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Il Giornale - L'Opinione Rassegna Stampa
10.05.2007 Di cosa si stupisce Bertinotti ?
lui si comporta come un politico di parte e la politica estera italiana è faziosa irresponsabile: le contestazioni all'estero sono inevitabili

Testata:Il Giornale - L'Opinione
Autore: Massimo Teodori - Dimitri Buffa
Titolo: «I calembour di Bertinotti l'ircocervo - Fausto “nun vò fa l'americano”»

L'editoriale di Massimo Teodori dal GIORNALE del 10 maggio 2007:

 Siamo noi a meravigliarci che Fausto Bertinotti si sia stupito di essere stato duramente contestato a Gerusalemme dai rappresentanti dell'ebraismo italo-israeliano. Il Presidente sa bene che da sempre la sinistra massimalista è stata portatrice di sentimenti anti-israeliani e anti-americani, e che il suo slogan preferito - «Due popoli, due stati» - può al massimo servire a rafforzare la sua immagine ecumenica, ma non a cambiare la sostanza politica di Rifondazione comunista e degli altri gruppi dell'estrema sinistra.

Anche oggi, quando Bertinotti sostiene che Hamas ed Hezbollah sono legittimati perché votati da palestinesi e libanesi, difficilmente potrebbe aspettarsi l'applauso degli israeliani che vivono nel terrore dei kamikaze e dei razzi provenienti proprio da quei terroristi considerati «legittimati» dal voto. La verità è che Bertinotti è una specie di ircocervo che ha la testa istituzionale di presidente della Camera e il corpo con la coda di leader politico di un partito che si chiama, secondo un nonsense tutto italiano, della «Rifondazione comunista». Ma tali animali non esistono in natura e neppure in politica perché nascono da fantasie mostruose. In una liberal-democrazia degna di questo nome il ruolo istituzionale svolto in patria e all'estero dovrebbe essere incompatibile con il ruolo del politico, tanto più se si tratta della leadership di una sinistra comunista, no-globalista o movimentista. A Bertinotti piace la scena politica, e perciò la imbelletta di eleganti calambour lessicali. Quando è sulla piazza mediatica non si trattiene dal sentenziare sulla Telecom che «ha evitato il peggio degli americani con la cordata Telefonica-Mediobanca», sul referendum elettorale che è «un colpo per la democrazia», o su Mediaset che «dovrebbe essere messa a dieta».

Così, quando il Presidente parla, ognuno si chiede se si tratti della voce dell'istituzione o della linea politica di una gauche più o meno estrema. Sappiamo che Bertinotti si sta adoperando per essere accettato come leader di uno schieramento che vuole governare, e quindi si ingegna sulla nonviolenza, sulla meditazione da introdurre nel Parlamento italiano ispirandosi al Monte Athos, o sull'ecumenismo etnico e religioso, tanto da meritare premi e riconoscimenti a destra e a manca. Ci domandiamo tuttavia se il leader della rifondazione comunista non farebbe meglio a meditare sull'impossibilità di riproporre quel «Dio che è fallito», di cui scrissero sessant'anni fa i giganti dell'antitotalitarismo, I. Silone, A. Koestler, R. Wright, A. Gide, St. Spender e R. Crossman. E sarebbe davvero edificante se il «grande parolaio» riuscisse finalmente a comprendere che la funzione della terza carica dello Stato non può essere svolta in maniera intrecciata con la leadership, se pure soltanto vocale, del popolo antisistema che ingrossa le schiere dei suoi seguaci. Altrimenti è naturale che la terza carica dello Stato sia contestato come in Israele.

Da L'OPINIONE un articolo di Dimitri Buffa:

