31/5/02 Princìpi cristiani? el diario di una suora del «Baby hospital» i giorni drammatici dell’assedio
Testata: Avvenire Data: 30 maggio 2002 Pagina: 1 Autore: Salvatore Mazza Titolo: «Lettere da Betlemme»
Lettere da Betlemme
Nel diario di una suora del «Baby hospital» i giorni drammatici dell’assedio: «Se il mondo sapesse come si vive qui, qualcosa cambierebbe»
da Roma Salvatore Mazza
Suor Pia Ignazia ha scritto e inviato queste note, Avvenire ha scelto di pubblicarle, il giornalista ha scelto di non aggiungere alcun commento critico: pari demerito, dunque, per i tre responsabili.
«A livello umanitario, si tratta di catastrofe». Betlemme, 12 aprile 2002, «dodicesimo giorno di assedio». Sulla città «si stende un silenzio totale, terribile, che si alterna al rumore assordante dei carri armati che passano davanti al nostro ospedale per andare a "finire il lavoro"».
Le virgolette sembrano suggerire che si debba trattare di un qualche lavoro MOLTO sporco. In realtà si trattava di combattere il terrorismo, cosa che qualunque Paese civile fa con il massimo impegno, ricevendone plauso universale. Una morsa che riduce tutto alla disperazione. Nove infermiere su novanta, tre medici su 10. Gli altri? «Nessuno può accedere al nostro ospedale, noi non possiamo raggiungere i malati». E poi «tante persone uccise, quante? Decine? Centinaia? I giornalisti che stavano là fuori, a Betlemme, non ne hanno avuto notizia: come mai ne ha avuto invece notizia la suora dentro le sue mura?
tantissimi in prigione, chissà perché! tante case distrutte... i piccoli negozi nei pressi della Natività sfondati». «Come si potrà aiutare questa gente a guarire da tante ferite, a riprendere in mano i cocci della propria esistenza, così devastata?».
Buttiamo lì un'idea a caso: forse suggerendo loro di piantarla col terrorismo ... ?
In quel dodicesimo giorno d’assedio suor Pia Ignazia (nella foto sotto), del Caritas Baby Hospital di Betlemme, inizia ad affidare al suo diario, finora inedito, la cronaca dolorosa di giorni terribili. «Ironia degli eventi. Domenica prossima, 14 aprile, avremmo dovuto iniziare le celebrazioni per il 50° dell’ospedale. Era il 1952 e nei campi di rifugiati a Betlemme i bambini morivano di fame, di malattia e di freddo.
Naturalmente non si ricorda che nel 1952 quella zona apparteneva alla Giordania, che i campi profughi erano stati istituiti dalla Giordania, erano gestiti dalla Giordania. Quindi la continuità degli eventi suggerisce che, come i "carnefici" di oggi sono gli israeliani, così anche quelli di allora erano gli stessi israeliani.
La vigilia di Natale di quello stesso anno un sacerdote svizzero iniziava in due stanzette prese in affitto ciò che poi è diventato il nostro ospedale per bambini. Era appena finita la guerra arabo-israeliana o, meglio, solo interrotta. Se quel prete tornasse in vita e venisse oggi a Betlemme dopo 50 anni, sarebbe deluso... la città non è molto diversa da allora, e molti bambini continuano a morire a causa della violenza.
Voluta da chi? Organizzata da chi? Perpetrata da chi?
Oggi tocca a noi rimboccarci le maniche». 20 aprile, ventesimo giorno di assedio.
Solo di assedio, vero? Non di occupazione, profanazione, dissacrazione da parte palestinese della chiesa più sacra alla cristianità! La situazione è sempre più tesa. Annota suor Pia Ignazia: «I litigi, le risse e la violenza per avere un po’ di cibo sono inimmaginabili». Si lotta per la sopravvivenza. E «si ritorna a essere primitivi... sotto la legge della giungla». «L’amarezza che ci prende nel vedere queste scene è indescrivibile, e ci viene voglia di urlare. Che ne sanno della sofferenza umana quelli che da lassù, nei loro palazzi, decidono le guerre?». A Betlemme nuove macerie si aggiungono ogni giorno alle vecchie. La paura taglia la voce, ma non le gambe: «A circa duecento metri dal nostro ospedale un uomo aveva bisogno urgente di medicine e volevamo aiutarlo. Con un vecchio lenzuolo ci siamo fatte una bandiera bianca e siamo uscite di casa... La paura di imbatterci in qualche carro armato era così tanta che lungo la strada siamo state sempre zitte!». Grondano amarezza, impotenza, angoscia, orrore, le pagine del diario della religiosa di Betlemme:
Ci piacerebbe verificare se le pagine della religiosa grondino altrettanta amarezza, impotenza, angoscia, orrore per le centinaia di israeliani, quasi tutti civili innocenti, fatti a pezzi dai terroristi palestinesi.
