Quello che non avreste mai dovuto sapere su Fahhrenheit 9/11 la patacca anti- Bush di Michael Moore
Testata: Libero Data: 26 agosto 2004 Pagina: 1 Autore: Glauco Maggi Titolo: «Tutti i falsi del film contro Bush»
Libero di oggi, 26-08-04, pubblica in prima pagina l'articolo di Glauco Maggi "Tutti i falsi del film contro Bush", che di seguito riproduciamo. In America, due mesi dopo l'uscita, "Fahrenheit 9/11" è giudicato un'ottima macchina per soldi, anche se con i suoi 150 milioni di dollari a livello mondiale è a un quarto di ciò che ha già guadagnato "The Passion" di Mel Gibson. Come documentario, si è invece sgonfiato impietosamente, se possibile ancor più di quanto accadde per "Bowling for Columbine", che stimolò la nascita di siti web dedicati a smascherare menzogne e artifizi nella "documentazione" dell'America schiava della passione per armi. Scottato dall'esperienza, prima dell'uscita del film Moore aveva messo in piedi uno staff di legali, lanciando una guerra preventiva contro chiunque lo avesse accusato di falsità. Ma poi si sa come è andata: un'intervista alla Associated Press di Clarke, consigliere per la sicurezza di Bush ai tempi dell'attentato; le ricostruzioni dei giornalisti (persino un'inchiesta di Newsweek, settimanale filodemocratico); l'ineffabile giudizio di Paul Krugman, già professore di economia diventato il commentatore più anti-Bush del New York Times («il film contiene inesattezze, ma queste cose è bene siano dette»); e, definitivamente, conclusioni della Commissione bipartisan del Senato Usa, lo hanno relegato nel ruolo che gli è proprio: una bandiera per i già schierati, patchwork di manipolazioni e di vere menzogne e artifizi e di vere menzogne. La più clamorosa e la più smascherata bugia riguarda il rapporto di Bush con i sauditi: cioè che la Casa Bianca è al soldo degli arabi del petrolio al punto che Bush avrebbe favorito la fuga dei sauditi familiari di Osama, facendoli decollare senza chiedere nulla su aerei privati quando i cieli erano chiusi per tutti. La commissione ha invece documentato che l’Fbi ha interrogato 30 passeggeri sauditi dopo aver filtrato tutti i nomi nei suoi data-base con «domande specifiche» e che «nessuno di interesse dell’Fbi potè lasciare il paese». Il volo "incriminato" da Moore avvenne in realtà il 13 settembre: non solo fu un volo domestico, dalla Florida al Kentucky, ma avvenne dopo che l’aereoporto di Tampa fu ufficialmente riaperto. Moore ovviamente sapeva la storia vera, già uscita in un’intervista a Clarke sul Vanity Fair. Eppure, intervistando Clarke nel film per fargli dire le sue opinioni politicamente divergenti da quelle di Bush sull’intervento in Irak, si è ben guardato dal "documentare" che quello stesso Clarke era il più alto in grado in quelle drammatiche ore a gestire le questioni della sicurezza interna, e che prese lui la decisione di autorizzare i voli: «Nessuno più in alto di me diede l’ok », ha ripetuto Clarke all' agenzia Ap in un’intervista a film uscito, arrivando a definire un «errore» l’uso di quell’episodio e sostenendo che Moore sapeva la verità. Ma il teorema saudita, che permetteva a Moore di dipingere la famiglia Bush secondo lo schema della corporation avida di denaro, era troppo centrale nella trama politica per tener conto dei puri fatti. Così nasce anche la bufala del miliardo e rotti di dollari che sarebbe stato il guadagno dei rapporti d’affari tra i due Bush e i reali sauditi. Per il 90%, ha dimostrato Newsweek, la cifra riguarda contratti di forniture militari della Bdm, azienda posseduta dal Carlyle group nel cui board sedette Bush padre. Il "dettaglio" che smonta tutta la macchinazione, è che l’ex presidente entrò nel consiglio nell’aprile del 1998, cinque mesi dopo che la Bdm era stata venduta ad un altro gruppo del settore difesa. «Bush non ha avuto nulla a che fare con la Bdm» ha dichiarato l’ex portavoce della Carlyle Chris Ulman, ex funzionario del governo Clinton. A proposito, citare il gruppo Carlyle facendolo apparire come covo del male imperialistico al servizio di Bush è tipico dell’approccio fazioso di Moore: infatti nel board ci sono sempre stati anche tanti democratici, dal fondatore David Rubinstein, consigliere di Jimmy Carter, a Thomas NcLarty, capo dello staff della Casa Bianca e Arthur Lewitt, l’ex capo della Sec, entrambi ai tempi di Clinton. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Libero. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.