domenica 22 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
09.08.2007 "Ogni volta che gli ebrei lasciano Hebron è un giorno triste"
la vicenda dei coloni alla luce della storia

Testata: Il Foglio
Data: 09 agosto 2007
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Viva i coloni! E’ sempre triste il giorno in cui gli ebrei lasciano Hebron»
Dal FOGLIO del 9 agosto 2007:

La città di Hebron, dove poche centinaia di ebrei vivono in mezzo a decine di migliaia di palestinesi, è il più dirompente inveramento della presenza ebraica in terra d’Israele. Tsahal ha sgomberato alcune famiglie che avevano occupato abusivamente gli edifici. Come scrisse Amos Oz nel 1997, quando Benjamin Netanyahu si spartì la “Citta dei Quattro” con Yasser Arafat, “ogni volta che gli ebrei lasciano Hebron è un giorno triste”. Fra quelle mura sono sepolti Abramo, la moglie Sara, il figlio Isacco e sua moglie Rebecca, quindi Giacobbe, sua moglie Lea e il figlio Giuseppe. La città fu occupata da greci, romani, arabi e mammalucchi. Di loro non resta niente, gli ebrei sopravvissero alle dominazioni. Dal 1266 fu loro vietato l’ingresso nella Grotta dei patriarchi, dovevano lasciare le preghiere nelle fessure della roccia. Nel 1518 gli ottomani ne ammazzarono a centinaia, ma una comunità di saggi della Torah vi tornò a vivere. Nel 1929, senza che ci fosse stata provocazione verso gli arabi, sessanta ebrei furono massacrati in un pogrom. Non c’erano territori contesi: l’inerme comunità di Hebron fu distrutta perché ebraica. La scena si ripeté sette anni dopo. Al grido “Itbakh al Yahud!”, uccidete i giudei, la folla araba cancellò le tracce della “vera presenza” autoctona e preislamica. Quando dopo il 1967 gli ebrei tornarono a vivere nel cuore di Hebron, mancavano da una generazione. Il rabbino Shlomo Goren fu il primo ebreo dopo settecento anni a rimettere piede nella grotta dei patriarchi. A Hebron non c’è traccia di franchi, ottomani e inglesi, ma un ebreo che ne bacia le pietre ancora c’è. Come scrive Paul Johnson, “gli ebrei sono il popolo più tenace della storia, Hebron lo prova”. David Ben Gurion la definì “sorella di Gerusalemme”. Abramo vi soggiornò al suo arrivo, lì il re David ha vissuto per sette anni e la città è menzionata nella Torah più di ottanta volte. Nel 1870 un ebreo turco, Haim Romano, acquistò un edificio che prenderà il nome di Beit Hadassah. Lì una manciata di ebrei sarebbero tornati dopo la Guerra dei Sei giorni. A quegli ottocento ebrei i palestinesi negano ciò che Israele garantisce a centinaia di migliaia di arabi islamici. Il diritto di vivere in libertà. E di scegliere dove vivere. All’indomani della guerra del 1967 il governo israeliano vietò la presenza di ebrei a Hebron. Il veto fu infranto dal rabbino Moshe Levinger un anno dopo. Neanche Moshe Dayan, il conquistatore che, dopo aver pregato al Muro del Pianto, affidò all’autorità islamica il Monte del Tempio, trovò la forza di sgomberarli. L’artista hasid Baruch Nachshon seppellì il figlioAvraham nell’antico cimitero di Hebron, a pochi metri dai resti degli ebrei del 1929. Era il primo ebreo a riposare nuovamente in città, era stato il primo a essere nuovamente circonciso nella cava di Macpela in sette secoli. Sua madre Sarah disse al funerale: “Quattromila anni fa Abramo acquistò Hebron per seppellire sua moglie Sarah. Stasera Sarah riacquista Hebron per seppellire il figlioAvraham”. Nel 1979 una processione di donne e bambini si diresse verso il Beit Hadassa. Fra di loro c’erano i nipoti del salasso del 1929. Stavano rivendicando il diritto a reinsediarsi là dove erano stati estirpati. La logica di chi sceglie di vivere a Hebron è: “Ogni concessione è un passo verso la sconfitta”. Lezione ancora più vera dopo il ritiro da Gaza. A ricordarcelo sono una manciata di “coloni”, eroi del nostro tempo che lì hanno costruito, per poi abbandonarli, i rifugi dall’oppressione patita nei paesi arabi e comunisti.

Per inviare una e-mail alla redazione del Foglio cliccare sul link sottostante

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT