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Rassegna Stampa
31.12.2005 La sinistra di Amir Petetz in Israele ? nelle mani del sindacato
come la racconta lo storico Zeev Sternhell

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «"In Israele la sinistra finalmente è tornata a sinistra"»
Lo storico israeliano Zeev Sternhell, intyervistato da Umberto De Giovannageli, vede in Amir Peretz alla guida del partito laburista l'occasione della sua rinascita. Può anche darsi che abbia ragione, saranno le elezioni del 28 marzo a deciderlo. Noi ci limitiamo a constatare che la politica di quel tipo di sinistra, in Israele, non è mai riuscita a raggiungere nessun obiettivo. La pace con l'Egitto la fatta Begin e non la sinistra. E oggi, salute permettendo, l'unico che ha la fiducia della maggioranza degli israeliani, piaccia o non piaccia, è Sharon, al quale guardano con speranza destra,centro e sinistra. erto non quella di Peretz, ma quella moderata e pragmatica di Shimon Peres. Sono comunque intressanti le posizioni di Peretrz che Sternhell descrive. Ne viene furi una sinistra vecchio stile, simile a qualla perdente in Europa.
Ecco l'articolo:


«UN PAESE NORMALE, una democrazia in buona salute, hanno bisogno di una vera dialettica politica tra destra e sinistra, e non di una mortificante rincorsa al centro, condotta in nome del potere per il potere. Un Paese normale è quello in cui un uomo di sini-
stra è finalmente tornato a guidare un partito della sinistra. Il ritorno alla normalità è una sinistra che non prosciughi le sue riserve di credibilità pensando che il consenso per governare discenda dalla sua presunta capacità di moderare la politica della destra. Per troppo tempo Israele è stato un Paese politicamente "anormale", con un Partito laburista che ha annacquato la propria identità, sacrificando ad un pragmatismo opportunista i propri valori. Non so se la sinistra israeliana uscirà vincente dalle elezioni del 28 marzo prossimo. Quel che so, e di ciò mi rallegro, è che il Labour ha ritrovato un leader che non rinnega la propria identità, che non prova imbarazzo, bensì orgoglio, nel parlare di giustizia sociale, di uguaglianza, di difesa dei più deboli, che non accetta gerarchie ed esclusioni fondate sull'appartenenza etnica e religiosa. Per tutto questo ritengo che Amir Peretz sia la vera novità nella politica israeliana». A sostenerlo è Zeev Sternhell, docente di Scienze politiche all'Università Ebraica di Gerusalemme, tra i più autorevoli storici israeliani. Sternhell è molto duro nella sua analisi dell'altro elemento di novità della politica israeliana: Kadima, il partito centrista fondato da Ariel Sharon dopo la sua uscita dal Likud: «Kadima risponde perfettamente alla logica gattopardesca del cambiare tutto perché nulla cambi - rileva Sternhell - Il collante ideologico che tiene insieme l'eterogenea "armata" reclutata da Sharon nel suo nuovo partito, è il potere. Quel potere a cui Shimon Peres non ha saputo rinunciare: che triste tramonto è quello di un politico che iniziò la sua carriera da assistente di David Ben Gurion per poi finire, mezzo secolo dopo, a fare da spalla di Ariel Sharon».
Professor Sternhell, il 2005 si è chiuso con un vero terremoto politico in Israele. Qual è a suo avviso la novità più rilevante anche in vista delle elezioni legislative del marzo 2006?
«La vera novità è intervenuta nel Partito laburista, un partito che ha riscoperto l'orgoglio di essere forza di sinistra. Alla base della vittoria di Amir Peretz nelle primarie del Labour c'è una rivolta etica, prim'ancora che politica, dei militanti laburisti nei confronti di una vecchia, non solo anagraficamente, classe dirigente che, dopo la morte di Yitzhak Rabin, aveva finito per mortificare la storia del Labour, dilapidando un patrimonio ideale e di credibilità, e tutto questo per aver fatto coincidere totalmente la propria ragion d'essere con il Governo, inteso come fine e non come strumento per realizzare il cambiamento. Questa "sindrome ministeriale" ha sempre più reciso i legami del Labour, del suo apparato con la società israeliana. Amir Peretz è stato visto dai militanti laburisti come un investimento sul futuro proprio perché rappresentava in qualche modo un ritorno alle origini, un ancoraggio, aggiornato, a quei valori e principi senza i quali la sinistra perde cognizione di sé e si annulla, sancendo la propria subalternità a quella cultura della forza che connota l'agire politico della destra in ogni campo: la forza contro il più debole socialmente; la forza contro i palestinesi».
A cosa lega maggiormente l'ascesa di Amir Peretz?
«Alla riscoperta di una grande, e irrisolta, "Questione sociale". Con Peretz, la sinistra torna a fare i conti con una crescente ingiustizia sociale, lega se stessa alla realizzazione di una società più giusta ed equilibrata, non accetta di limitarsi a temperare politiche neoliberiste che hanno devastato il tessuto sociale israeliano. Amir Peretz non ha chiuso gli occhi davanti alla drammatica emergenza sociale che investe Israele, un Paese nel quale 1,5 milioni di persone, vale a dire il 22,4% della popolazione, vive oggi sotto la soglia di povertà. Peretz ha ricordato ai laburisti la verità, "antica" ma sempre attuale, che non c'è libertà senza uguaglianza. Questione sociale e ricerca di una pace giusta con i palestinesi sono le due facce di una stessa medaglia: è l'altra importante acquisizione del nuovo leader laburista. Perché il sostegno delle politiche sociali è possibile solo orientando in questa direzione le spropositate risorse finanziarie che lo Stato sacrifica per mantenere in vita gli insediamenti - ed anche per questa concreta ragione andrebbero smantellati totalmente - e perché una democrazia che investe sul proprio futuro non può essere a "chilometraggio limitato", e cioè attuata a Gerusalemme e inesistente a qualche decina di chilometri di distanza, laddove Israele si trasforma in uno Stato oppressore. Amir Peretz non è un sognatore. È un idealista che sa fare i conti, da buon sindacalista, con la dura realtà del vivere quotidiano».
Quella realtà che ha trasformato l'ex "generale bulldozer", Ariel Sharon, in uno statista pragmatico, disposto alla pace…
«Disposto semmai alla "sua" pace, che è altra cosa dalla ricerca di un equo compromesso con una controparte palestinese a cui si riconosce pari dignità e legittimazione. È la "bomba demografica" ad aver costretto Sharon al ritiro unilaterale da Gaza, non altro. Sharon è stato costretto a rinunciare al sogno di Eretz Israel, ma nel suo dna politico-militare c'è sempre la convinzione la pace altro non è che la ratifica al tavolo negoziale dei rapporti di forza imposti sul campo. Ciò significa che nel futuro di Sharon vi potranno essere altri atti unilaterali sul modello-Gaza, ad esempio lo smantellamento di una parte delle colonie in Cisgiordania, ma non sarà lui il premier che porterà Israele a sciogliere i nodi cruciali di questo interminabile conflitto…».
A cosa si riferisce in particolare, professor Sternhell?
«Alla necessità di definire consensualmente i confini definitivi di due Stati, Israele e Palestina, alla ricerca di una sovranità condivisa per Gerusalemme. Questioni dirimenti a cui non credo che Sharon possa e voglia dare risposte che portino a una soluzione politica del conflitto israelo-palestinese».
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