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Il Foglio Rassegna Stampa
22.12.2007 Il gen.Petraeus spiega come si fa a combattere
intervistato da Rolla Scolari e Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 22 dicembre 2007
Pagina: 1
Autore: Rolla Scolari-Daniele Raineri
Titolo: «Petraeus ci scpiega come si fa a combattere il terrore e conquistare alleati dividendo il nemico»

Gli inviati del FOGLIO a Baghdad, Rolla Scolari e Daniele Raineri, hanno incontrato ieri il generale David H. Petraeus in un ex palazzo di Saddam, la reggia trasformata in ambasciata americana. Petraeus alloggia nel palazzo sull’acqua che fu della madre di Saddam, dentro Camp Victory, che un tempo è stato la riserva naturale dei figli del rais, Usay e Qusay, per battute di caccia a umani e non umani. A metà dell’intervista Petraeus si è alzato per andare davanti ai suoi tre computer con maxischermo. In tempo reale, può controllare ogni dato significativo in arrivo dall’Iraq e da Washington. Alle sue spalle, una cartina militare gigante del centro di Baghdad, davanti, la mappa politica dell’Iraq ricopre un muro intero. Si sveglia ogni mattina alle 5 e 30. Alle sei, i soldati lo vedono correre circondato da un gruppo della Delta Force in calzoncini. “Non sempre. Di solito, la prima cosa che faccio al mattino è controllare le mie e-mail, quelle private, quelle top secret”.

Ecco la loro intervista, titolo " Petraeus ci scpiega come si fa a combattere il terrore e conquistare alleati dividendo il nemico", 22/12/2007, di Rolla Scolari e Daniele Raineri.

Baghdad, dai nostri inviati.

 “La guerra è vinta quando le mie sentinelle fanno la guardia al tuo palazzo”, diceva il generale americano Dwight Eisenhower. In Iraq la guerra contro Saddam e il partito nazionalsocialista Baath è stata vinta. Ma, come un organismo già indebolito è aggredito più facilmente da altre malattie, così nell’Iraq post invasione del 2003 sono proliferati gli squadroni della morte paramilitari di al Qaida e delle milizie sciite. Il secondo tempo della guerra in Iraq è stato incredibilmente più violento ed è costato molte più vittime, sia tra la popolazione irachena sia tra i militari. Il generale David H. Petraeus, che ha assunto il comando nel febbraio scorso, con la sua nuova strategia sta invertendo la direzione delle cose, anche se resta ancora molto da fare. Il Foglio - Qual è stato il fattore che più ha contribuito al miglioramento della sicurezza? L’aumento del numero dei soldati? La collaborazione con la popolazione irachena? Il cessate il fuoco siglato con l’esercito del Mahdi di Moqtada al Sadr? O qualche altro fattore? Petraeus - E’ tutto quanto assieme, è un’equazione, c’è un numero di fattori che porta alla riduzione della violenza. In una zona di Qaida come Ghaziliya sud, quello che ha fatto la differenza è stato il dispiegamento di forze americane e irachene, di truppe addizionali irachene nel quartiere: non avevamo avamposti per pattugliare, e adesso invece – come potete vedere – ci sono i Jss (Joint security stations). E’ stata la graduale riduzione delle capacità di al Qaida nella provincia al Anbar come in alcuni quartieri di Baghdad, e alla fine il rifiuto crescente da parte della popolazione sunnita di al Qaida. Hanno cominciato ad associare sempre di più al Qaida alle ideologie estremiste, per la sua violenza anche contro i sunniti, per le sue pratiche oppressive. In certe aree hanno tagliato le dita alle persone che fumavano. Tutte queste cose hanno cominciato a pesare attorno al collo di al Qaida. I sunniti, poi, hanno compreso che non avrebbero più governato questo paese, l’hanno accettato, ma hanno anche realizzato che non per questo provincia di al Anbar non debba essere un bel posto dove vivere, dove crescere una famiglia, dove avere un lavoro. Certamente non sarà un bel posto finché al Qaida è là fuori. Se si allarga lo sguardo e si va a nord Ghaziliya, c’è anche il cessate il fuoco di Moqtada al Sadr che sta diventando più importante, ma ci sono ancora operazioni contro le frange fuori controllo dell’esercito del Mahdi che violano la tregua, e c’è un altro punto interessante: la popolazione sciita che oppone alle milizie sciite perché non ha più bisogno della loro protezione contro al Qaida o contro i guerriglieri sunniti. Gli sciiti sono diventati meno tolleranti nei confronti di queste gang mafiose armate nelle strade, che estorcono denaro ai negozianti, sequestrano le automobili e commettono violenze. E adesso c’è un po’ di revival economico, i mercati ricominciano ad aprire, c’è di nuovo una piccola opportunità di funzionamento per certe forme di capitalismo, ci sono cittadini volontari organizzati che conoscono i quartieri e non vogliono che al Qaida torni, vogliono contribuire alla sicurezza in molti casi vorrebbero essere parte delle forze di sicurezza irachene. Tutto questo è un cambiamento radicale considerando il boicottaggio delle elezioni parlamentari dei sunniti nel gennaio del 2005, e il fatto che in generale non erano intenzionati a partecipare al governo. Ma ora realizzano che ok, magari non sono al potere a Baghdad, ma questo non significa che non possano avere la propria quota di risorse del paese. Ad al Anbar per esempio hanno avuto il 140 per cento Con gli occhi di Petraeusin più in termini di budget rispetto a quello che avrebbero dovuto ricevere in origine, 107 milioni di dollari per il bilancio del consiglio provinciale, più 140 mila dollari per la ricostruzione provinciale, più altre seimila licenze aggiuntive per poliziotti e altri posti lavoro governativi. In più hanno avuto la riapertura del valico di al Khaim dopo due anni e mezzo, un’accademia di polizia a Habbaniyah e un’unità per l’addestramento alle armi e ancora, ancora, ancora, e ogni ministero ha iniziato a mettere soldi nelle attività che gli competono. Siamo ai primissimi progressi, al Qaida rimane molto pericolosa, vediamo con tristezza che vuole ancora fare azioni violente, ma con molta meno frequenza. Perché quartieri come Ghaziliyah, Aramiyah e Adamiyah sono stati ripuliti. C’è ancora molto da fare, non fraintendetemi, per favore, non pensate che ci sia qualcuno che indossa l’uniforme nella missione Mnf-I che stia festeggiando o facendo danze di vittoria oltre la linea di meta, come si dice nel football. I progressi comunque ci sono. La riduzione degli attacchi del 60 per cento in sei mesi è significativa. Sono sicuro che voi avete visto i risultati per le strade di Baghdad. C’è traffico. Abbiamo visto persone fare canottaggio sul Tigri. Quando l’ho detto in giro, hanno chiesto quanti giorni i corpi sono rimasti in acqua.

