La menzogna sulla "Israel lobby" intervista all'ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti
Testata: Il Foglio Data: 26 settembre 2007 Pagina: 1 Autore: Amy Rosenthal Titolo: «L’ex ambasciatore israeliano in Usa smonta il libro sulla “Israel Lobby”»
Da pagina 1 dell'inserto del FOGLIO del 26 settembre 2007:
Gerusalemme. Daniel Ayalon è stato ambasciatore israeliano negli Stati Uniti dal 2002 al 2006 e ha avuto un ruolo fondamentale nell’ambito della Roadmap, lo storico scambio epistolare tra il presidente americano Bush e l’allora primo ministro di Israele, Ariel Sharon. Prima di diventare ambasciatore, è stato consulente di politica estera dei primi ministri Benjamin Netanyahu e Ehud Barak, dal 1997 al 2000, periodo in cui fu testimone diretto dei negoziati di Camp David del 2000 tra Barak e l’allora presidente dell’Olp, Yasser Arafat. Con la sua profonda conoscenza sia della politica estera americana che di quella israeliana, Ayalon ci permette di sbirciare in anticipo l’articolo che ha scritto per il “Jerusalem Post”, intitolato “The Deadliest Lies” (le menzogne più mortali), in cui, come dice lui stesso, riprende “le affermazioni e le ipotesi superficiali avanzate da Stephen Walt e John Mearsheimer nel loro libro ‘La Israel lobby e la politica estera americana’”. “Gli autori iniziano con affermazioni gravi: dichiarano innanzitutto che Israele rappresenta una zavorra strategica e morale per gli Stati Uniti e, in secondo luogo, che l’entità degli aiuti americani al paese è sproporzionata”. Per dissipare dubbi sulla possibile veridicità della prima tesi, Ayalon ci spiega che “Walt e Mearsheimer rampognano Israele per l’occupazione. E non dicono mai che Israele si era offerto di porre fine all’occupazione nel 2000, a Camp David. Guardi, io c’ero e ricordo Dennis Ross, il coordinatore speciale di Clinton per il medio oriente, dire allora, come ripeté più volte anche in seguito, che Arafat non aveva fatto alcuna controproposta”. Per quel che riguarda gli aiuti statunitensi, cita la Corea del sud: “Gli Stati Uniti impegnano in quel paese 40 mila soldati sin dal 1953; il loro sostegno alla Corea del sud supera quanto è stato fatto per Israele. Per di più, Israele non riceve aiuti economici, ma solo militari”. Ayalon inoltre ritiene che, quando Walt e Mearsheimer sostengono che la lobby israeliana a Washington abbia avuto un ruolo di primo piano nell’invasione dell’Iraq, la loro posizione sia del tutto irragionevole. Spiega: “Ancora una volta, io c’ero quando si stava preparando la guerra in Iraq, e posso dirle sulla scorta della mia personale esperienza di ambasciatore a Washington che Sharon, nelle varie consultazioni con Bush, non gli ha detto nemmeno una volta che gli Stati Uniti dovessero scendere in guerra contro l’Iraq”. Fa notare risolutamente che “la politica americana nei confronti dell’Iraq è stata decisa alla Casa Bianca, al Pentagono e ad Dipartimento di stato, e Israele non è mai stato coinvolto durante tutto il processo decisionale”. “Trovo assurdo – fa notare ancora Ayalon – che gli autori abbiano dedicato il libro a Samuel Huntington, autore di ‘Lo scontro delle civiltà’”. Ride: “L’assurdità è che è proprio quello che sta succedendo tra Israele e i paesi confinanti in questo momento. Ovunque vada Israele, lì andrà anche l’occidente. Anche il mondo musulmano lo ammette. Ora mi chiedo: perché Walt e Mearsheimer non vi fanno nemmeno cenno? Francamente, è questa l’essenza dell’alleanza tra America e Israele”. Ayalon sostiene che l’intento del libro sia molto chiaro: “Innanzitutto vuole gettare discredito su Israele in quanto alleato e, in secondo luogo, mettere in cattiva luce e delegittimare la lobby israeliana. Ma sappiamo che si tratta di un’unione assai poco salda di singoli e gruppi pro Israele. Il libro crea l’impressione che si tratti di una rete ebraica, il che è fasullo, ma basta prendere il New York Times per trovare ebrei che sbraitano contro gli ebrei”. Chiediamo ad Ayalon se il libro di Walt e Mearsheimer sia antisemita, e la risposta arriva con ironia: “Se i marziani atterrassero dallo spazio e lo leggessero, sicuramente diventerebbero antisemiti”. L’ambasciatore dubita anche che il testo possa avere grande impatto sull’opinione pubblica americana: “Più volte i sondaggi ci hanno detto che la gente, in America, sostiene Israele con grande convinzione”. A braccio, Ayalon passa alle prospettive di un accordo di pace tra Israele e i palestinesi entro breve e, come ci dice in modo inequivocabile, “questo non ha nulla a che vedere né con gli Stati Uniti né con il presidente Bush”. Le sue parole rispecchiano quelle del ministro degli Esteri di Gerusalemme, Tzipi Livni, sul vertice di novembre: “Il massimo che gli Stati Uniti possano fare è offrire un contesto, ma alla fine l’accordo di pace deve essere deciso da Olmert e Abu Mazen”. Amy Rosenthal (traduzione di Elia Rigolio)
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