Un’ipotesi di violenza Dror A. Mishani Traduzione di Elena Loewenthal Guanda euro 18,50
La promessa di una nuova indagine per Avraham Avraham, l’ispettore più intrigante d’Israele, aveva lasciato i lettori con il fiato sospeso al termine della lettura dell’eccellente detective novel di Dror Mishani, Un caso di scomparsa, pubblicato da Guanda nel 2013. Vincitore del premio letterario “Adei Wizo Adelina della Pergola” il primo romanzo di Mishani non è solo un thriller di alto livello nel panorama della nuova narrativa israeliana, ma l’occasione per gettare uno sguardo su un pezzetto d’Israele lontano dalla politica e dal terrorismo, attraverso le vicende di un poliziotto solitario e un po’ depresso che si trova alle prese con la sparizione di un adolescente nel quartiere mizrahi di Holon, lo stesso in cui è nato e cresciuto l’autore. La nuova indagine dell’ispettore Avi che Guanda manda in libreria con il titolo “Un’ipotesi di violenza” è un gradito regalo per i lettori e la conferma del talento narrativo di Dror Mishani, editor e docente di letteratura all’Università di Tel Aviv.
Come il precedente anche questo thriller comincia in sordina con uno stile narrativo pacato e una trama ben delineata in cui l’autore mette in fila i fatti senza eccedere nel clamore, per lo meno all’inizio, bensì miscelando con sapienza narrativa azione crescente e accurata caratterizzazione dei personaggi. La storia, che si sviluppa attorno a due eventi apparentemente intrecciati, tiene il lettore avvinto alla pagina e lo conduce a un finale sorprendente in cui le tessere di un puzzle assai complicato si incastrano alla perfezione. Al ritorno da un lungo viaggio a Bruxelles con la fidanzata Marianke, una poliziotta belga, Avi è chiamato dal nuovo comandante Benny Saban a indagare su una falsa bomba abbandonata in una valigia nei pressi di un asilo infantile.
La maestra, Chava Cohen, interrogata sui motivi che potrebbero aver indotto qualcuno a lasciare quella valigia ha un atteggiamento aggressivo e si dimostra reticente come se nascondesse qualcosa. Avi viene a sapere che ha litigato con alcuni genitori forse perché maltratta i bambini. In più un’assistente che lavorava nell’asilo si è recentemente licenziata. Perché? Cosa nasconde Chava Cohen? Nel frattempo l’ispettore rilascia l’unico indiziato, Amos Uzan, catturato dalla polizia proprio la mattina del ritrovamento della valigia con la falsa bomba. Ma è veramente estraneo ai fatti? E’ a questo punto che si innesta nella trama un nuovo personaggio Chaiim Sara, un uomo anziano e malinconico con due figli, il più piccolo dei quali, Shalom, frequenta l’asilo della maestra Cohen. L’ispettore apprende casualmente che Sara ha discusso in modo vivace con l’insegnante perché il piccolo è tornato a casa con la testa sanguinante. Può essere lui ad aver messo la valigia come avvertimento per la condotta della Cohen? L’indagine si complica quando Chava Cohen viene ritrovata alla periferia di Tel Aviv massacrata di botte. Al risveglio dal coma la donna riesce a scrivere su una lavagnetta il nome del responsabile.
Una parte dell’indagine pare risolta ma Avi è sempre più convinto che Chaiim Sara nasconda qualcosa di losco; nonostante l’uomo ribadisca più volte alla polizia che la moglie di origini filippine è partita per Manila per accudire il padre malato, Avi con la collaborazione di un ispettore filippino riesce a sapere che la donna invece è da molti anni lontana dal paese e che il padre è morto da tempo. Cosa nasconde Chaiim Sara e perché vuole partire per Manila insieme ai figli? C’è il rischio che possa far loro del male? Avraham Avraham è ancora scosso dagli errori commessi nella precedente indagine in cui aveva sottovalutato le responsabilità del padre della vittima; ora è meno sicuro, più sospettoso e nel contempo ansioso di correggere la sua condotta precedente. Ma il suo intuito non sbaglia e, nonostante le difficoltà incontrate con Ilana Lis, capo della sezione investigativa del distretto di Tel Aviv che tenta di dissuaderlo, Avi persevera nel suo proposito di “stringere d’assedio” Chaiim Sara fino all’epilogo atteso ma non per questo meno sconvolgente. Recensire un thriller richiede sempre una certa dose di equilibrio: abbozzare la trama senza lasciarsi andare a troppe anticipazioni per non guastare il piacere della lettura e, nel contempo, suscitare la curiosità del lettore.
“Un’ipotesi di violenza”, però, non è solo una detective novel dalla trama appassionante e dallo stile narrativo serrato capace di catturare l’attenzione del lettore sin dalle prime pagine. Anche in quest’ultimo romanzo Mishani si cala nel dramma umano dei suoi personaggi e l’indagine poliziesca che ne costituisce la cornice è l’occasione per scandagliare l’animo umano e i rapporti familiari, oltre che per raccontare i reati comuni in una società dove i crimini sono quasi sempre a sfondo politico o ideologico. Nelle pagine di Mishani non troviamo la sacra Gerusalemme o la mondana Tel Aviv bensì la periferia urbana di Holon con quartieri popolari e palazzoni grigi dove si muove un commissario anomalo che tenta di scoprire la verità in modo inconsueto, senza rifuggire da dubbi o incertezze ma con una grande capacità di empatia verso i suoi interlocutori: una sorta di anti-eroe, capace di identificarsi sia con le vittime sia con i criminali su cui indaga.
Nei suoi romanzi Dror Mishani racconta una storia di crimini da più punti di vista e in tal modo il libro ne risulta arricchito perché – come afferma l’autore in un’intervista – “…una storia poliziesca non è solo un mistero da risolvere ma anche una complessa tragedia umana che tocca tante vite – delle vittime e delle loro famiglie come dei criminali e delle loro famiglie – e dunque non può essere raccontata solo dal punto di vista del poliziotto. Questo è il motivo per cui tento di scrivere le storie ascoltando sempre l’altro lato della tragedia, tentando di consentire ai lettori di mettere assieme i diversi pezzi di verità della storia che leggono, con diversi punti di vista”.
Giorgia Greco
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