 F - Come ha fatto a motivare i suoi soldati affrontare rischi più grossi fuori dalle loro basi per realizzare la sua nuova strategia, dopo quattro anni di guerriglia logorante? P - Prima di tutto i nostri manuali di counterinsurgency, i nostri corsi, il nostro sistema educazione professionale e militare: tutto questo è cambiato negli anni. Il messaggio molto chiaro che ne è uscito è stato ancora una volta: per garantire sicurezza alla popolazione devi viverci assieme. Per cambiare organizzazioni e istituzioni devi cambiare prima le grandi idee, la dottrina, quindi i vertici, che sono stati educati a questo, poi lo metti in pratica e lo fai. I nostri ufficiali l’hanno capito e sono stati pronti a farlo. Il generale Ray Odierno merita un enorme riconoscimento, è stato l’architetto a livello operativo, come “corp commander”. Tutto è iniziato con le Jss, e con le basi di pattugliamento, poliziotti, outpost di combattimento, posto di blocco, c’è bisogno di tutto questo di un numero consistente di persone per mantenere un’area che è stata modificata. In tutto questo gli iracheni sono stati molto importanti, hanno aggiunto oltre 100-110 mila soldati e poliziotti – molto oltre il nostro surge” – e 75 mila volontari. E questo è quello che ci permetterà di restringerci, se faremo, e di ritirarci.

