Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/12/2007, a pag. 41, il breve editoriale di Marco Ventura ancora sul caso Ramadan. E' bene sottolineare le responsabilità oggettive dell'intellettuale musulmano nei confronti del terrorismo. In gioco non è la libertà di pensiero, ma la connivenza con l'organizzazione del terrore. Ecco l'articolo:
Perché l'intellettuale musulmano Tariq Ramadan non può entrare negli Usa? Lo ha spiegato in una sentenza del 20 dicembre il giudice distrettuale Crotty della Corte federale di Manhattan. Tra il 1998 e il 2002 Ramadan ha versato somme ingenti ad associazioni legate al terrorismo palestinese, in particolare ad Hamas. È questo legame con le bombe che legittima il rifiuto del visto. Al giudice Crotty non interessano né i libri di Ramadan, le sue teorie e i suoi insegnamenti, né il Patriot Act — la legge speciale antiterrorismo approvata sull'onda dell'11 settembre — che limita la libertà di opinione consentendo di perseguire chi esprime solidarietà ai terroristi. Qui non sono in gioco le opinioni. Al giudice Crotty bastano i fatti: Ramadan ha dato soldi a chi uccide.
Naturalmente il giudice può aver valutato bene o male le prove; ma non è questo il punto. La grande lezione impartita dalla Corte di Manhattan al dibattito su Ramadan e più in generale sull'Islam è la distinzione tra parole e atti, tra pensiero e realtà. Per quanto possano pesare le idee, la bilancia pende dalla parte delle azioni.
Ciò vale per i pro Ramadan, accecati dalla battaglia per la libertà d'espressione e incapaci di vedere il sangue oltre le pagine dei libri. Ma vale anche per gli anti Ramadan, che ideologizzano la sentenza di Manhattan leggendovi il trionfo del Patriot Act sulla libertà di espressione del cattivo maestro islamico. Tutto il contrario. Il giudice Crotty non si occupa delle idee espresse da Ramadan, ma della sua condotta; non applica la restrizione speciale alla libertà d'espressione prevista dal Patriot Act, ma il diritto ordinario. Gli basta la distinzione più preziosa della nostra civiltà giuridica, quella tra la libertà d'opinione e la responsabilità per le proprie azioni.
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