Tre fattori avvantaggiano lo stato ebraico: ordigni più potenti, un sistema antimissile e l'aiuto degli americani WASHINGTON — È lo scenario dell'Apocalisse. Uno scontro nucleare tra Israele e l'Iran nel 2010. Uno scambio di colpi che durerà almeno tre settimane provocando un'ecatombe. Gli iraniani potrebbero avere tra i 16 e i 28 milioni di morti. Con una capacità economica ridotta allo zero. Molto meno gli israeliani: tra i 200 e gli 800 mila caduti. A loro si dovrebbero un numero imprecisato di vittime, contaminate dalle radiazioni del post-attacco. Ma, alla fine, lo stato ebraico dovrebbe sopravvivere. Una conclusione molto «teorica », una parola scritta in rosso per rimarcare che l'esito non è scontato. Questo il risultato di una simulazione del Center for Strategic and International Studies (Csis) di Washington. Gli autori, tra cui Anthony Cordesman, avvertono che lo scenario deve essere valutato con cautela in quanto non si hanno informazioni precise sulla reale capacità nucleare di Israele e ancora meno su quella dell'Iran. A determinare l'esito dello scontro sarebbero tre fattori- chiave: Gerusalemme dispone di ordigni più potenti, ha un sistema anti-missile, potrebbe avere un'ulteriore protezione da parte degli Stati Uniti. Inoltre gli israeliani sono in vantaggio nell'uso dei satelliti-spia e nella ricognizione a lungo raggio: questo determina una maggiore precisione nell'eventuale blitz. Il Csis, dunque, ritiene che malgrado gli sforzi — più o meno segreti — di Teheran di arrivare alla Bomba il gap rispetto a Israele resti incolmabile. Rispetto ad un conflitto convenzionale, sono i civili a finire in prima linea. Israele colpirebbero con missili a testata nucleare (circa 200), lanciati anche da tre sottomarini, le più importanti città iraniane e le installazioni sensibili. Oltre alla capitale, Teheran, sono considerate come possibili bersagli Tabriz, Qazvin, Isfahan, Shiraz, Yazd, Kerman, Qom e Ahwaz. Da parte loro gli iraniani avrebbero nel mirino delle loro potenziali 50 testate quattro aree ad alta densità: la zona di Tel Aviv, Haifa, l'area di Bersheba (compresa la centrale di Dimona) e nel sud, il porto di Eilat. Nella simulazione si sostiene che Israele potrebbe fronteggiare il lancio di missili terra-terra da parte degli ayatollah con uno scudo composto dal sistema Arrow 2 e da un eventuale supporto statunitense. Una previsione — forse troppo ottimistica — ritiene che un buon numero di ordigni sarebbero intercettati. Altro vantaggio per Israele la disponibilità di una riserva adeguata: consente di replicare ad un primo strike nemico e funziona da deterrente verso altri attori. Gli esperti non escludono però che il conflitto possa estendersi anche alla Siria, buona alleata di Teheran. Poiché Damasco non dispone ancora di armi atomiche si affiderebbe a ordigni chimici e batteriologici. In questo caso il bilancio delle vittime salirebbe: altri 800 mila israeliani e 18 milioni di siriani. Una differenza dovuta all'impatto della ritorsione israeliana condotta con bombe nucleari. In questo quadro nero gli autori ci lasciano una speranza. È possibile che proprio per le conseguenze devastanti l'Iran non si lancerà mai in una guerra atomica.
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