 F - Sul piano personale, qual è stato il momento più difficile durante l’applicazione della sua strategia? Ha mai avuto dubbi sul fatto che avrebbe funzionato? P - Abbiamo avuto tempi duri e ho già detto “questo sarà difficile prima di diventare facile” e l’ho ripetuto più di una volta. Lo sapevamo: quando metti un avamposto in un’area che è un santuario di al Qaida, ti combatteranno. Ed è per questo che noi e la nostra controparte irachena… a proposito, ci si focalizza molto sulle forze della Coalizione, ma le perdite degli iracheni sono due, tre volte le nostre, loro stanno combattendo e morendo per il proprio paese. Quando siamo andati più all’offensiva per bonificare questi santuari di al Qaida, come a Baquba Ramadi, loro c’erano e avevano relativamente mano libera, quando abbiamo messo basi avanzate in queste zone, al Qaida ci ha lanciato contro autobomba multiple, anche contro i muri delle basi, l’onda d’urto poteva uccidere i soldati all’interno. Abbiamo avuto questi mesi difficilissimi, maggio e giugno, quando abbiamo dovuto dare la caccia ad al Qaida e affrontare quello che in gergo militare si chiamano difese organizzate. A Baquba per quasi un anno ci sono stati Ied, non si poteva circolare ad Amariyah non in un carroarmato o in un veicolo da battaglia. A Ramadi non potevi andare da Camp Diamond al Palazzo del governatore non in un carroarmato. Se lo facevi eri colpito immancabilmente da un Rpg, e forse Ied. Ricordate la Iris Route verso l’aeroporto? Era pericolosa perché non eravamo stati in grado di ripulire Amariyah, proprio nord della strada. Ci sono stati tempi duri momenti difficili, per il generale Odierno, per me e per altri ufficiali, ed è stato duro prima che diventasse più facile. Ci saranno altri giorni duri, non c’è nessuno che neghi che al Qaida è stata abietta, crudele, indiscriminata, senza rispetto per la vita umana per le infrastrutture, e non c’è nessuno che neghi che ci sono alcuni estremisti appartenenti alle milizie che non osservano il patto d’onore siglato da Sadr e che continuano a portare avanti azioni violente contro gli iracheni e la Coalizione facendo precipitare la violenza a Qarbala, durante le feste sacre. E’ imbarazzante e triste che uno dei maggiori eventi dell’anno islamico sciita sia devastato dalle milizie. 

Il Foglio - L’interferenza iraniana, il sostegno alle milizie sciite che lei ha più volte sezionato nei suoi rapporti, sta diminuendo o aumentando? Petraeus - Il fatto è che il numero degli attacchi con armi “firmate” Iran e fornite dall’Iran – Efp, explosive formed penetrators, razzi da 240 mm, rpg 29, missili portatili terra aria – è sceso: in alcuni casi a zero, in altri si è significativamente abbassato. Il Jeish al Mahdi mantiene il cessate il fuoco e l’Iran potrebbe averglielo suggerito. Chi lo sa, considerato che Sadr ha passato in Iran la maggior parte dell’anno. Un’altra ragione è che le attività della milizia stavano danneggiando la reputazione del movimento di Sadr, che si fonda sul principio di servire la popolazione, e non sull’estorsione di denaro, rovinare le celebrazioni religiose, sequestrare ministri, uccidere governatori e capi della polizia. Tutte queste attività non hanno resa cara la milizia a quelle persone che la vedevano come una protezione utile contro al Qaida, ma che, adesso che al Qaida è stata rimossa, non sono più disposti a farlo. Non c’è dubbio che alcuni di questi elementi – in particolare quelli dei cosiddetti Gruppi speciali, che sono stati addestrati equipaggiati e diretti dall’Iran – sono meno attivi e forse l’Iran è responsabile. Detto questo, non c’è dubbio anche che Teheran abbia continuato ad addestrare e finanziare membri di gruppi molto speciali: abbiamo arrestato alcuni di loro recentemente, alla fine di ottobre, e ci hanno detto di essere stati addestrati in Iran, hanno descritto il meccansimo di finanziamento e il tipo di armi fornite. L’immagine non è del tutto chiara. Un altro fattore è che i leader iracheni hanno chiesto ai leader iraniani a livello alto di mettere fine all’addestramento e al finanziamento indiretto delle milizie, e i leader iraniani hanno promesso di farlo. Auspichiamo la conferma da parte degli iraniani della loro eccellenza nel mantenere le promesse. La Siria ha fatto di più per ridurre il flusso di combattenti stranieri. Altri paesi da cui provengono i combattenti stranieri hanno fatto di più per combattere il terrorismo, e se guardi a come si affronta l’estremismo globalmente lo fai attraverso l’educazione, con l’essere competitivo sul mercato delle idee, assicurandoti che uomini in divisa militare non possano comprare un biglietto di sola andata per Damasco dalle loro capitali d’origine senza che qualcuno prima faccia loro almeno un paio di domande. E combattendo l’esportazione di estremismo. Alcuni paesi della regione sono stati di molto aiuto contro al Qaida, e poi c’è stato il danno che abbiamo arrecato ad al Qaida. Abbiamo ucciso l’emiro dei combattenti stranieri, Osama alTunisi, e abbiamo ucciso un altro emiro di alto livello che comandava 800 combattenti stranieri entrati nel paese tra l’agosto del 2006 e quello del 2007. L’instancabile caccia ai membri del network e l’azione contro loro capacità di comunicare con i leader di al Qaida è interessante perché dimostra che al Qaida sa di essere stata danneggiata in modo serio. Alcuni leader hanno lasciato l’Iraq, così come alcuni dei Gruppi speciali, a causa della costante pressione sulle reti e la tenacia nel perseguirli delle nostre forze convenzionali speciali, degli iracheni e dei volontari. F-

