Dibattito in America su antisionismo e antisemitismo Paul Berman riconosce il legame tra i due fenomeni, Tony Judt incolpa Israele
Testata: Corriere della Sera Data: 22 marzo 2007 Pagina: 53 Autore: Ennio Caretto Titolo: «Così l'antisionismo divide l'America»
Dal CORRIERE della SERA del 22 marzo 2007
WASHINGTON — Anche gli storici e intellettuali americani dibattono se l'antisionismo sia una forma mascherata di antisemitismo, come ha ammonito recentemente il presidente Napolitano in Italia, e come ha appena ribadito su questo giornale lo scrittore israeliano Yehoshua, l'autore de Il signor Moni e Un divorzio tardivo. Il dibattito ha spaccato il mondo culturale Usa in due, e «Il Corriere della Sera» ha intervistato due esponenti delle opposte scuole, Paul Berman e Tony Judt. Berman, celebre per il suo trattato Liberalismo e terrorismo, dichiara che l'antisionismo è l'antisemitismo sono due facce della stessa medaglia, e — sorprendentemente — che danneggiano soprattutto i palestinesi. Judt, il cui ultimo libro è Dopoguerra, lo nega: è il sionismo, ribatte, a creare un nuovo antisemitismo. Secondo Berman, l'antisionismo ha le sue radici nell'antisemitismo «sebbene non siano identici, e non ci sia bisogno di evocare questo per condannare quello». L'antisionismo, afferma, «è un'aberrazione in sé, è l'idea che 5 - 6 milioni di persone debbano sparire, e il loro Stato debba essere cancellato dalle mappe», idea inizialmente esposta dall'estrema destra europea e americana. Lo studioso ne cita un testo fondamentale, The protocols of the elders of zion: è antisionista e antisemita al tempo stesso, sottolinea, scaturisce da una concezione perversa di tutto ciò che è ebreo, da «fantasie malate» su una razza ritenuta diversa, tesa al dominio mondiale. Alla domanda se per parte dell'opinione pubblica mondiale sionismo non significhi proprio espansionismo, e quindi colonialismo, Berman risponde che «il dubbio nasce o dall'equivoco o dalla mala fede». Ci sono forme disparate di sionismo, spiega, tra cui una più aggressiva territorialmente e un'altra più fondamentalista religiosamente. Ma la tendenza storica del movimento è moderata e laica: «Israele nacque come uno Stato secolare lo fondò la sinistra, fu un progetto politico e democratico che si contrappose a progetti imperiali o fideisti». La ostilità araba e le guerre hanno costretto gli israeliani a varcare i propri confini, continua Berman, ma essi potrebbero tornare a quelli del '67, come propose in pratica il presidente Clinton: «Molti, come me, sono contrari al Muro e agli insediamenti». Lo studioso osserva che «esclusa l'America, nella maggioranza dei Paesi, Israele è impopolare se non odiato» e lo attribuisce ai mali gemelli dell'antisemitismo e antisionismo. «È diventato sinonimo di conquista, occupazione, repressione. Ma mentre condanno certe sue strategie, faccio presente che dall'Iraq di Saddam Hussein al Sudan di oggi c'è stato e c'è di molto, molto peggio». Berman conclude che le vittime principali dell'antisionismo divampante in tutto il Medio oriente, sono i palestinesi: «Esso ha demonizzato gli israeliani, e ha impedito ai palestinesi di negoziare onestamente con loro, come avrebbero potuto fare fin dal principio. Israele è dinamico e ricco, e la Palestina, in quanto la più vicina, sarebbe stata una sorta di partner commerciale, la sua beneficiaria». Per Tony Judt invece, uno storico inglese trapiantato a New York, ebreo ed ex sionista, non sempre l'antisionismo è antisemitismo. «È una commistione pericolosa. Storicamente, si opposero al sionismo anche moltissimi ebrei, nel timore che la nascita di un loro Stato non risolvesse la questione ebrea, ma la aggravasse, come infatti è avvenuto, e non erano certamente antisemiti — protesta Judt —. A causa della propria discutibile condotta, Israele oggi può difendersi dagli antisionisti soltanto definendoli antisemiti, una accusa che muove comunque anche ai suoi critici più moderati. Ma a volte è falso, ed è controproducente. È come dire che Israele è lo Stato di tutti gli ebrei, dovunque si trovino nel mondo, e che essi sono corresponsabili dei suoi errori e delle sue colpe». Judt ritiene che l'antisionismo sia esploso attorno all'80, dopo le guerre del '67 e '73, e l'invasione del Libano dell'82. «Prima — proclama — Israele era rispettato dai più, sia per la memoria dello sterminio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti, sia per i kibbutz che rievocavano un romantico socialismo agrario. Ma più tardi il suo operato rese difficile la sua identificazione coll'Olocausto». Lo storico nota che «a parte l'Ue, Israele è l'unico Stato moderno che non precisi i propri confini, un segno che il sionismo non è più quello originale». Il motivo, a suo parere, sono «le spinte religiose territoriali e militariste di alcuni gruppi di potere». Judt condanna incondizionatamente l'antisemitismo ma pensa che l'antisionismo si ridurrà solo se Israele cambierà politica. «Non sono d'accordo che l'antisemitismo che vediamo in Europa sia quello vecchio — termina lo storico —. È nuovo ed è in maggioranza un prodotto della oppressione dei palestinesi. In Francia e in Belgio, i giovani islamici, e purtroppo sovente anche cristiani, che seguono i carri armati con la croce di Davide alla tv ne vengono accecati o ne vengono strumentalizzati al punto tale da non volere più distinguere. Non li si può giustificare né perdonare, ma bisogna chiedersi come li si possa prevenire». L'anno scorso, Judt paragonò polemicamente Israele in Palestina alla Francia in Algeria ai tempi di De Gaulle: prima o poi, scrisse, dovrà venirne via, o trattarla alla pari. E propose una controversa soluzione della crisi, non i due Stati separati, limitrofi e in pace, previsti dall'amministrazione Bush, ma un unico Stato biculturale, da realizzare naturalmente a tappe. Berman la considera un'utopia o peggio un suicidio da parte di Israele. «Forse Judt si immagina un Belgio del Medio oriente, dove ebrei e arabi si mescolino come i francesi e i valloni — ironizza —. Ma in realtà Israele sarebbe come Bambi che si consegna a Godzilla. Gli arabi pretenderebbero che si disarmi e lo distruggerebbero. Sono loro che devono cambiare, come tutti gli antisionisti e antisemiti».
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