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Il Foglio Rassegna Stampa
19.10.2007 La vera storia dell’assedio alla Natività
un articolo di Toni Capuozzo

Testata: Il Foglio
Data: 19 ottobre 2007
Pagina: 2
Autore: Toni Capuozzo
Titolo: «Betlemme 2002»

Dal FOGLIO del 19 ottobre 2007

Quando leggerete queste note sarà già tardi, ma non importa. Questa mattina si presenta a Roma un agile libretto, a firma di Salvatore Lordi. Non ho mai usato questa rubrica per recensire libri, e in qualche modo sono imbarazzato da un conflitto di interessi – la prefazione del libro porta la mia firma – ma l’interesse per il contenuto di quelle pagine è più forte di altri. Dunque il libro narra di quella vicenda confusa che per qualche settimana attirò su di sé l’attenzione del mondo, finendo rubricata negli occhielli in testa alle pagine come l’“assedio della Natività”. Ne ho scritto la prefazione non solo perché restai intrappolato in quella storia per qualche ora, ma perché quella intera storia restò intrappolata in quell’occhiello (“Natività assediata”) e il libro di Lordi costituisce un onesto tentativo di indagine su una storia molto più complessa. Dal mio punto di vista fu, banalmente, una vicenda annunciata. Si capiva che sarebbe andata così, nei giorni in cui tutti attendevano il ritorno dei carri israeliani a Betlemme, e in cui tutti si chiedevano cosa avrebbero fatto i militanti palestinesi: tutto meno che affrontarli a viso aperto. In un servizio di quei giorni feci una previsione facile facile: avrebbero cercato di mettere tra sé e gli israeliani i luoghi sacri. Fare una battaglia casa per casa sarebbe stato sanguinoso per la popolazione civile, usare i luoghi sacri avrebbe messo gli israeliani in imbarazzo davanti al mondo. E così avvenne, anche se non potevo prevedere che ci sarei finito in mezzo, costretto con altri colleghi a rifugiarmi nel convento di Santa Caterina, dove da lì a poco avrebbero fatto irruzione i palestinesi. Li vidi entrare, e capii, da come si abbracciavano che non festeggiavano un riparo improvviso raggiunto fra mille difficoltà, ma l’obbiettivo riuscito, dopo averlo immaginato, preparato, cercato. E sentii, come gli altri colleghi, gli spari dal tetto della Basilica, indirizzati verso gli israeliani, perché rispondessero, secondo uno schema già impiegato a Beit Jalla, da dove i miliziani sparavano, appostati nelle case delle famiglie cristiane, e poi se la davano, sperando in una cannonata che avrebbe fatto fremere l’opinione pubblica mondiale. Tattiche sporche, ma perfino legittime, davanti al più forte, a patto che siano ammesse, raccontate, e questo farsi scudo di civili e luoghi sacri non venga ricoperto dalla retorica del Davide e Golia. Questo, e altro, successe in quelle ore, in cui ebbi modo di verificare l’abbondanza di scorte alimentari del convento, e l’abbondanza dell’armamento dei palestinesi. Ma fu una storia non raccontata, quando riuscimmo a uscire grazie al buon lavoro di Gianni Letta, della nostra rappresentanza diplomatica a Gerusalemme Est, e alla rassegnazione con cui gli israeliani rinunciarono al blitz in cui ci avrebbero usati come scusa. I miei colleghi raccontarono un’altra storia, e io parlai a bassa voce, perché avevo a cuore la sorte di quelle suore e dei frati, ed ero schiacciato dalla piega che aveva preso la storia. Per inciso, la vicenda della Natività fu accompagnata da altre fole giornalistiche: la situazione in un convitto di suore, che secondo alcuni erano ridotte allo stremo, e che invece sconfessarono ogni cosa, quasi offese che si mettesse in dubbio la loro capacità di resistere a tempi difficili. E quella incursione nel convento delle suore brigidine, probabilmente frutto di uno sbaglio per il gruppo di miliziani che aveva mancato l’obbiettivo indicato: la Natività.
Chi vinse e chi perse (anche la vita)
Vinsero loro, nei media e nel ricordo, e nelle trattative che consentirono l’esilio a un po’ di ricercati. L’unico a perdere, e perse la vita, fu il campanaro della Natività, un tipo strambo che venne ucciso da un cecchino, credo israeliano. Perse la sua quiete la basilica, dove adesso va in visita Condoleezza, ma dove i frati delle diverse confessioni hanno rivangato a lungo, e a volte a cazzotti tra di loro, quello che avvenne in quei giorni. E perse la tanto declamata Verità: altre furono le versioni ufficiali di quanto avvenne, e la storia restò presto e poi per sempre incastonata in quella definizione di comodo: l’assedio della Natività. Una storia perfetta, quasi un modulo già compilato: da una parte i deboli che bussano al convento, dall’altra i prepotenti che lo circondano riducendolo a pane e acqua. Fu un fatto di pigrizia mentale, di adattamento della realtà ai propri pregiudizi e anche semplicemente di punti di vista diversi: sta di fatto che nessun dietrologo al mondo cercò mai di smontare le versioni ufficiali né la vulgata dei media, nessun sito di controinformazione fu mai tentato di analizzare la piantina del convento e della chiesa, o anche solo i rifiuti che vennero ritrovati nella basilica il giorno dopo la fine. E nessun europarlamentare scrisse mai una controinchiesta, né alcun osservatore notò in quegli avvenimenti il preannuncio di una deriva fondamentalista tra i palestinesi, e di un rapporto con i cristiani di Palestina molto meno liturgico di quegli appuntamenti fissi di Arafat alla messa di Natale, proprio in quella fatidica basilica della Natività: quando, nei casi in cui il blocco israeliano impedisse al rais di essere presente, la sedia in prima fila veniva lasciata vuota, con solo una kefia bianca e nera poggiata sullo schienale, per strappare un brivido e uno struggimento a tutti gli uomini di buona volontà del mondo.

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