A Ghaziliyah e Amariyah abbiamo potuto vedere lavoro giovani ufficiali americani. Mediavano tra fazioni rivali in un paese straniero. Sta comparendo una nuova generazione di soldati americani? L’esercito americano è arrivato in Iraq per cambiare il paese: l’Iraq sta cambiando l’esercito americano? P - E’ straordinario. Non è incredibile? Ci sono due cambiamenti enormi da quando ho lasciato al termine del mio secondo turno in Iraq nel settembre 2005 e sono tornato nel febbraio del 2006. Il primo grande cambiamento è stato l’enorme danno fatto dalle violenze settarie. Il primo quartiere in cui sono andato di pattuglia è Ghaziliyah: mi ricordavo un quartiere borghese, prospero e sono rimasto scioccato. Il tessutodella società irachena era strappato in due dalle violenze settarie. Qualcuno dice che le violenze sono scese perché non è rimasto nessuno da uccidere nel quartiere. Non ha senso. Ogni quartiere confina con altri quartieri e le violenze scavalcherebbero presto questi confini. La seconda grande differenza è come i nostri leader e le nostre truppe hanno “get it”, hanno capito questa impresa molto complicata, che richiede la conoscenza della popolazione, dei loro quartieri, sette, cultura, gruppi etnici, di come funziona la struttura del governo nel fornire servizi base, come gira il flusso di denaro, come sono organizzate le forze di sicurezza. L’Iraq sta cambiando l’esercito americano, come l’Afghanistan e le operazioni nelle Filippine. Abbiamo cambiato come prepariamo le unità, come facciamo le operazioni, come raccogliamo l’intelligence. Poi per capire la lingua, il popolo lavoriamo con degli antropologi.

 F - Che cosa ha pensato quando ha visto sul New York Times la pagina comprata da MoveOn.Org che la accusava di tradimento (General “Betray Us”, betray “tradire”)? P - Ero molto concentrato nella preparazione del rapporto al Congresso, su quello che stavo per fare, altre persone pensavano molto più alla pagina. Privilege to serve.

 F - Abbiamo sentito dai soldati storie tra realtà leggenda. Una è confermata da molte fonti. In Kuwait andato nella palestra della base in tuta senza i gradi, ha sfidato dieci marine a fare sollevamenti alla sbarra e, quando loro hanno smesso, lei ha continuato dicendo: “Ditemi voi quando mi devo fermare”. P - C’è stata qualche sfida, ogni tanto. Di solito lanciata da altri. C’è molta energia e tutti vogliono mostrarla.

 F - C’è un futuro in politica per il generale Petraeus? P - No, no, no. Abbiamo una frase che è lo “Shermansque statement” in inglese, la mia risposta è sua. Dal generale Sherman della guerra civile. Se nominato non accetterò, se sarò eletto non servirò. Non sto dicendo questo, come lui, ma non non ho il desiderio di entrare in politica. Ho un grande rispetto per quelli che lo fanno, è un lavoro duro. Sono onorato indossare l’uniforme e di servire il mio paese. E ho privilegio di servire con quelli che chiamano “the new greatest generation”. Un corrispondente, Tom Brokaw, chiamò quella della Seconda guerra mondiale greatest generation” e io credo che questa sia la nuova “greatest generation”. Mi sento privilegiato nell’essere soldato con loro in una grande impresa, ma non ho aspirazioni politiche.

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