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Corriere della Sera - Informazione Corretta - Il Foglio Rassegna Stampa
13.02.2008 Rapporti tra ebrei e cattolici: una cronaca e due opinioni
di Giorgio Israel, Guido Guastalla, Alessandra Farkas

Testata:Corriere della Sera - Informazione Corretta - Il Foglio
Autore: Alessandra Farkas - Giorgio Israel - Guido Guastalla
Titolo: «Rabbini, voto sul Vaticano «La preghiera un incidente ma il dialogo vada avanti» - Mettere la chiesa nell'asse nel male antisemita è una follia - Per l'ebreo Guastalla l'unità con i cristiani è possibile»
Dal CORRIERE della SERA del 12 febbraio 2008, un articolo di Alessandra Farkas:

NEW YORK — Dopo aver creato lo scompiglio nel mondo ebraico italiano, con appelli alla sospensione del dialogo col mondo cattolico da parte del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, la discussa preghiera in latino riesumata di recente da Papa Benedetto XVI che invita gli ebrei ad abbracciare Cristo, rischia di spaccare in due anche ebraismo italiano e ebraismo Usa. «L'iniziativa di Di Segni secondo noi è estrema e molto dannosa», mette in guardia il rabbino Alvin K. Berkun, presidente dell'Assemblea Rabbinica, che rappresenta il Movimento Conservatore del Giudaismo Usa, il più grande insieme a quello Riformato.
«Tengo a precisare — aggiunge — che, nonostante la casuale assonanza del nome, l'Assemblea Rabbinica italiana non ha nulla a che spartire con noi».
I 400 dei 1.600 rabbini membri dell'Assemblea convenuti ieri a Washington per l'annuale riunione del gruppo viaggiavano tutti su una lunghezza d'onda conciliatoria. «Nessuno di noi pensa di interrompere il dialogo con i cattolici», ribadisce il rabbino Richard A. Marker, vice-presidente della International Jewish Committee on Interreligious Consultations, che cura il dialogo tra tutto il mondo ebraico Usa (non solo i Conservatori) e Vaticano. «La controversia è emersa da un testo tradotto, la cui struttura ed interpretazione sono ancora al vaglio. Per questo invitiamo tutti alla cautela».
Non è dunque vero che quella preghiera mette a rischio il riavvicinamento ebrei-cattolici cominciato negli anni 60, quando il Vaticano assolse di fatto gli ebrei dall'accusa di deicidio? «Penso che si tratti di un incidente di percorso», ribatte il rabbino Joel Meyers, vicepresidente esecutivo dell'Assemblea, «molti di noi sono disposti addirittura a soprassedere.
Anche se posso garantirle che, da oggi, guarderemo all'operato del Vaticano con molta più attenzione. Per capire se si tratta di un piccolo inciampo o dell'inizio di un pericoloso trend».
Anche per il rabbino Markar «l'importante è capire se siamo di fronte a uno scoglio o al segnale simbolico di una svolta vera e reazionaria ». «Per ora preferiamo dare al Vaticano il beneficio del dubbio — precisa —. Ma il prossimo mese, quando andrò a Roma per incontrare il cardinale Walter Kasper, nostro interlocutore al Vaticano, mi riprometto di spiegare ai nostri amici cattolici il nostro punto di vista».
Prima di allora Markar, Meyers e Berkun si accontenteranno di votare — probabilmente entro oggi — il documento ufficiale voluto dai Conservatori ma approvato informalmente dai movimenti Reform, Ortodosso e Reconstructionist che esprime «il timore che il nuovo testo latino possa gettare una pesante ombra sullo spirito di reciproco rispetto e collaborazione che ha marcato questi ultimi quattro decenni, rendendo più difficile per gli ebrei impegnarsi costruttivamente nel dialogo coi cattolici». «Sia ben chiaro che questa risoluzione è una nostra iniziativa autonoma ed indipendente — precisano in coro i tre rabbini —. E che non abbiamo subito alcun tipo di pressione da parte dei leader italiani». «Infatti prenderemo solo atto della decisione di Di Segni che capiamo — puntualizza Meyers —, ma capiamo anche la nostra, diversa dalla loro».
«Il rabbinato italiano è fisicamente più vicino al Vaticano e forse per questo il suo atteggiamento è così diverso» teorizza Meyers. «Come minoranza si sentono schiacciati». «Non è un caso che i primi ad avviare il dialogo con il mondo cattolico siamo stati noi americani — gli fa eco Berkun —. Fu Abraham Joshua Heschel, il nostro maestro, che nel 1965 influenzò il cardinale Bea a scrivere
Nostra Aetate. Il resto è storia».

