sabato 21 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






 
Giorgia Greco
Libri & Recensioni
<< torna all'indice della rubrica
Magdi Allam - Io amo l’Italia 20/06/2006

Io amo l’Italia – Magdi Allam
Casa Editrice: Mondadori


Pubblichiamo un’intervista di Massimo Boffa al giornalista e scrittore
Magdi Allam in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro.

“ Questo è il mio libro più sofferto, nel quale ho messo a nudo il mio
cuore e mi sono molto esposto sul piano personale. Ho dovuto farlo perché
la mia è un’invettiva contro la classe politica italiana, di sinistra e di
destra, che manca di senso dello stato. E allora, per essere credibile di
fronte ai lettori, ho voluto farmi totalmente trasparente. Per me è il
momento della chiarezza. E della fermezza”.
Da tempo Magdi Allam, 54 anni, italiano di origine egiziana, editorialista
del Corriere della Sera, è impegnato in prima fila in una battaglia per la
libertà e il rispetto della vita, minacciate dall’estremismo islamico, un
impegno che lo costringe a vivere, da tre anni, sotto scorta armata. Ma
questo suo nuovo libro (Io amo l’Italia, sottotitolo: Ma gli italiani la
amano?, edito dalla Mondatori) non è solo un libro di idee chiare e
taglienti. E’ anche un testo emozionante che ha l’andamento della
confessione autobiografica.
Magdi racconta la sua personale scoperta dell’Italia, durante l’infanzia al
Cairo, sui banchi di scuola dei salesiani. E poi la scelta di vita, nel
1972, di trasferirsi nel nostro Paese (la “Terra promessa”), i primi
difficili passi nel giornalismo, i lunghi anni alla Repubblica e infine il
Corriere. Un’esperienza non solo di successi professionali ma anche di
dolorose delusioni. Così, se è riconoscente verso il suo ex direttore Ezio
Mauro, che alla Repubblica lo proteggeva come si fa con un “animale raro”,
riserva però un giudizio severo a Eugenio Scalari (“Responsabile del
degrado ideologico della stampa italiana”).
Il libro racconta anche il suo tentativo di impegnarsi direttamente in
politica “nel contesto di Forza Italia”. Vi si rivela, con dovizia di
particolari, la collaborazione con l’ex ministro dell’Interno Giuseppe
Pisanu, terminata con una pubblica rottura. E lo sforzo, fallito, di
convincere Silvio Berlusconi a istituire, e ad affidargliene la
responsabilità, un ministero ad hoc per l’Integrazione.
Ma questo libro è, innanzitutto, una dichiarazione d’amore per l’Italia…
Mi rendo conto che può sembrare paradossale. Un egiziano che ha la
sfrontatezza di dire: “Io amo l’Italia e ho dei dubbi sul fatto che gli
italiani la amino”.
Come si permette questo beduino di insegnarci quel che dovremmo fare? Ma il
mio è l’atteggiamento di chi ha conquistato una cosa a fatica e quindi ne
apprezza tutto il valore.
Gli italiani invece non l’apprezzano?
Mi sono molto occupato del tema dell’integrazione e sono giunto a una
conclusione: non sono gli immigrati che non si integrano per un loro
difetto, sono gli italiani che, per un loro difetto, non sono in grado di
integrare gli immigrati. Il problema dunque sono gli italiani. Se non
condividiamo innanzitutto un sistema di valori fondanti l’identità
nazionale, noi italiani non potremo proporci come modello, non potremo
integrare nessuno. Quando sono gli italiani stessi a non credere nella
bontà dei propri valori, a essere preda di sensi di colpa, a lasciarsi
sedurre dal relativismo culturale, a non rispettare le proprie leggi, come
potranno integrare gli altri? Ecco il perché di quel sottotitolo così
provocatorio.Ed ecco perché dico: ogni popolo ha gli immigrati che si
merita.
Qual è invece la ricetta di Magdi Allam?
L’integrazione, per l’immigrato, deve essere un dovere, che si realizza
attraverso un processo in cui gradualmente, attraverso lo studio e il
lavoro, egli diventa parte integrante della nostra società, assimilando la
lingua, la cultura, i valori, l’identità italiana. Non possono coesistere
più identità, pena la schizofrenia. E deve essere un processo senza
automatismi, anche con “esami”, fino alla cittadinanza piena, con tutti i
diritti politici connessi.
Lei mette l’accento sull’adesione a un universo di valori laici e
tolleranti. Un po’ come fa anche il ministro dell’Interno francese Nicolas
Sarkozy, che dice: gli immigrati, se vogliono restare, devono apprezzare la
Francia.
La sensibilità di Sarkozy a questo tema è dovuta al fatto che anch’egli
proviene da una famiglia di emigrati. E quindi conosce, meglio di tanti
francesi doc, le dinamiche dell’integrazione. Con queste idee avevo
proposto a Berlusconi di costituire un ministero “dell’Integrazione,
dell’identità nazionale e della cittadinanza” e mi ero offerto come
titolare di questa responsabilità. Non se ne è fatto nulla, soprattutto a
causa di un veto dell’ex ministro Pisanu, con cui nel frattempo avevo
polemizzato pubblicamente.
Perché la sua polemica con Pisanu?
Premetto che con Pisanu ho avuto inizialmente un rapporto di collaborazione
molto positivo. Quel che gli rimprovero, in definitiva,è di avere sdoganato
e legittimato coloro che in Italia rappresentano i Fratelli musulmani,
l’Ucoii, l’Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in
Italia, inserendo il loro presidente nella Consulta dell’Islam  italiano.
Osama Bin Laden è un fenomeno altamente distruttivo, ma minoritario. I
Fratelli musulmani invece sono un movimento più radicato, che controlla le
moschee e che, come una piovra, soffoca la sua preda. E’ stata
sottovalutata la loro pericolosità, pensando che can che abbaia non
morde.Non è così. La parola, la predicazione violenta è il fondamento di
quel lavaggio del cervello che genera il combattente e il kamikaze.
Cos’è che non va, secondo lei, nel modo di combattere il terrorismo in
Italia?
L’Italia continua sostanzialmente a mantenere, nei confronti del terrorismo
islamico,l’atteggiamento che aveva verso il terrorismo internazionale negli
anni Settanta e Ottanta, un terrorismo nazionalista di matrice palestinese.
Si trattava, di fatto, di un accordo sotto banco: voi non fate attentati
sul nostro territorio e noi chiudiamo un occhio sulla vostra attività
logistica. E così, nel 1983 a Beirut, quello italiano fu l’unico
contingente militare a non essere colpito.
E perché non si potrebbe fare lo stesso col terrorismo islamico?
Perché cambia la logica. Quelli erano laici, nazionalisti e ragionavano in
termini cartesiani. Questi sono messianici, ideologici e ragionano in
termini coranici. Ci sono cose che non potranno mai accettare, come il
diritto di Israele all’esistenza. La classe politica italiana continua
immaginare che il terrorismo sia di natura reattiva e non aggressiva. La
guerra in Iraq è la causa del terrorismo, dicono, ritiriamoci e i nostri
problemi saranno risolti.Io sono molto preoccupato perché, se ci si mette
nei panni dei terroristi, il ritiro verrà interpretato come un segno di
debolezza,un incoraggiamento a colpire ancora di più.


Massimo Boffa
Panorama


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT