Figlie di Gerusalemme Shifra Horn
Traduzione Silvia Pin
Fazi Euro 20
Fra le autrici che popolano il panorama letterario israeliano un posto di primo piano spetta a Shifra Horn, scrittrice, giornalista e antropologa nata a Tel Aviv nel 1951 da
una madre sefardita e da un padre russo sopravvissuto alla Shoah.
Paragonata a Isabel Allende e Garcia Marquez per il suo stile immaginifico e apprezzata a livello internazionale per i romanzi appartenenti al realismo magico come “Quattro madri” e “La più bella fra le donne”, pubblicati in Italia da Fazi, Shifra Horn colpisce per lo sguardo profondo con cui esplora i temi legati alle tradizioni, alla famiglia, alla società israeliana con un focus particolare sul mondo femminile.
La sua ultima prova narrativa “Figlie di Gerusalemme” (Fazi), che arriva in libreria dopo otto anni dal suo precedente romanzo “Scorpion dance” (Fazi), è una appassionante saga familiare che racconta la storia di cinque generazioni di donne sullo sfondo della Gerusalemme sotto controllo ottomano e della Londra vittoriana con intervalli narrativi che fluiscono nella contemporaneità fino ad arrivare agli Accordi di Oslo 2 tra lo Stato di Israele e i palestinesi.
“Il mio mentore e maestro Amos Oz affermava che per scrivere un libro devono essersi avverate due condizioni; un’infanzia difficile e una nonna che racconta storie. Quelle due condizioni in me si sono realizzate”.
Sono parole di Alexandra Davidovitch, voce narrante della storia, una scrittrice quarantenne colta, sposata con un professore dell’Università di Gerusalemme, che per scrivere la storia della sua famiglia sceglie – in modo analogo a Virginia Woolf - uno spazio suo nel residence per artisti Mishkenot Sha’ananim, la casa avita dove nel corso degli anni avevano abitato le sue antenate e da cui trarre ispirazione.
Custode preziosa delle memorie familiari è Edwarda, nonna di Alexandra, che in lunghi pomeriggi dinanzi a una fetta di torta, lascia fluire i ricordi partendo da nonno Gershon arrivato in modo rocambolesco dalla Russia nella Palestina ottomana e da nonna Shoshana, perseverante e ingegnosa, resiliente dinanzi ai colpi della vita.
I racconti di Edwarda che declinano i cambiamenti storici e culturali di quegli anni consentono ad Alexandra di conoscere una delle figure più intense del romanzo: la bisnonna Victoria, cresciuta in una Gerusalemme ricca di contraddizioni, fra tradizioni religiose e culturali diverse e pervasa dai profumi provenienti dai vicoli della città vecchia. All’età di quattro anni Victoria è una bambina ribelle, circondata dall’affetto indiscusso del padre che è riuscito grazie al console britannico ad avere un lavoro e una sistemazione dignitosa per la famigliola. Per la sua bellezza Victoria viene scelta dal console per offrire un mazzo di fiori ad Albert Edward, primogenito della regina Vittoria ed erede al trono del regno di Gran Bretagna: un episodio cruciale che avrà conseguenze determinanti per il suo futuro e cambierà il destino della famiglia fino ad arrivare ad Alexandra.
In un lungo susseguirsi di eventi che raccontano le vicende di Gershon e di Shoshana vedremo Victoria nella Londra vittoriana affrontare la vita con piglio caparbio, senza cedere dinanzi alle sfide imposte da un mondo ancora dominato dagli uomini.
In queste pagine cariche di tensione emotiva ma pervase anche da un brillante umorismo si snodano i ricordi di Edwarda che Alexandra ha catturato nel corso degli anni e ora trasferisce in un romanzo coinvolgente dove passato e presente si intrecciano alternando la storia della sua famiglia al racconto in prima persona del processo creativo che giorno dopo giorno si sviluppa, fra incertezze e titubanze, nella stanza del residence di Mishkenot Sha’ananim.
“Il cursore continua a lampeggiare davanti a me come se volesse incoraggiarmi a proseguire, ma sono bloccata. La scrittura si arresta, l’inconscio tace, l’immaginazione si barrica e rifiuta di collaborare. Non so come continuare il capitolo. Mi alzo, mi stiracchio e bevo un sorso d’acqua…”
Negli intervalli narrativi che raccontano il presente, Alexandra si mette a nudo descrivendo il rapporto intenso con Boaz, un marito molto più anziano di lei di cui è profondamente innamorata ma inviso alla madre Abigail che, peraltro, non le risparmia il suo giudizio feroce sugli uomini: “una donna ha bisogno di un uomo come un pesce ha bisogno di una bicicletta”. Alexandra, cresciuta senza padre, si sente amata a accudita da Boaz e non lesina critiche alla madre, una donna anaffettiva, con la quale ha sempre avuto un rapporto conflittuale sin dall’infanzia, mediato solo dalla dolcezza di nonna Edwarda. Solo nelle ultime pagine con una rivelazione sconvolgente della madre, in gioventù affiliata all’organizzazione paramilitare clandestina del Lehi, Alexandra scopre il mistero che avvolge la sua nascita.
In un continuo fluire di storia e memoria prende vita una saga al femminile intensa e coinvolgente, ricca di colpi di scena e sfolgoranti descrizioni dei luoghi e dei personaggi. Un capitolo speciale è dedicato a “Gerusalemme”, un vero atto d’amore per la città eterna: “E’ la città scolpita nel mio cuore. La città senza la quale non posso esistere. La città i cui paesaggi mi riempiono di ispirazione e nei quali prospera la mia immaginazione, perché solo a Gerusalemme posso scrivere, perché soltanto lì mi sento a casa”.
Le varie epoche storiche, mirabilmente descritte negli avvenimenti più salienti, come la guerra di Crimea, i pogrom in Russia, la Prima Guerra Mondiale, l’epidemia di colera che falcia moltissime persone, il mandato britannico della Palestina fanno da sfondo alle vite delle donne Davidovitch che, a loro volta, si intrecciano con personaggi storici realmente vissuti: il principe ereditario inglese Edward e l’infermiera Florence Nightingale, esempio e modello per tante donne che negli anni hanno scelto questa professione.
Ad Alexandra (forse alter ego dell’autrice) spetta il compito di raccogliere l’eredità di storie, tradizioni religiose e leggende della famiglia per ricordarci che ciascuno di noi è custode di memorie e frammenti del passato.
Con questo romanzo corale, denso di voci e pensieri, dove l’universo femminile si trasforma da una generazione all’altra per diventare un esempio moderno e non convenzionale di resilienza, Shifra Horn realizza l’epica del femminismo ebraico e si conferma magistrale creatrice di storie.
Giorgia Greco |