Di seguito, un intervento di Giorgio Israel sul FOGLIO del 13 febbraio 2008, preceduto da una nota scritta per INFORMAZIONE CORRETTA:

Questo articolo è uscito sul Foglio ma desidero dedicarlo in modo speciale agli amici e lettori di Informazione Corretta con un commento specifico perché esso riguarda un malessere profondo rispetto agli orientamenti di tanto impegno comune. So bene che questo sito si occupa soprattutto di Israele, ma le polemiche recenti hanno connesso le manifestazioni di antisemitismo con la vicenda del boicottaggio di Israele a Torino e con la faccenda della messa in latino che ripropone – in versione emendata rispetto al testo già emendato da Giovanni XXIII (e che conteneva ancora un riferimento all’"accecamento" ebraico – la preghiera per illuminare gli ebrei.

Ho provato un gran senso di malessere di fronte alla reazione violentissima del rabbinato italiano. Tale reazione mi è sembrata poco riflessiva, pasticciata sul piano teologico e poco attenta a tutto quel che è stato conquistato nel rapporto tra ebrei e cristiani e che costituisce un patrimonio in un percorso quanto si vuole difficile, che non può essere disperso di colpo senza pensarci bene.

Ho deciso di intervenire dopo averci riflettuto a lungo e non senza esitazioni. Ma ho infine deciso che non sarei stato in pace con la mia coscienza se non l’avessi fatto.

Come se non bastasse, sono uscite sulla stampa le dichiarazioni di Elan Steinberg che ha parlato di un asse del male formato da estrema destra, estrema sinistra e fondamentalismo islamico e a cui addirittura parteciperebbe la Chiesa. Egli ha anche presentato l’Italia come il buco nero dell’antisemitismo mondiale, arrivando al punto di non escludere un boicottaggio (in che modo?). Ho trovato tutto ciò delirante e di pericolosità estrema.

Voglio dire con franchezza che, se dovessero prevalere linee simili, tutto diventerebbe difficile. Preferirei ritirarmi a vita privata piuttosto che avere lontanamente a che fare con posizioni del genere.

E’ stato di gran sollievo leggere le dichiarazioni del rabbino David Rosen, presidente dell’International Jewish Committee per il dialogo interreligioso che voglio riportare qui per intero. Egli ha espresso, com’è legittimo, perplessità circa il fatto che non sia stato emendata per intero la messa tridentina di ogni riferimento agli ebrei, ma ha definito in modo assai pungente la decisione del rabbinato italiano di interrompere ogni forma di dialogo come "rash decision", e "rash" vuol dire "sconsiderato", "avventato". Ecco la cronaca di Jeff Israely:

 

Reached in his office in Jerusalem, Rabbi David Rosen of the American Jewish Committee, a veteran of Catholic-Jewish dialogue, said that he too had his "hopes raised" that an explicit reference to conversion would have been excised. Rosen noted that the expansion of the Latin rite "had nothing to do with this prayer, and nothing to do with the Jews," but was rather an attempt by the Pope to mend fences with Catholic arch-traditionalists. Still, the language of the Good Friday prayer sounds to Jews to be "exclusivist and triumphalist," said the rabbi.

Rosen, who has worked with Benedict since he was a Vatican cardinal, said he worries that the Pope seems to "insulate" himself from top advisers who might alert him to potential fallout. Still, Rosen called his Italian rabbinical colleagues' break in dialogue with Catholics a "rash" decision. "There's so much at stake for Jews and Catholics and Benedict himself that we must ensure that this difficulty will not torpedo the commitment to advancing Jewish-Catholic relations," Rosen said. "Yes, we must speak up. But there is nothing to be gained from making this a casus belli."

