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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
23.02.2006 Ilan Halimi: ucciso perché ebreo
i suoi famigliari e la comunità ebraica francese chiedono che sulla sua morte si dica la verità

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Domenico Quirico - Elisabetta Carli
Titolo: «Ucciso per gioco non era ricco soltanto ebreo - Quasi nascosto l'omicidio di un ebreo. Parla un leader della comunità»

C’è talvolta una forza grande, tremenda che inchioda gli uomini sull’argine delle tragedie e insegna loro a non fuggirle, a guardarci dentro senza pietà; anche se quel termine della notte che lo sguardo rivela può essere un pericolo mortale per la società. Ruth, Yael, Anne-Laure sono tre antigoni moderne. Come le maschere del teatro antico hanno i volti scolpiti in una cera scura, nella cera della sofferenza. Ilan era figlio e fratello: lo hanno sequestrato per avere denaro, massacrato, bruciato, seviziato. Lo hanno trovato ormai irreparabilmente agonizzante vicino a una stazione, nell’Essone, banlieue di Parigi.
Delitto, orribile, di una banda di cité, questa davvero la «racaille» che il ministro degli interni Sarkozy aveva, invano, promesso di ripulire. Una quindicina, forse più perchè gli arresti sono una nebbia scura che si ammassa ogni giorno: giovani anche loro, odissee burocraticamente criminali, vite annegate nella palude dei verbali di questura. Difficile sbozzare nel gutturale gergo di umore e rumore guizzi di biografia che servano a spiegare la ferocia. «Banda dei barbari» si facevano chiamare, si sente la contaminazione di bestialità orecchiate magari nel pozzo nero di internet; erano specializzati in racket e seguestri, sei prima del calvario mortale di Ilan.
Il capo, Youssouf Fofana, fototessera con occhi stranamente spaventati, lombrosianamente esibita su tutte le tv, è solo un’ombra, un «uccido quindi sono»: pare sia fuggito in Costa d’Avorio, suo paese di origine. Una storia orribile, che non sarebbe uscita dalla truce anonimità della «nera». Ma... C’erano le tre donne di Ilan aggrappate a un filo che è più forte del cavo di acciaio di un’ancora, quel filo che si chiama volontà di imporre la «loro» verità. E che avevano scolpito nell’anima anche qualcos’altro oltre il dolore: la collera. Perchè Ilan era ebreo.
Non c’è nessuna prova certa, fondata che i suoi carnefici lo abbiano ucciso per questo: la banda voleva denaro, soltanto denaro, tra le loro vittime c’erano altri ebrei e sono vivi. A casa del capo banda hanno trovato alcuni «documenti salafiti e propalestinesi», ma sono fogli scaricati da internet, nessuna biblioteca dove raccogliere l’odio razziale. La famiglia di Ilan non ha grandi mezzi; Yael dice che il fratello forse «era più povero dei suoi carnefici ma, lui, cercava di uscirne lavorando». Ha subito avvertito la polizia che ha suggerito di non pagare, di guadagnare tempo. Per questo probabilmente Ilan è stato ucciso. E a questo la polizia, la magistratura, la Francia ufficiale della politica, perfino i capi dell’organizzazione degli ebrei di Francia hanno cercato di aggrapparsi: per la paura di sè, del peccato che si sente crescere intorno. «Se mio figlio non fosse stato ebreo sarebbe ancora vivo», ha iniziato a scandire la madre.
E la Francia sempre più inquieta e confusa ha dovuto porsi la domanda: dove comincia l’antisemitismo? È davvero necessario che ci sia qualche esplicita dottrina? Oppure basta lo stereotipo, il luogo comune assassino, il clichè sulle razze? La banda dei barbari aveva deciso di scegliere come bersaglio Ilan perchè «gli ebrei sono sempre ricchi». È l’antisemitismo «per amalgama» come l’ha definito Sarkozy, perfido e banale, più antico di qualsiasi invenzione dei Protocolli. In Francia c’è anche qualcosa di più: il «comunitarismo» che spesso si fa prestare rabbie antisemite.
Ora la scena è mutata: il giudice ha deciso di applicare agli arrestati la aggravante dell’«aver agito per motivi razziali». E oggi il presidente Chirac andrà alla grande sinagoga di rue de la Victoire, come avviene ogni volta che le ferite si riaprono e tornano i fantasmi del Vélodrome e di Vichy con i suoi treni di morte perennemente riforniti da zelanti carnefici francesi. Ma le tre donne di Ilan non si sono ancora fermate, la loro dialettica accusatrice non soffre di timidezza, cammina sui binari inflessibili seguendo una scia di sangue, colpa e dolore. «E tutti quelli che hanno sentito le urla di Ilan e sapevano che era in quel complesso abitato da migliaia di famiglie? Come - chiedono le due sorelle - non hanno potuto accorgersi che qualcuno veniva seviziato e che dei giovani facevano la guardia? Non hanno provato il minimo sentimento di pietà o avevano paura dei rapitori; o forse anche loro odiavano nostro fratello o forse tutte due le cose insieme».
Bagneux dove il dramma si è svolto non è una banlieue particolarmente terribile, i graffiti sul cemento stanco sono pochi e antichi, la violenza è rada, quasi «normale». Ma ora c’è il silenzio spesso della vergogna: «È vero - raccontano alcuni abitanti del palazzo macchiato di sangue - vedevamo quei giovani ma pensavamo fossero le solite storie di droga. È banale ripeterlo ma la nostra vita quotidiana è già così dura... perchè cercarsi guai in più?». Alla polizia non basta; la sfera dei complici, attivi e passivi, si allarga a dismisura. Le tre donne di Ilan continuano a trovare colpevoli.

