Combattere il terrorismo con le chiacchere la strategia dell'Onu, dell'Unione europea e di Massimo D'Alema
Testata: Corriere della Sera Data: 11 gennaio 2007 Pagina: 1 Autore: Piero Ostellino Titolo: «Terrorismo e chiacchere»
Dal CORRIERE della SERA dell'11 gennaio 2006:
La condanna del raid americano in Somalia contro Al Qaeda da parte dell'Onu, dell'Unione europea e di alcuni governi nazionali compreso il nostro — il ministro degli Esteri ha manifestato «la contrarietà dell'Italia a iniziative unilaterali che potrebbero innescare nuove tensioni» — fa tutta la differenza fra chi combatte il terrorismo e chi dice di voler combattere il terrorismo. Se le chiacchiere fossero pallottole, non ci sarebbero più terroristi in giro per il mondo a fare attentati. Bla, bla, bla: sarebbero tutti morti, uccisi dalla micidiale dialettica multilaterale. Dopo l'attacco alle due torri di New York e al Pentagono, i grandi organismi internazionali e molti governi si erano detti «americani». Dopo l'attacco al treno di Madrid, «spagnoli». Dopo quello al metro di Londra, «inglesi». Ma neppure per un momento, né l'Onu, né l'Ue, né la maggior parte dei governi nazionali — ad eccezione di quello americano e di quello inglese — si sono sentiti in guerra contro il terrorismo e si sono comportati di conseguenza. Si è verificato il «rovesciamento» di uno dei principi della tradizione politica degli ultimi quattrocento anni, in nome di una concezione metafisica della pace: «Cos'è infatti la guerra — si chiede Thomas Hobbes (1588-1679) — se non il tempo in cui si dichiara a sufficienza, con le parole e con i fatti, la volontà di lottare con la forza? Il tempo restante si chiama pace». L'Onu, l'Unione europea e molti governi nazionali sono stati contrari alla guerra in Iraq. «Non si esporta la democrazia liberale in Paesi le cui tradizioni non sono le stesse che ne hanno facilitato la nascita da noi», è stata la parola d'ordine del pacifismo. Giusto. Ma, poi, dopo l'esecuzione di Saddam, si è chiesto che in tutto il mondo fosse abolita la pena di morte, anche in quei Paesi — come quelli islamici governati dalla sharia, che la prevede — dove la vita e la morte non hanno né filosoficamente, né nella prassi, lo stesso valore che hanno da noi. Nessuno, però, se l'è sentita di superare la contraddizione e di portare alle sue logiche ed estreme conseguenze il sillogismo: chiedersi se, allora, non sarebbe stato preferibile lasciare Saddam Hussein al potere. Ora, l'Onu, l'Ue, molti governi nazionali si sono dichiarati contrari anche al raid americano in Somalia. Questa volta in nome di una concezione del «multilateralismo» e del «dialogo» non meno metafisica di quella di pace. Non si riconosce, cioè, al diritto degli Stati Uniti di combattere il terrorismo un carattere normativo «oggettivo», cioè di legge condivisibile, accettabile e praticabile dalla comunità internazionale, ma lo si considera solo una ricerca del proprio tornaconto nazionale. No, dunque, alla guerra, no ai raid, no all'intelligence se non a condizioni che ne vanificherebbero le potenzialità. La differenza fra chi combatte il terrorismo e chi dice di voler combattere il terrorismo si rivela, così, ciò che è: anti-americanismo. A questo punto, sarebbe inutile chiedere all'Onu, all'Ue, ai governi nazionali e al pacifismo militante che cosa si dovrebbe fare per battere il terrorismo perché non saprebbero rispondere con una proposta concreta, praticabile ed efficace, ma solo con dichiarazioni di buone intenzioni. postellino@corriere.it
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