 

Non mi soffermo sulle reazioni di una parte consistente del rabbinato americano, che sono state riferite da Informazione Corretta e che suonano molto severe nei confronti di quello italiano e che sottolineano che le perplessità da essa avanzate la scelta vaticana non hanno niente a che fare con quelle dei colleghi italiani.

Non soltanto queste dichiarazioni mi hanno confermato nella giustezza di non tacere il dissenso di fronte a sviluppi tanto gravi, ma anche le molte lettere di accordo che ho ricevuto. Vorrei dire ai pochissimi che mi hanno scritto per manifestare il loro dissenso che ovviamente ho preso in seria considerazione i loro argomenti; ma che trovo inaccettabile dire che non avrei tenuto conto degli argomenti teologici e storici che hanno condotto alla rottura del dialogo. È’ precisamente il contrario. Considero tali argomenti deboli e inconsistenti. Inoltre richiamarmi bruscamente al rispetto di chi rappresenta l’intero rabbinato italiano è un modo di sentire davvero poco ebraico. Quel consesso, a quanto mi risulta, non è illuminato dallo Spirito Santo e non è dotato di infallibilità, neppure ex-cathedra. Del resto, se centinaia di rabbini hanno ritenuto di censurare la scelta della rottura, mi trovo in ottima compagnia, nello spettro di opinioni prodotto da quella libertà di pensiero che ha sempre contraddistinto l’ebraismo e che si riflette nella vitalità e pluralità della società israeliana. Non posso credere che l’ebraismo italiano sia ridotto a tale punto di isterilimento mentale da aver bisogno della discesa del verbo dall’alto per poter prendere posizione.

 

Giorgio Israel

 

Dal 1967 dedico un impegno militante nella lotta contro l’antisemitismo ma non ho mai provato un malessere come quello provocato da certe posizioni recenti che, se dovessero prevalere, mi spingerebbero a dire: mi dimetto.

La vicenda della lista nera dei docenti è un modesto episodio tra tanti. Liste analoghe sono circolate, senza che succedesse nulla. Da anni certi docenti si occupano, nei loro blog, con ossessiva ostilità degli ebrei e di Israele. Non di rado sono comparse in rete minacce anche personali, con tanto di nome e cognome: è capitato anche a me e le solidarietà sono state avare. Invece, attorno a questo modesto episodio è scoppiata una tempesta mediatica senza precedenti che non si è vista per vicende ben più gravi come gli appelli al boicottaggio scientifico di Israele. Né si è vista tanta indignazione per le scandalose affermazioni circolate attorno alla campagna di boicottaggio della Fiera del libro di Torino. Tale è il caso dello slogan "Gaza come Auschwitz", che è stato ripreso, come una giaculatoria, persino da taluni contrari al boicottaggio. Forse si vuol far credere che gli internati di Auschwitz fossero armati fino ai denti e sparassero centinaia di missili sulle cittadine circostanti.

Queste sono le tragiche infamie – propaganda goebbelsiana: ripeti mille volte una menzogna e diventerà una verità – che alimentano l’antisemitismo, messe in giro da piccoli gruppi capaci di captare l’attenzione, secondo un meccanismo ben descritto da Pierluigi Battista sul Corriere: "Pochi, prepotenti ma abili con i media". Ed è molto pericoloso il silenzio che circonda questi slogan e il modesto livello delle proteste attorno alle iniziative di boicottaggio, a fronte del clamore attorno alla "lista nera".

Comunque, nulla autorizza a "temere un’altra notte dei cristalli". Il Presidente del Congresso Ebraico Europeo Moshe Kantor deve avere scarse conoscenze di storia per fare raffronti simili. La vera notte dei cristalli è quella cui rischia di andare incontro l’Europa, ormai in fase di dissoluzione di fronte all’assalto dell’integralismo islamico, tra vescovi anglicani che propongono la legalizzazione della sharia e decisioni di conferire assegni familiari ai poligami. Di questo dramma l’antisemitismo è soltanto la misura della febbre.

Ancor più sconcertanti sono le dichiarazioni di Elan Steinberg, direttore del World Jewish Congress che indica come segnali di una drammatica situazione antisemita in Italia tre incidenti: il boicottaggio di Torino, la lista nera e la preghiera cattolica in latino per la salvezza degli ebrei. I primi due hanno con l’ultimo la stessa relazione che intercorre fra le nozze e l’equinozio. Steinberg è giunto a parlare di un asse del male operante in Italia formato da estrema destra, estrema sinistra e integralismo islamico con l’apporto della Chiesa. In più vi sarebbe la "sorpresa" dei comunisti, che egli confonde col vecchio PCI.

Circa la preghiera tridentina si può pensarla come si vuole ma è consigliabile la moderazione. L’autorevole rabbino David Rosen, presidente dell’International Jewish Committee per il dialogo interreligioso, pur esprimendo legittime perplessità, ha definito "rash decision" (decisione sconsiderata) l’interruzione del dialogo da parte del rabbinato italiano e ha invitato a non creare un casus belli. Anche un’assemblea di 400 rabbini americani ha invitato alla calma e alla ponderazione, e il suo presidente Alvin Berkun ha definito l’iniziativa del rabbino Di Segni "estrema e molto dannosa". Se è sconsiderato interrompere il dialogo, collocare la Chiesa nell’asse del male antisemita è un’autentica follia.

Ma, come se non bastasse, Steinberg presenta l’Italia come epicentro dell’antisemitismo e addirittura non esclude l’ipotesi di un boicottaggio nei suoi confronti. Egli è totalmente disinformato e qualcuno gli deve aver raccontato balle invece di spiegargli che l’Italia è uno dei paesi meno antisemiti d’Europa.

Giorni fa scrissi su questo giornale che "se" fossero state poste condizioni e richieste di bilanciamenti a Israele per confermargli l’invito come ospite d’onore al salone di Torino, sarebbe stato meglio non andare. Gli sviluppi successivi hanno mostrato che quelle condizioni non sono state poste e quindi che Israele può mandare dignitosamente la sua delegazione di scrittori a Torino. I boicottatori sono stati messi all’angolo, anche se tenteranno di organizzare qualche scandalo nello stile del boicottaggio della visita del Papa alla Sapienza. Per quel richiamo che avevo fatto a evitare situazioni umilianti, qualche buontempone alla Gad Lerner mi ha accusato di promuovere un boicottaggio simmetrico e addirittura di essere un "complice" dell’"opposta schiera" dei boicottatori. Ora, un minimo di coerenza richiederebbe un’energica presa di distanza da quello che è un vero appello al boicottaggio, e per giunta dissennato. È da augurarsi che posizioni come quella di Steinberg spariscano prontamente dalla scena. Perché, se dovessero prendere piede, avrebbero il problema di trovare soldatini abbastanza sciocchi da farsi arruolare in un simile guerra irresponsabile.

Di seguito, un articolo di Guido Guastalla:

 

Diceva un vecchio proverbio che la fretta è cattiva consigliera. E’ quanto è accaduto con la pubblicazione del nuovo testo in latino, della preghiera del Venerdì santo. Nel messale in latino - pur emendato dai termini come "perfidia giudaica" e "perfidi giudei", che stanno poi a indicare il loro accecamento e il permanere nelle tenebre) - del 1992, si proponeva ancora una preghiera "per la conversione degli ebrei".

Il nuovo testo in originale recita:" Oremus et pro Iudaeis: ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum . Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat…" Si potrebbe tradurre: " Preghiamo per gli Ebrei: affinché Dio, Nostro Signore, illumini i loro cuori perché riconoscano (corsivo ndr) Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini. Dio Onnipotente ed Eterno che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi propizio che, entrando la pienezza delle genti nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo"

La reazione dei rabbini è stata immediata. Rav Di Segni di Roma ha parlato di "una grave regressione che pone un ostacolo fondamentale alla prosecuzione del rapporto fra ebrei e cristiani"; Rav Laras, presidente dell’Assembla rabbinica italiana più pragmaticamente ha in un primo momento parlato del fatto che questo testo "finisce col rafforzare la componente ebraica avversa al dialogo con la Chiesa cattolica"; successivamente, riferendosi ad una intervista del cardinale Kaspar, conclude che la sua affermazione, secondo cui si devono poter usare le formule liturgiche che più aggradano, cozza con il dialogo ebraico-cristiano, come sfondo di ogni possibile considerazione.

