Studenti iraniani contro Ahmadinejad una cronaca e un'intervista al dissidente Amir Abbas Fakhravar
Testata: Corriere della Sera Data: 10 dicembre 2007 Pagina: 12 Autore: Viviana Mazza - Gianna Fregonara Titolo: «Iran, studenti contro Ahmadinejad - La nuova generazione può trasformare il paese»
Dal CORRIERE della SERA del 10 dicembre 2007, una cronaca di Viviana Mazza :
Alcuni studenti si tengono per mano e sollevano cartelli in cui promettono, in farsi e in inglese, di «Vivere liberi o morire », in cui difendono l'università di Teheran, «l'ultimo bastione della libertà». Altri, con le facce paonazze, si scagliano contro il cancello d'ingresso al campus fino a piegarne le sbarre e sfondarlo. Gridano «Ahmadinejad come Pinochet, ma l'Iran non sarà come il Cile», lo stesso slogan di una manifestazione di ottobre, quando il presidente iraniano si presentò nell'ateneo per inaugurare l'anno accademico. Ieri all'Università di Teheran, centinaia di studenti, provenienti anche da altri atenei (1.500 secondo gli organizzatori), hanno protestato, chiedendo la liberazione delle decine di colleghi arrestati nei giorni e mesi passati e in particolare di tre universitari condannati a due-tre anni di prigione per «attentato alla sicurezza nazionale » a causa di pubblicazioni critiche del governo. L'altro ieri erano finite in manette altre «persone trovate in possesso di cartellini studenteschi contraffatti » mentre tentavano di introdursi nell'università di Teheran. In realtà, gli studenti riformisti avevano già programmato una manifestazione per la Giornata nazionale degli Studenti (il 6 dicembre), evento tradizionalmente antiamericano, ma concepito in chiave anti- Ahmadinejad. La polizia l'aveva prevenuta arrestando martedì 28 organizzatori in tutto il Paese. Tra questi, Ali Azizi, del politecnico di Amir Kabir: membro del comitato centrale del gruppo studentesco riformista Tahkim Vahdat, stratega delle proteste da un anno. Proprio ad Amir Kabir lo scorso dicembre si tenne la prima dura manifestazione contro Ahmadinejad «il dittatore». Al Corriere, Azizi aveva di recente segnalato «la sorveglianza costante degli studenti dentro e fuori il campus, il monitoraggio delle loro comunicazioni con gli attivisti politici». Ma la sorveglianza e gli arresti non hanno fermato gli studenti. E la polizia ieri non è intervenuta, sebbene a una contromanifestazione diversi studenti «basiji » progovernativi chiedessero la repressione della protesta nel campus di Teheran.
Un'intervista di Gianna Fregonara al dissidente esule negli Stati UnitiAmir Abbas Fakhravar, a Roma per il convegno"Combattere per la democrazia nel mondo islamico" (10-11 dicembre):
ROMA — Amir Abbas Fakhravar, 32 anni e 19 arresti con l'accusa di offesa al regime e di tentativo di ricostituire il movimento studentesco annientato alla fine degli Anni Novanta prima di fuggire, propone una nuova strategia per importare la democrazia nel suo Paese: il ricambio generazionale. Perché «il 75 per cento dei miei connazionali ha meno di 45 anni, trasformare l'Iran è ormai un compito nostro». Negli Stati Uniti, dove è arrivato scortato dal teorico dei neo-con Richard Perle un anno e mezzo fa, ha costituito l'Iranian Enterprise Institute. A Teheran dove è stato sottoposto a quella che Amnesty ha definito la «tortura bianca» — due mesi in una stanza bianca insonorizzata, vestito di bianco, mangiando solo riso — lo aspetta un ordine di sparargli a vista. Oggi è a Roma per il convegno «Combattere per la democrazia nel mondo islamico» (ore 10.30, sala del consiglio della Camera di Commercio). Come è fuggito dall'Iran? «Ero nella prigione di massima sicurezza, insieme a delinquenti comuni. Ho pagato una tangente, tremila dollari per un passaporto nuovo. Nella burocrazia iraniana c'è molta confusione, non è un sistema così infallibile. Ci hanno messo una settimana ad accorgersi che me ne ero andato». In che Iran vorrebbe tornare, un giorno? «In un Iran laico e democratico. Quel giorno non è lontano». Come si «importa» la democrazia? «Nel 1999, con la rivolta studentesca, ci fu l'ultimo tentativo di rovesciare il regime. Fummo sconfitti: non avevamo l'appoggio dell'opposizione né il sostegno internazionale né la copertura dei media. Eppure abbiamo tenuto in scacco il regime per una settimana: in un interrogatorio i servizi segreti hanno ammesso che i vertici erano terrorizzati. Ho pensato: che cosa abbiamo fatto da soli!». Cosa si aspetta dall'Occidente, dagli USA? «Non vogliamo la guerra. Non siamo soldati. Ma se ci fosse un'azione militare americana, sarebbe la benvenuta tra la gente». In Iraq non è andata proprio così. «Solo chi ha vissuto in Iran negli ultimi anni sa quanto è dura la vita lì e quanto la gente aspetta un intervento esterno. Per questo mi arrabbio con la sinistra pacifista: è intellettualmente idiota, non capisce la complessità della situazione. Il punto è trovare un'alternativa alla necessità dell'azione militare». E la sua alternativa quale è? «Sanzioni durissime. I Paesi occidentali devono rinunciare al petrolio iraniano: questo farebbe implodere il regime. Abbiamo fatto due rivoluzioni in cent'anni, potremmo farne un'altra». Se gli iraniani sono stufi del regime, perché han votato in massa per Ahmadinejad? «Secondo il ministero dell'Interno, nelle ultime elezioni in certi collegi ha votato l'800 per cento degli aventi diritto». La dissidenza iraniana è divisa e poco costruttiva. Si può riunificare? «Noi andiamo avanti per la nostra strada. Siamo la nuova generazione, l'Iran appartiene a noi: non faremo gli errori dei "vecchi"». L'ultimo rapporto americano sul nucleare dice che il programma iraniano si è fermato. Ci crede? «Presto ci sarà un documento che dimostrerà gli errori madornali di questo rapporto». Un eventuale cambio a Washington nel 2008 pregiudica la vostra battaglia? «Chiunque arriverà, dovrà occuparsi dell'Iran. Faremo lobbying con intelligenza».
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