Di seguito l'articolo pubblicato a pagina 1 dell'inserto dal Foglio:

Era contento la sera del 20 gennaio, Ilan Halimi. Una bella ragazza era entrata nel negozio di telefoni cellulari di Parigi dove il ventitreenne ebreo lavorava come commesso. L’aveva “dragué”, corteggiato. Gli aveva dato appuntamento in una zona di periferia. Una trappola. Da quella notte Ilan sparisce nel nulla. Alla famiglia, i suoi sequestratori, la “Gang dei barbari”, chiedono uno, due, tre riscatti, cifre variabili: 300 mila, poi 50 mila, infine 6 mila euro. Ma le trattative non portano a nulla. Un balletto di telefonate. Voci che chiamano la famiglia da numeri mai identificabili. Messaggi inviati da caselle di posta elettronica che cambiano e vengono cancellate. Sms spediti da cabine telefoniche vicine a una fermata del metro. Un rompicapo per la polizia che dispiega un centinaio di uomini (della brigata criminale, antiterrorismo e scientifica). Tre settimane dopo, il 13 febbraio, Ilan viene trovato agonizzante da un passante, vicino alla stazione di Saint-Geneviève-des- Bois (nell’Essonne). Seminudo, con tracce di maltrattamenti, ferite e bruciature di sigarette spente sulla carne viva su quasi tutto il corpo. Secondo il rapporto della polizia ha vissuto un martirio: torturato, affamato, picchiato selvaggiamente, è morto nell’ambulanza che lo trasportava all’ospedale. La madre Ruth dice chiaro quel che pensa: “Se Ilan non fosse stato ebreo, non sarebbe stato assassinato”. Per la Francia è un rapimento complesso, difficile da comprendere e spiegare. Il ragazzo non è di famiglia benestante. C’è l’ombra dell’antisemitismo. Ma la polizia e il governo procedono con cautela. Il ricordo delle rivolte della banlieue di ottobre è ancora fresco. Non si vuole urtare la suscettibilità della comunità musulmana delle periferie. Il Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche della Francia (massimo organismo delle comunità ebree), invita alla calma e al sangue freddo. Ma pone la domanda: “Ilan è morto perché ebreo?”. Emmanuel Weintraub, membro del direttivo del Crif, dice al Foglio che c’è il movente antisemita. E’ chiaro. Quando un giorno la madre dice ai rapitori che non ha il denaro del riscatto, loro le rispondono secondo l’equazione ebreo uguale denaro: “Vai a prenderlo alla sinagoga”. Ma non è l’unico aspetto: “Siamo stati colpiti dal fatto che le 18 persone arrestate sono molto diverse tra loro. Ci sono antillesi, nordafricani, anche francesi. Non “beurs”. Una specie di cross section della società, persone violente, unite dal banditismo, che avevano già colpito per ottenere un riscatto. Una gang della quale non conosciamo ancora tutte le ramificazioni. Sorprende, è nuova”. Il presidente del Crif, Roger Cukierman, chiede: “Il governo deve fornire la verità al nostro paese. Domando di fornirci la verità, nient’altro che la verità, tutta la verità su questa vicenda e soprattutto sulle motivazioni degli assassini”. Il presidente di Francia, Jacques Chirac, telefona ai genitori del ragazzo assicurando che “sarà fatta piena luce” sulla morte, e “in particolare se si tratta di un atto antisemita”. Ieri ha detto che parteciperà alla cerimonia funebre. Il premier, Dominique de Villepin, promette che farà “di tutto affinché gli autori di questo barbaro crimine siano arrestati”. Il ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, rincara: “E’ un crimine vile, odioso e barbaro. Inqualificabile. Bisognerà capire come tutto ciò è possibile. Hanno utilizzato mezzi Internet sofisticati. Ne ho abbastanza di sentir definire come semplici ‘giovani’ dei farabutti, assassini, barbari. Sarebbe creare un’amalgama intollerabile”. La banda – fa notare Weintraub – capeggiata da un ivoriano ventiquattrenne, Yussuf Fofana, non è fatta di poveri e analfabeti, ma è ben preparata. Come ha svelato la ragazza- esca, che si è recata in un commissariato di Polizia dichiarando di essere stata lei ad attirare Ilan. Ma di non sapere che l’intenzione era quella di rapirlo e torturarlo. “Il fatto ha gettato molta preoccupazione nella nostra comunità, anche nella mia famiglia. Io sono un superstite della Shoah e da oltre 60 anni a questa parte niente mi ha fatto più impressione di quanto avvenuto in questi giorni”, dice Wientraub. “E’ innegabile che di fronte al fondamentalismo islamico siamo costretti ad arretrare”. Senza la ricetta per affrontarlo, “per il momento facciamo un po’ come nei film del Far West. Quando gli indiani attaccavano, si mettevano i carri in cerchio e ci si difendeva alla meno peggio al centro”.

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