Massimizzare le vittime civili: la tattica di Hezbollah la denuncia di Alan M. Dershowitz. E inoltre: la tregua di 48 ore e la battaglia diplomatica all'Onu, il coinvolgimento dell'esercito libanese nelle cronache di Maurizio Molinari e Aldo Baquis
Testata: La Stampa Data: 31 luglio 2006 Pagina: 1 Autore: Alan M. Dershowitz - Maurizio Molinari - Aldo Baquis Titolo: «Colpa di Hezbollah, usa i civili come scudi umani - Israele blocca i raid qurantotto ore per gli sforzi della Rice - Interviene l'esercito libanese»
La STAMPA del 31 luglio 2006 pubblica un intervento di Alan M. Dershowitz che spiega la tattica degli scudi umani utilizzata da Hezbollah, le ragioni della sua efficacia e il suo probabile ripetersi. Ecco il testo:
La tattica impiegata finora dagli Hezbollah contro Israele - con qualche successo, bisogna riconoscerlo - è l’assaggio del futuro per armate terroristiche ben equipaggiate, specialmente quelle che agiscono come surrogati di eserciti nazionali, come appunto gli Hezbollah operano a nome dell’Iran e della Siria. Questi terroristi vinvono in mezzo ai civili, nascondono i loro missili nelle case dei civili, li sparano a bersagli civili da aree densamente popolate e usano i civili come scudi umani dai contrattacchi di coloro a cui hanno sparato. Una democrazia che si trovi vittima di attacchi del genere non ha che due opzioni: può non intraprendere nulla, permettendo ai terroristi di incrementare gli attacchi sulle proprie città; oppure può cercare di distruggere i lanciatori di missili, con l’inevitabile peso delle vittime civili che un contrattacco del genere produce. Entrambe le opzioni portano la vittoria ai terroristi e la sconfitta alla democrazia. Se la democrazia non fa nulla, i terroristi continuano a sparare impuniti. Se la democrazia reagisce e produce vittime civili, i terroristi ottengono una vittoria propagandistica concentrando l’attenzione del mondo su questi morti uccisi dal loro nemico. Ecco perché queste tattiche persisteranno e anzi si diffonderanno. Gli attacchi missilistici degli Hezbollah contro Israele sono la prima battaglia di quella che probabilmente diventerà la guerra mondiale dei terroristi contro le democrazie. Oggi, il diritto internazionale sembra aiutare i terroristi. Ascoltate Louise Arbour, l’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu, quando dice che «il bombardamento di siti di presunta importanza militare che risultano invariabilmente nell’uccisione di civili innocenti» è una violazione del diritto internazionale. Questo significa che ogni democrazia che contrattacca i terroristi che sparano razzi da centri abitati da civili, si macchia di un crimine di guerra. Questo deve cambiare. Deve diventare un crimine di guerra proprio l’atto di tirare razzi da centri abitati e nascondersi in mezzo ai civili. Sono i terroristi, e non le loro vittime, a dover venire dichiarati criminali di guerra. Ovviamente, è già considerato un crimine di guerra per i terroristi scegliere i civili come bersaglio, ma non verreste mai a saperlo ascoltando alcuni dirigenti dell’Onu e di certi gruppi dei «diritti umani». E questo crimine viene aggravato quando si tirano i razzi da centri abitati, garantendo così vittime civili anche tra i propri concittadini. Né sarebbe facile denunciare come crimine di guerra l’uso cinico dei civili come scudi umani. La comunità internazionale deve fare qualcosa per impedire i crimini di guerra che si consumano oggi. Una forza multinazionale deve avere il diritto di entrare nei centri abitati dai quali sono stati, vengono o verranno sparati i razzi, ed eliminarli. Non sarà facile, ma cambierebbe la natura del conflitto, che non sarebbe più tra gli Hezbollah e Israele, ma tra gli Hezbollah e la comunità internazionale. E se quest’ultima crede che Israele produce troppe vittime civili, lo aiuti a disarmare gli Hezbollah con minor numero di vittime e maggiore «proporzionalità». La legittimazione della deprecabile tattica degli Hezbollah - tattica che massimizza il numero delle morti di civili per entrambe le parti - va oltre la disputa arabo-israeliana. Essa segna l’inizio di un nuovo tipo di guerriglia, e combatterla deve diventare una priorità per la comunità internazionale, i gruppi dei diritti umani e i media. Per il momento, la maggior parte delle critiche sono state rivolte a Israele. Nel migliore dei casi, la risposta israeliana alle tattiche degli Hezbollah è stata vista come moralmente equivalente, nonostante sia evidente che Israele cerca di minimizzare le vittime civili, se non altro perché viene criticata per ogni morte. Gli Hezbollah invece cercano di incrementare al massimo il numero delle vittime civili. Israele usa l’intelligence e le bombe intelligenti nel tentativo, non sempre riuscito, di colpire i terroristi. Gli Hezbollah invece usano bombe che, facendo schizzare migliaia di palline di metallo, sono state fatte per colpire il maggior numero di civili possibile. Questa differenza nelle intenzioni non può essere posta sullo stesso piano morale o legale. Non sono equivalenti, ma lo sono invece le condanne rivolte da alcuni esponenti della comunità internazionale, delle organizzazioni per i diritti umani e dei media. E questo atteggiamento non fa che incoraggiare gli Hezbollah a proseguire con la loro tattica, producendo sempre più vittime da entrambi i lati. Gli Hezbollah hanno imparato a usare le vittime civili come scudo e spada contro le democrazie. Vincono ogni volta che uccidono un civile israeliano (anche se si tratta di un arabo d’Israele, per il quale piangeranno lacrime di coccodrillo e chiederanno scusa). E vincono ogni volta che spingono Israele a sparare uccidendo civili libanesi. Questa cinica manipolazione delle vittime viene accettata dai media e dalle organizzazioni internazionali, che continuano a condannare Israele per l’uccisione di libanesi piazzati intenzionalmente sulla linea del fuoco dagli Hezbollah. Usare gli scudi umani è considerato un crimine in tutte le nazioni civili, e dovrebbe diventare un crimine di guerra contemplato dal diritto internazionale. Insistere sulla proibizione del lancio dei missili da centri abitati potrebbe essere un passo per privare gli Hezbollag della loro tattica più efficace.
Maurizio Molinari riferisce della tregua di 48 ore decisa da Israele della battaglia diplomatica in corso alle Nazioni unite, dove gli Usa si oppongono a un cessate il fuoco che permetta la sopravvivenza della minaccia di Hezbollah, promosso dalla Francia e dal segretario dell'Onu Kofi Annan. Ecco il testo:
Condoleezza Rice ottiene da Israele la sospensione per 48 ore dei raid aerei nel Libano del Sud, salvando in extremis una mediazione americana che rischiava di fallire dopo la strage di civili avvenuta a Cana. Al termine di un incontro notturno a Gerusalemme fra il segretario di Stato ed il premier Ehud Olmert, è stato il portavoce americano Adam Ereli a far sapere che Israele aveva accettato la richiesta di sospendere tutte le attività aeree per due giorni al fine di «condurre un’indagine sull’errore compiuto dall’aviazione a Cana», riservandosi però il diritto di riprendere gli attacchi in caso di «minacce dirette». Olmert si è inoltre impegnato a coordinare con l’Onu l’apertura per 24 ore di corridoi umanitari per consentire agli abitanti del Libano del Sud di allontanarsi dalla zona dei combattimenti. Il doppio passo di Gerusalemme consente alla Rice di tornare oggi a Washington con la possibilità di continuare a lavorare sulla risoluzione Onu per il cessate il fuoco, al termine di una turbolenta giornata che aveva visto la mediazione americana arrivare sull’orlo del collasso. Tutto era iniziato quando il Segretario di Stato aveva incontrato in mattinata la collega israeliana Tzipi Livni, discutendo il possibile testo di una risoluzione Onu. Sembravano esserci le premesse per una svolta e la Rice si accingeva a volare a Beirut per mettere a punto con il premier Fuad Siniora la bozza delle «condizioni concordate per la fine delle ostilità», quando è arrivata la notizia degli oltre 50 morti di Cana. La Rice ne è stata informata mentre era a colloquio con il ministro della Difesa, Amir Peretz, e la reazione è stata un brusco cambio di agenda, seguito da una telefonata a Siniora per esprimere le condoglianze degli Stati Uniti. Sulla telefonata esistono due versioni: secondo fonti libanesi, Siniora ha fatto presente alla Rice che non era più la benvenuta a causa delle dilaganti proteste, decretando la fine di ogni contatto diplomatico con gli Usa. Fonti americane, invece, assicurano che sia stata la Rice a comunicare che sarebbe rimasta a Gerusalemme per «continuare a lavorare alla fine alle ostilità». Qualunque sia stata la dinamica della conversazione, il risultato è stato l’annullamento della tappa libanese con relativo rinvio a data da destinare della discussione del piano americano per la fine degli scontri. Da qui la decisione del ritorno a Washington, che sarebbe stato praticamente a mani vuote se Olmert non avesse accettato di sospendere gli attacchi aerei, riconsegnando alla Rice il ruolo di mediazione che aveva perduto a causa della mancata visita a Beirut. Sebbene la tregua aerea consenta ad Israele di continuare le operazioni di terra, si tratta di una prima apertura di Olmert al cessate il fuoco e tocca adesso alla Rice tentare di riprendere da questo punto il negoziato con Beirut. Il cammino appare al momento tutto in salita perché l’ipotesi di far coincidere il cessate il fuoco con il ritiro degli Hezbollah oltre il Litani - a 20 chilometri dalla frontiera - si allontana in quanto Siniora non è più disposto ad accettare condizioni. Dopo Cana, infatti, ha chiesto la «fine immediata delle ostilità» ed ha addirittura ringraziato gli Hezbollah per la «difesa del territorio». Sul fronte opposto, invece, Olmert ha fatto sapere di aver bisogno di «altri 10-14 giorni di operazioni contro gli Hezbollah» per garantire la sicurezza dei confini settentrionali. Il braccio di ferro fra Beirut e Gerusalemme mette in difficoltà Washington, che sin dall’inizio della crisi ha puntato a trovare una soluzione armonizzando il rafforzamento del governo Siniora - considerato il perno della tenuta democratica dopo il ritiro dei siriani - con il sostegno a Israele. A questo bisogna aggiungere che al palazzo di Vetro la Francia ha rilanciato la richiesta di far approvare un cessate il fuoco «immediato», senza più alcuna precondizione, in sintonia con il segretario generale dell’Onu. Kofi Annan ha infatti espresso una «condanna durissima» per l’uccisione dei civili a Cana durante una riunione d’emergenza del consiglio di Sicurezza. La bozza di risoluzione francese, se messa ai voti, potrebbe obbligare Washington a ricorrere al diritto di veto perché al momento la posizione Usa non muta. Sebbene la Casa Bianca abbia definito i fatti di Cana «una tragedia che dà urgenza al cessate il fuoco», Washington continua ad opporsi ad una fine delle ostilità che, come ha spiegato il presidente George W. Bush, «non affronti le cause all’origine della crisi, ponendo le premesse per una soluzione duratura», ovvero il disarmo degli Hezbollah. Fra le motivazioni portate dall’ambasciatore all’Onu John Bolton vi è stata anche «l’impossibilità di varare un cessate il fuoco fra Israele e gli Hezbollah, che non sono uno Stato membro dell'Onu e non danno garanzie sul rispetto di eventuali raccomandazioni».
In una cronaca Aldo Baquis riferisce di una pericolosa novità del conflitto: l'intervento dell'esercito libanese contro le truppe isrealiane. Ecco il testo:
Malgrado la strage a Cana, malgrado le pressioni diplomatiche per un cessate il fuoco, malgrado la pioggia di 150 razzi Hezbollah sulla Galilea (80 sulla sola Kiryat Shmone), l’esercito israeliano ha ieri premuto sull’acceleratore avviando una penetrazione dalla Galilea orientale verso il fiume Litani. Ma in serata, nuova escalation del conflitto: l’esercito libanese ha aperto il fuoco contro quattro elicotteri israeliani che cercavano di atterrare nella valle della Bekaa, vicino alla città di Yammuni, impedendo loro di posarsi a terra per far scendere i soldati. Dopo l’allontanamento degli elicotteri, sono arrivati aerei israeliani che hanno bombardato la zona. Entro la fine della settimana Israele pensa di assumere il controllo nel sud del Libano, una fascia di due chilometri a ridosso del confine. In una conferenza stampa a Tel Aviv il generale Gadi Eizenkot ha spiegato che, lungo il confine, si era costituita una significativa presenza militare iraniana, che rappresentava un pericolo per la sicurezza nazionale. L’attuale operazione in Libano è tanto più opportuna in quanto Teheran è prossima a diventare una potenza nucleare. Fra alcuni anni - ha lasciato intendere - campagne militari simili non sarebbero più nemmeno ipotizzabili. Ieri reparti della Brigata Nahal sono penetrati alcuni chilometri in Libano, fino a raggiungere i villaggi di Taybe e Kila. Come nei combattimenti di Marun el-Ras e Bint Jbeil, gli Hezbollah hanno fatto di tutto per ostacolare l’avanzata. In giornata Al Manar, la tv Hezbollah, ha anche annunciato l’uccisione (smentita da Tel Aviv) di 8 soldati. I militari sono ugualmente avanzati di casa in casa, requisendo ingenti quantità di armi, distruggendo i bunker e constatando la capacità dei guerriglieri di ascoltare le trasmissioni radio militari israeliane e di intercettare le conversazioni dei cellulari dei soldati. Trovati anche vocabolari arabo-ebraico. In Israele prosegue il richiamo dei riservisti. L’idea è quella di effettuare altre spedizioni nel Libano del sud, per poter così arrivare al cessate il fuoco in una situazione in cui l’intera zona di confine sia controllata da Israele. «Abbiamo bisogno di due settimane» ha fatto sapere ieri il ministro della difesa Amir Peretz. Ai soldati ha ordinato di avanzare con cautela: sia per limitare le perdite, sia per evitare che soldati cadano prigionieri. Proprio il rapimento di due soldati ha innescato il conflitto, il 12 luglio scorso. «Hezbollah da allora ha patito colpi durissimi - ha detto ieri il generale Eizenkot -. Se da noi piovono razzi katyusha, sugli Hezbollah diluvia davvero. I suoi dirigenti sono costretti a darsi alla macchia, l’organizzazione ha perso 200-300 uomini». Nel frattempo Israele teme che presto o tardi Nasrallah cercherà di colpire a sud di Haifa e di Afula, in direzione di Tel Aviv. Batterie anti-missilistiche Patriot ed Arrow sono puntate verso nord, in attesa dei missili iraniani Zelzal in dotazione degli Hezbollah.
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