Il mondo sapeva
Elie Wiesel
Traduzione e curatela di Sibilla Destefani
Giuntina euro 8
Il discorso pronunciato da Elie Wiesel nell’ottobre 1999 nell’aula magna dell’Università di Friburgo in Svizzera, registrato in quell’occasione dal giornalista Raniero Fratini, è ora un libro dal titolo “Il mondo sapeva”, edito da Giuntina con la curatela di Sibilla Destefani. Una intensa e inedita testimonianza che si può leggere anche in lingua originale e ascoltare sul sito di Giuntina dalla viva voce del grande testimone. Giornalista e scrittore, Premio Nobel per la Pace nel 1986, sopravvissuto alla Shoah, Elie Wiesel per tutta la vita ha lottato contro l’oblio, l’indifferenza e la menzogna; è stato un paladino del suo popolo lottando per la libertà degli ebrei russi all’epoca della Cortina di ferro ma si è speso anche contro i genocidi di Cambogia e Ruanda fino a proporre un intervento dell’Onu affinchè il terrorismo fosse considerato un crimine contro l’umanità. Ospite d’onore di un convegno internazionale dedicato al tema della Svizzera di fronte al suo passato, Wiesel esordisce nel suo discorso all’Università di Friburgo ringraziando quel Paese per aver accolto, durante la guerra, una ragazza ebrea che più tardi sarebbe diventata sua moglie. “Ma – si chiede il testimone – quanti altri non hanno avuto tale fortuna?” E il pensiero vola immediatamente alla senatrice a vita Liliana Segre che, respinta dalle autorità elvetiche, finì nel campo di sterminio di Auschwitz. Da questa domanda prende avvio una lunga riflessione sul rapporto fra passato e futuro e sulle implicazioni di Auschwitz per il nuovo millennio. Suddiviso dalla curatrice in quattro sequenze tematiche che agevolano la lettura il testo mette a fuoco alcune fra le tematiche più care allo scrittore: il ruolo del testimone (“Negli ultimi tempi il testimone che è in me si sente sottoposto a una dura prova: la sua testimonianza è stata accolta?”), l’importanza della memoria (“…senza la facoltà di trasformare il passato in ricordo, che cosa farebbe l’uomo? Che cosa sarebbe la storia della cultura di una comunità, qualunque essa sia, se fosse privata di memoria? In altre parole, è il passato e ciò che scegliamo di farne, che determina e costruisce il futuro.
Chiunque cancelli il passato uccide il futuro”), la consapevolezza del genocidio in atto da parte dei contemporanei che, sollevata dall’autore in diverse parti della sua allocuzione, rappresenta uno dei passaggi apicali del suo messaggio (“Ebbene, che fare oggi di questo sapere: che noi sappiamo che il mondo sapeva e non diceva nulla? Come fare a parlare delle vittime, per portare su di noi la loro verità mutilata, la loro memoria muta?”). Cosa significa per l’Europa contemporanea dove ancora oggi si assiste a rigurgiti antisemiti il fatto di sapere che sin dal 1941 gli Alleati erano a conoscenza delle fucilazioni di massa e più tardi anche dell’esistenza dei campi di sterminio ma non intrapresero alcuna azione per arrestare quella tragedia? Senza rispondere in maniera diretta Wiesel suggerisce di non consentire all’odio di chiudere i nostri animi alimentando il rancore perché, ribadisce, lasciarsi andare a una tristezza smisurata finisce con il corrompere anche il futuro. Per spiegare ulteriormente questo concetto Wiesel cita il Talmud ove si “afferma che la tristezza allontana la presenza della Shekhinà, la presenza di Dio. La tristezza sarebbe quindi anche una sconfitta per la Memoria”. L’autore si interroga sulla difficoltà di recepire il messaggio dei sopravvissuti anche da parte degli studiosi con il rischio di banalizzare e mettere in pericolo la Memoria (“Oggi l’assalto contro i sopravvissuti proviene da direzioni diverse. E’ come se ce l’avessero con loro non solo per avere sofferto, ma anche per essere sopravvissuti per parlare della loro sofferenza”). Parole durissime sono invece rivolte contro l’antisemitismo che invita a combattere ovunque senza paura (“Bisogna combatterlo con intelligenza, umanamente e senza violenza, ma bisogna combatterlo. Bisogna mostrare la sua mostruosità, rivelare la bruttezza dell’antisemita. Bisogna affermare l’idea che fintanto che l’odio verso il popolo ebraico troverà il suo nutrimento, questo odio rischia di ritorcersi contro tutto il mondo. L’odio è contagioso come la peste: passa da un essere umano all’altro, da una comunità all’altra e finisce con l’invadere tutto il corpo sociale per intero; il corpo intellettuale per intero”). In queste pagine la voce di Wiesel conserva ancora dopo tanti anni la forza vibrante della verità che scaturisce dall’indicibile esperienza di chi, ancora adolescente, ha conosciuto l’orrore dei campi di sterminio, magistralmente narrato nel suo capolavoro “La notte”, primo titolo della collana Schulim Vogelmann con cui Giuntina esordisce nel 1980. Una voce che ci auguriamo le nuove generazioni non smettano mai di ascoltare perché, “ben al di là del 1999, il mondo continua ad avere bisogno di saggezza” e di Maestri che con parole equilibrate e sapienti sappiano indicarci la strada giusta da percorrere nel rispetto della vita di ogni essere umano.
Giorgia Greco