Oramai i politici italiani del centro sinistra di governo, o di lotta che sia, quando vanno all’estero sono attesi al varco. Da nostri connazionali letteralmente inferociti per l’immagine del paese e per le linee guida della politica estera italiota. D’altronde alla Farnesina, nell’ottica di moderazione che contraddistingue tutte le comunità residenti all’estero tranne forse quelle in Chiapas e in Nicaragua, “se ne salva solo uno”. Più precisamente il sotto segretario della Margherita Gianni Vernetti, noto e simpatico in tutto il mondo tra le comunità ebraiche (e in quelle americane soprattutto) per la propria lotta solitaria per dare “un volto umano” alla nostra politica estera. Altrimenti stretta tra l’”equivicinanza” di Massimo D’Alema e il terzo mondismo vero e proprio, modello anni ’80, di Bobo Craxi e Ugo Intini. Bertinotti, che ieri è stato protagonista dell’ultima, in ordine di tempo, contestazione spontanea da parte degli ebrei italiani che hanno fatto “aliyà” e sono andati a risiedere in Israele non può adesso lamentarsi e nascondersi dietro l’istituzione che presiede. In passato gli ebrei americani, italiani e israeliani si sono legati al dito i passaggi televisivi in cui Israele veniva accusata di tutto, anche quando a spararsi erano tra di loro i palestinesi di Fatah e quelli di Hamas, per il puro controllo del potere e dei soldi dell’Europa.

Ebrei a parte, un altro problema esiste con gli Stati Uniti di America, che ancora non hanno invitato né Prodi né D’Alema ad una visita ufficiale a Washington, anche se adesso a giugno sarà Bush a venire in Italia. Ma non è la stessa cosa. Quando Bush viene in Europa è lui che viene a concordare e impartire direttive di comportamento all’Onu e in sede internazionale ai partners europei. Quando siamo invece noi ad essere invitati, allora significa che si è instaurato quel rapporto di cordialità che con Berlusconi aveva funzionato benissimo e che era stato il piatto forte della diplomazia, ma che oggi come oggi è lettera morta. Il rischio è che fino alla fine del mandato di Bush quell’invito possa non esserci. E non manca ancora moltissimo. Giusto un altro annetto. Ovviamente questa sarebbe una disfatta di immagine per chi ancora come il Partito democratico ha smanie di accreditarsi nella categoria dello spirito della moderazione e nella geografia politica del centro più che della sinistra.

Nella Margherita confidano nel fatto che oramai la politica estera è fatta di pragmatismo più che di singoli episodi. Però gli americani non dimenticano i torti fatti da questa amministrazione, a cominciare dalla guerra giudiziaria in atto per il sequestro Cia di Abu Omar, per non parlare di quella sempre in corso per l’uccisione di Calipari. Basta essersi letta ieri l’intervista del soldato accusato di avere ucciso il super poliziotto del Sismi per farsi un’idea di come ci guardano con simpatia a Washington. Le conseguenze di questa politica estera che riceve Khatami a Roma, strumentalizzando i gesuiti che lo invitano, e che va a prendersi sotto braccio a Beirut i ministri in quota Hezbollah del Libano, è che dovunque i rappresentanti delle nostre istituzioni si rechino in visita le comunità italiane li ricevono a fischi e pernacchie. Ovviamente scindendo e distinguendo chi l’istituzione davvero l’incarna come Napolitano e chi invece pretende di farlo solo nominalmente come Bertinotti. Peraltro a giorni alterni.

La posizione tenuta da questo governo e in particolare dal partito di Bertinotti durante la guerra in Libano dello scorso luglio e agosto non poteva non provocare la reazione di cui ieri parlavano i giornali. Il demografo Sergio della Pergola (che ieri ha lasciato recitare ad altri le proprie accuse contro questa politica della sinistra a senso unico e a testa bassa contro Israele e l’America in Medio Oriente) fa risalire il “peccato originale” alla vittoria da parte di Israele della guerra dei sei giorni (3-9 giugno 1967) di cui quest’anno si celebrerà il quarantennale. Il paradosso è che Israele ha dovuto vincere per non scomparire ma questa cosa non gli è stata mai perdonata lo stesso. Soprattutto a livello inconscio e più profondo da tutti quei paladini del terzo mondismo che guardavano con simpatia ai morti di Auschwitz e che però hanno negato ai vivi di Gerusalemme e Tel Aviv il diritto di non fare la stessa fine. Quando agli occhi dei comunisti “Davide è diventato Golia”, gli attuali dirigenti dei Ds e dell’ex Psi, oggi presenti nel governo italiano con la propria cultura da “tv dei ragazzi”, hanno cominciato a odiarlo. E questi sono i frutti avvelenati di tale ideologia e di suddetto immaginario da strizzacervelli.

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