In Iraq la sicurezza inizia a migliorare le dichiarazioni del generale Petraeus nella cronaca di Lorenzo Cremonesi
Testata: Corriere della Sera Data: 19 marzo 2007 Pagina: 6 Autore: Lorenzo Cremonesi Titolo: «L'Iraq al quinto anno di guerra Il generale Usa: «Segni positivi»»
Dal CORRIERE della SERA del 19 marzo 2007:
BAGDAD — E' come camminare sul ponte di neve appena indurita dal gelo che sovrasta un profondo crepaccio. Sembra possibile passare. Ma non è detto che tenga. E, fino che non si è davvero giunti dall'altra parte, ogni espressione di successo appare perlomeno prematura. Così si presentano i responsabili militari americani in Iraq in questi giorni. A quattro anni dall'invasione, sanno bene che la delusione per l'eventuale fallimento del nuovo piano per vincere la violenza potrebbe condurre alla sconfitta totale. Come guide alpine contente di aver forse individuato il ponte giusto, ma guardinghe prima di cantare vittoria al resto della cordata. Certo più caute dei loro clienti tra i militari e governanti iracheni, che già da almeno tre settimane gridano invece ai quattro venti di «aver trovato finalmente il piano appropriato per imporre la sicurezza a Bagdad e nel Paese». Nelle ultime ore a parlare in toni particolarmente ottimisti è stato il nuovo comandante in capo del contingente Usa in Iraq, generale David Petraeus. Un duro, noto per il passo scattante, nonostante le vecchie ferite riportate nelle esercitazioni con i parà. E noto per il suo manuale militare di lotta alla guerriglia pubblicato in dicembre, di cui sta applicando due principi adattati allo scenario locale: la necessità di presidi militari permanenti tra la popolazione e la convinzione che comunque la «vittoria finale verrà dalla politica». Con lui è stato nettamente aumentato il numero degli ex ufficiali baathisti nel nuovo esercito iracheno. Tra Marina e Aviazione toccano ormai il 70% degli effettivi. E i suoi attendenti non esitano a criticare apertamente gli «effetti deleteri» della politica della «de-baathificazione rampante » voluta dall'ex governatore Usa, Paul Bremer, nel 2003. «Notiamo segnali incoraggianti sul campo. C'è meno violenza, notiamo una diminuzione nel numero delle vittime in Iraq», ha dichiarato Petraeus alla Bbc. Anche se subito dopo ha aggiunto che non voleva apparire «troppo ottimista». «Stiamo mirando a congelare le violenze settarie grazie all'arrivo di due delle cinque brigate di rinforzo. Ma soltanto a giugno tutte le nostre truppe saranno dispiegate sul territorio e per allora potremo valutare le capacità operative, assieme ai nostri alleati nelle forze di sicurezza irachene», ha osservato il generale, ricordando che entro tre mesi saranno arrivati i 21.500 nuovi soldati che porteranno a circa 170.000 uomini l'intero contingente Usa in Iraq. E alla sua cautela ha fatto eco quella da Washington dello stesso neo-segretario alla Difesa, Robert Gates, che in una conferenza per il quarto anniversario dell'invasione ha voluto sottolineare che «è troppo presto per valutare gli effetti sul territorio dei contingenti di rinforzo». Ma è indubbio che, almeno a Bagdad, la situazione da circa un mese sia lentamente migliorata. Sono tornati gli spazzini nelle strade. Sono diminuiti i rapimenti. Hanno riaperto alcuni mercati, per esempio quello nel quartiere sunnita di Dora. Difficile fornire statistiche attendibili. Comunque in genere gli ospedali riportano una caduta netta del numero delle vittime. Dagli oltre 120 cadaveri quotidiani a dicembre agli attuali 50. E certi giorni anche meno. Il traffico è paralizzato dai posti di blocco, ma la gente ha meno paura della polizia, che una volta era accusata di essere monopolizzata dalle milizie. Da meno di una settimana il traffico è ripreso intenso a Haifa street, la strada non lontano dalla «zone verde» (dove sono acquartierati il governo iracheno, larga parte delle ambasciate e quasi tutti gli occidentali) nella quale per circa un anno la guerriglia sunnita ha imposto il bello e il cattivo tempo. Da circa 15 giorni un plotone Usa, con 300 tra soldati e poliziotti iracheni, ha aperto una piccola base permanente (Jss) nel cuore di Sadr City e da allora la zona è rimasta tutto sommato tranquilla. Un successo inaspettato. Sadr City è la roccaforte storica degli sciiti e dell'Esercito del Mahdi, la milizia legata al leader estremista Muqtada Al Sadr accusata di assassini e rapimenti di sunniti su larga scala. E le Jss rappresentano il vero motore primo del piano voluto dal premier sciita Nuri Al Maliki con il sostegno Usa. Si tratta di basi militari congiunte iracheno-americane, poste nel cuore dei 10 distretti in cui è stata divisa la capitale. A loro l'obiettivo di sorvegliare la popolazione e garantire la tranquillità. Al momento le Jss sono 35. Dovrebbero presto superare quota 40. Tra i loro compiti anche quello di aiutare i profughi interni a ritornare alle loro case dopo l'ondata di «pulizie etniche» generate dalla guerra civile strisciante.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera