Dal FOGLIO di mercoledì 24 maggio 2006:
Roma. Questione di tempismo. Il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, è negli Stati Uniti e Hamas mette a punto il suo attacco preventivo contro gli sforzi di Israele per ottenere il consenso americano sul ritiro dalla Cisgiordania. Olmert è arrivato alla Casa Bianca – la prima volta da premier – con due dossier sotto braccio: il piano di convergenza, la seconda parte della strategia del disimpegno dai Territori ereditata dal suo predecessore e mentore, Ariel Sharon – uno di casa a Washington – e la questione iraniana, con tutte le notizie di intelligence raccolte in mesi di minacce di distruzione provenienti da Teheran. Il ritiro dalla Cisgiordania è una priorità per Olmert: ha promesso che Israele, entro la fine del suo mandato, avrà nuovi confini e cerca il sostegno degli Stati Uniti per questo processo che, vista la controparte al governo palestinese – quell’Hamas che non riconosce il diritto di esistere di Israele – potrebbe essere ancora una volta unilaterale. Ma proprio il premier palestinese, Ismail Haniye, ha rilasciato ieri un’intervista al quotidiano liberal israeliano Haaretz – al giornalista ancora più liberal Danny Rubenstein – per dire che “il ritiro d’Israele dai confini del 1967 porterà la pace” e che, se ciò accadesse, Hamas sarebbe pronto a chiamare un cessate il fuoco “di anni”. Poi il solito tam tam dei giornali e delle agenzie di stampa ha fatto il resto. In molti titolavano: “Il ritiro porterà la pace”, dice Hamas. Letto così sembra un appoggio al piano di convergenza, una di quelle “aperture” da parte del governo palestinese di cui s’innamorano spesso i mass media, la dimostrazione che il governo palestinese s’avvia sulla strada del dialogo. Così non è. Il tempismo non è unilaterale, in questo caso, non del tutto almeno. Qualche ora prima dell’incontro tra Olmert e Bush, l’esercito israeliano ha arrestato a Ramallah uno dei comandanti del braccio armato di Hamas, Ibrahim Hamed: le sue bombe hanno ucciso 78 israeliani. Sempre ieri, la Camera americana ha approvato nuove misure per bloccare i fondi internazionali in Cisgiordania e a Gaza per tutte le attività, tranne quelle sanitarie, oltre che per vietare i visti ai membri dell’Autorità palestinese. Secondo il dipartimento di stato statunitense, tale inasprimento è persino eccessivo, tanto che in una dichiarazione ufficiale ha fatto sapere che esistono già gli strumenti per evitare che arrivino finanziamenti ad Hamas e che l’Anp deve avere un margine di flessibilità. L’Europa, ieri, ha stanziato 34 milioni di euro in aiuti umanitari ai palestinesi per evitare “la crisi umanitaria”. In questo cuneo s’infila da un lato l’obiettivo di Olmert a Washington, dall’altro il ruolo del rais palestinese, Abu Mazen. Il premier israeliano vuole spiegare a Bush per filo e per segno il suo piano di ritiro, che prevede l’evacuazione di circa 60 mila abitanti degli insediamenti e che costerà dieci volte tanto il ritiro di Sharon dalla Striscia di Gaza. Ha bisogno del sostegno – politico e finanziario – della Casa Bianca. Ma, secondo alcuni commentatori, Bush ha un timore: che il ritiro da parte dalla Cisgiordania possa – come gli ha suggerito l’amico e alleato re Abdallah di Giordania in una recente lettera, che con il solito tempismo è arrivata pochi giorni prima del viaggio di Olmert – possa destabilizzare la già poco stabile regione. Per questo, molti nell’Amministrazione ribadiscono il desiderio di restare nel solco stabilito dalla road map, con Unione europea, Russia e Onu. Ma la controparte del dialogo al momento è spezzata: c’è Hamas che non rispetta le condizioni imposte dalla comunità internazionale – riconoscimento di Israele, disarmo e rispetto degli accordi – e che sta sulla lista nera dei terroristi di Bruxelles e Washington; e c’è Abu Mazen. Alcune fonti sostengono che, al ritorno da Washington, Olmert incontrerà il rais palestinese. Ed è qui che s’innesta l’altro grande dossier: l’Iran. Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa americano, e Olmert ieri hanno parlato dei legami tra Hezbollah, Hamas e la Siria, legami di fondamentalismo islamico, legami che vogliono la distruzione di Israele. Il principale finanziatore è il regime dei mullah, che intanto corre veloce verso la Bomba.
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