci ha imposto senza chiedercelo?
Eppure c’è del metodo in questa follia, e i discorsi di Sarkozy sulle religioni lo confermano. Il Presidente ha scoperto che c’è qualcosa di affascinante e proficuo in tre campi: fede, scuola, memoria (soprattutto della Shoah). Affascinante perché scuotono gli animi, ammutolendoli. Proficuo perché «accrescono la gloria» di chi li coltiva anche quando non ci si cura degli effetti prodotti, come dice il socialista Bertrand Delanoë, sindaco di Parigi. Sono tre campi assai più legati di quanto sembri.
Parlando a San Giovanni in Laterano, il 20 dicembre, Sarkozy li ha affrontati insieme, infrangendo quel che in Francia è un mito (l’istitutore della scuola laica): «Nella trasmissione dei valori e nell’apprendimento della differenza tra il bene e il male, l’istitutore non potrà mai rimpiazzare il pastore o il curato, anche se è importante che s’avvicini al loro insegnamento: sempre gli mancheranno la radicalità del sacrificio della vita, e il carisma d’un impegno sostenuto dalla speranza». L’insegnante può redimersi tuttavia: basta che accetti il metodo usato per secoli dai curati, per plasmare le coscienze condendo la speranza col terrore. Metodi oggi minoritari nella Chiesa stessa.
La laicità è per questa via ignorata, affossata: incapace di destare speranze. Ma non solo. È esaltata quella «radicalità della vita» che sta diventando il marchio di Sarkozy: nel privato e nel pubblico, sempre più grottescamente confusi. Questa radicalità della vita si fa modello, proposto da uno Stato che coincide interamente col suo Presidente. L’emozione rimpiazza il ragionamento, lo squilibrio l’equilibrio: tutti siamo hezbollah, folli di Dio le cui scuole d’indottrinamento ci ammaliano. È per questo che alla trovata si ribellano non solo i pedagoghi ma anche varie associazioni antirazziste e dei diritti dell’uomo. Questa «relazione di identità» con i bambini della Shoah dovranno instaurarla tutti, nelle odierne società plurali? Anche cristiani, musulmani? E se il piccolo ebreo sì, perché non il piccolo Rom finito nei forni o lo schiavo nero o un algerino, in una divisiva concorrenza tra vittime? La più severa è Simone Veil, che l’oracolo delfico pare non spregiarlo: lei infatti sa, conosce. Per miracolo da bambina scampò a Auschwitz. L’iniziativa sarkozista, dice, è «insostenibile, inimmaginabile, ingiusta».
La Shoah è impensabile anche per l’adulto. Basta leggere il romanzo di Jonathan Littell, Le Benevole, per capire l’indicibilità di quell’abisso. Lo sgomento svegliato da ogni pagina, il macabro che ti sommerge, come si può pensare-desiderare che l’infanzia ne porti il fardello? Gad Lerner ha scritto un articolo bello e negativo sulla proposta Sarkozy, nella Repubblica di venerdì. Sono meno negativa di lui sulle Benevole. È un libro che si conficca nella mente e non ti lascia. Non è morboso soltanto. È documentatissimo, e non a caso in Germania sta suscitando un dibattito di enorme interesse: tra storici, letterati, lettori. Comunque è un libro per adulti razionali. I bambini, meglio si addentrino nelle paure dei fratelli Grimm, di Andersen, di Kipling.
Quel che Littell inscena è l’oscena mescolanza, nell’assassino-protagonista, tra gusto del macabro, finta purezza ideologica, stanchezza, progressivo abituarsi all’indifferenza, caos burocratico di uno Stato ipertrofico; tra ordine maniacale e disordine frenetico. Quel che narra, è l’efficienza paurosa dell’ottusità («in fin dei conti sono proprio gli ottusi a essere efficienti»). Non esiste un boia simile, è stato detto, ma non è sicuro: sublimi intelligenze entrarono coscienti in quella macelleria, e proprio qui è l’impensabile nel nazismo. Littell squarcia un velo quando fa dire all’assassino SS, in apertura: «Fratelli umani, lasciate che vi racconti com’è andata... Vi riguarda: vedrete che vi riguarda».
Ci riguarda in effetti, Thomas Mann lo disse già nel ’38-39, quando scrisse Fratello Hitler. Ma questa fratellanza con il boia o la vittima è una dolorosa scoperta della ragione, non della fantasia emotiva. Faticano gli adulti, a viverla. Primo Levi si suicidò, e aveva una mente forte. Affidare identificazioni simili a un bambino è un crudele capriccio di chi giocherella con la memoria senza sapere quel che ricorda.
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