Nella stessa intervista il cardinale Kaspar, rispondendo al turbamento ebraico per l’invito alla conversione, indica con precisione nell’invocazione della preghiera "la speranza escatologica – cioè riferita agli ultimi tempi della storia – che anche il popolo di Israele entri nella Chiesa quando vi entreranno tutti gli altri popoli. Voglio dire che esprime una speranza finale e non un proposito di fare missione fra loro".

Capisco che, nonostante questa spiegazione, per’altro assai chiara, possa permanere in noi ebrei il turbamento per le persecuzioni, per le "conversioni forzate" e per le tragedie del passato. Credo però che il contesto del mondo in cui viviamo, almeno in Occidente, e il cammino percorso dal dialogo, ci dovrebbero permettere di affrontare la discussione con grande pacatezza, sul piano alto, teologico-filosofico, prima di darla in pasto ai media, alle loro semplificazioni e quindi a possibili, dannosi fraintendimenti. Vorrei ricordare la notizia, ben più grave, di oggi, apparsa su un blog anonimo circa una presunta lobby ebraica nell’Università la Sapienza, con accenti goebbelsiani, fine anni trenta.

Che tra Roma e Gerusalemme corra una particolare tensione messianica lo dimostrano le dispute medioevali (almeno fino a che furono possibili senza persecuzioni). Pensiamo a quella del Nachmanide a Barcellona del 1263, alla visione che nel 1270, nella stessa città ebbe Avraham Abulafia nella quale gli viene chiesto di recarsi a Roma a chiedere udienza al Papa. Dopo altri tentativi rinascimentali dovremo attendere il XX secolo perché i grandi papi come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, inizino ad ascoltare gli ebrei e a parlare con loro.

Il grande anticipatore, di parte ebraica nella ripresa del dialogo è il rabbino livornese Elia Benamozegh (1823-1900) che pur nella consapevolezza del pericolo mortale che la Cristianità ha costituito per il mondo ebraico (insegnamento del disprezzo e teologia della sostituzione della nuova alleanza alla precedente) non disconosce la grandezza del cristianesimo e della sua morale. In un celebre passo del suo Morale ebraica e morale cristiana del 1863 dice:"…inchiniamoci anche noi davanti a questo capolavoro di un pugno di ebrei, davanti a questo ramo del grande albero di Israele innestato sul tronco dei gentili. Vi riconosciamo l’impronta dell’ebraismo, lo spirito dei patriarchi, dei profeti, dei rabbini".

Ci poniamo ora una domanda: è legittimo e giusto far coincidere i termini conversione e riconoscimento? . Rav Di Segni ( così come a suo tempo papa PioV) ritiene di si.

In un piccolo, prezioso libro Marco Morselli (I passi del Messia, per una teologia ebraica del Cristianesimo)si pone in una posizione più problematica Non bisogna domanadarsi se il Cristo sia il Messia, perché la domanda è tautologica, ma se Rabbi Yeshua ben Joseph sia il Messia oppure no. Evidentemente ebrei e cristiani danno risposte diverse ed opposte. Riprendendo una frase di Franz Rosenzweig secondo cui "Gesù appartiene al Regno intermedio; se sia stato il Messia sarà dimostrato quando….il Messia verrà", commenta Morselli: "il non ancora unisce, senza identificarli, ebrei e cristiani". La speranza finale di cui parla il cardinale Kaspar sembra proporre questa attesa fra il Messia che deve venire per gli ebrei, e il Messia che deve ritornare (la Parusia) per i cristiani; è in questo regno intermedio che si gioca l’intera partita. Ma quasi centocinquantanni fa Elia Benamozegh ci propone una soluzione suggestiva: "Allora , la conciliazione sognata dai primi cristiani come una condizione della Parusia o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel grembo della Chiesa….si effettuerà in verità non nel modo in cui si è voluto attenderla, ma nel solo modo serio, logico e durevole, soprattutto nella sola maniera vantaggiosa per la nostra specie (l’umanità). Sarà come lo dipinge l’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, un ritorno del cuore dei figli ai lori padri e di quello dei padri ai loro figli (Ml,£,24), vale a dire dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate".

Forse la saggezza di Rav Benamozegh, con l’aiuto del Santo Benedetto, ci può venire in soccorso ancora oggi per spengere i pericoli di incendio.

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