"Una giovane donna palestinese mi ha detto: "Mi sento come un topo".
Possiamo immaginare che gli israeliani in pizzeria si sentano invece come un gatto.
25 aprile, venticinquesimo giorno di assedio. Qualche lampo di sole. «La tristezza che qui ci avvolge tutti non è ancora riuscita a spegnere il sorriso di Hend, una bambina dagli occhi di sole. Il prossimo ottobre compirà tre anni. Da un anno e mezzo "abita" da noi, al Baby Hospital. Viene da Gaza. Da quando è iniziata l’intifada, il 28 settembre del 2000, i suoi genitori non possono più farle visita...
Naturalmente a far scoppiare l'intifada sono stati gli israeliani, vero sorella? E nel frattempo TUTTI i genitori israeliani hanno continuato a poter fare visita a TUTTI i loro figli.
Quando finirà questo lungo assedio? Ce lo chiediamo tutti.
E una così buona cristiana non si chiede quando finirà la dissacrazione della basilica? E il giornalista cattolico di un quotidiano cattolico non se lo chiede?
28 aprile, ventottesimo giorno di assedio. «Dopo quasi un mese di "arresti domiciliari" per la prima volta abbiamo potuto partecipare a una Messa... La commozione ci ha presi tutti. La celebrazione s’è conclusa con un "arrivederci domenica prossima alla Basilica della Natività"». 3 maggio, trentatreesimo giorno: «Cominciamo a farci un’idea della distruzione che è avvenuta intorno a noi anche se, come dicono, non è paragonabile a ciò che è avvenuto in centro, nei pressi della Natività. La gente si fa largo tra carcasse d’auto, immondizie e pezzi di marciapiede. I lampioni con le stelle luminose, "lontano" ricordo delle celebrazioni del 2000, stanno a terra schiacciati». Quelle che suor Pia Ignazia chiama le "ore d’arie" danno modo di rendersi conto «anche della distruzione interiore che sta avvenendo, delle vittime "silenziose" di questa guerra...
E invece gli israeliani - ma tu guarda che fortuna sfacciata! - non subiscono nessuna sorta di distruzione, né esteriore, né interiore.
I casi di morte per infarto si susseguono». È morto Fouad, povero e solo, senza più casa e lontano dai figli. È morto Yacoub, il venditore di souvenir che inseguiva sotto il sole i gruppi di pellegrini e così si guadagnava il pane. E, se non si prende la vita, «la disoccupazione uccide l’anima, e l’ozio pure». 8 maggio, trentasettesimo giorno, sesta settimana d’assedio. L’"arrivederci" alla Natività è stato rinviato. Ma il mondo, che pure qualcosa dovrebbe sapere, forse non lo vuole. I potenti trattano, litigano, decidono, ci ripensano. I piccoli soffrono: «Se tutto il mondo sapesse come si vive qui a Betlemme, qualcosa cambierebbe di certo!».
E come si vive a Gerusalemme, a Tel Aviv, a Netania?
L’alba del 10 maggio. La fine dell’assedio. «I "rifugiati" sono usciti dalla Basilica della Natività. Hanno avuto salva la loro vita. La basilica ha adempiuto il suo compito».
Il compito di una basilica è quello di far sì che dei terroristi armati vi facciano irruzione, prendano in ostaggio dei frati, li derubino di tutto e poi se ne vadano indisturbati?! Sorella, ma è sicura di sapere qualcosa del cristianesimo, lei?
Dalla Natività i frati sgombrano i cadaveri e i feriti. La gente cerca di capire che cosa s’è salvato. Quasi nulla. «Che queste immagini restino indelebilmente impresse nella nostra vita. Che il mondo finalmente capisca che la vita umana è un valore di fronte al quale Dio stesso si inginocchia.
I terroristi invece un po' meno, ma fa niente: a noi sono tanto simpatici lo stesso!
Queste sono le cose più importanti che oggi riusciamo a dire, qui al Baby Hospital, chiamate a prenderci cura della vita di tanti bambini di Betlemme e a portare il nostro piccolo contributo alla pace. Inshallah!». Come Dio vuole.
E con questi contributi abbiamo paura che ci sarà da aspettare un pochino, per l'avvento della pace.
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