25/6/02 Un solo aggettivo: Immondo Tutto sullo stesso piano, tutto uguale
Testata: Avvenire Data: 22 giugno 2002 Pagina: 1 Autore: Marina Corradi Titolo: «SEMPRE A CONTAR MORTI»
AVVENIRE Sabato 22 giugno 2002
SEMPRE A CONTAR MORTI
INARRESTABILE SIMMETRIA DELL’ORRIDO
Marina Corradi
Un solo aggettivo per questo articolo: immondo.
Tre bambini palestinesi uccisi in un attacco dell’esercito israeliano al mercato di Jenin. Tre, come i figli dei coloni massacrati l’altro ieri nei Territori.
Tutto sullo stesso piano, tutto uguale: i bambini uccisi per errore e quelli uccisi intenzionalmente, a sangue freddo, guardandoli neli occhi: la signora Corradi non vede differenze.
Un errore, dice Israele. Ma come credere a quello che dice Israele? Quando si tratta di quella gentaglia, la diffidenza è d'obbligo. E infatti: Ma è difficile sfuggire all’idea che un destino di odio inarginabile mieta in quella terra, con precisa simmetria, le sue vittime. Occhio per occhio, bambino per bambino, sembra la vera legge, non detta.
Ci scusiamo con i lettori di Informazione Corretta, ma non siamo in grado di commentare questa frase, il cui cinismo è talmente ributtante da superare ogni nostra capacità.
Due popoli si affannano a contare i loro morti.
Da una parte voluti, dall'altra no: ma questo, per la signora Corradi, è un dettaglio talmente insignificante da non meritare nemmeno di essere menzionato.
E ce n’è sempre di nuovi, da vendicare.
Da una parte si manda la gente a morire e dopo che è morta la si vendica; dall'altra si cerca di evitare che tutto ciò accada, ma la signora Corradi non lo sa.
Il quotidiano Haaretz pubblica il resoconto del dialogo tra il ministro alla Difesa israeliano Ben Eliezer e una giovane kamikaze che l’8 marzo scorso, in una strada di Gerusalemme, si è fermata.
E la signora Corradi riassume il resoconto a modo suo.
S’è tolta la cintura al tritolo che già aveva ai fianchi, ed è tornata a casa. L’incontro fra il ministro e Arin Ahmed, in una cella di prigione, nella sua concisione ha lo spessore dei drammi classici. "Perchè volevi commettere un attentato?" "Perchè voi avete assassinato il mio ragazzo".
In realtà il ragazzo era saltato in aria maneggiando maldestramente dell'esplosivo con cui voleva assassinare gli israeliani, ma alla signora Corradi questo dettaglio è rimasto nella penna.
"Volevi uccidere degli ebrei innocenti per vendicarlo?" "Pensando al mio ragazzo, ho sentito che era giunto il mio momento. Ho detto ai Tanzim che ero a disposizione. Quattro giorni più tardi mi hanno richiamata e mi hanno fatto le congratulazioni: ero stata scelta per diventare martire e eroina". Il ministro: "Come mai all’ultimo momento hai cambiato idea?" "C’era un sacco di gente, madri con bambini, ragazzi. Mi è venuta in mente una ragazza israeliana della mia stessa età, di cui ero stata amica. Di colpo mi sono detta: come posso farlo?» Che cosa ferma sull’orlo dell’abisso un ragazzo pronto a morire, pur di uccidere? Delle buone parole, o forse il timore di un dio da cui si aspetta invece il paradiso? Se non basta l’efficientissima polizia israeliana, se non basta nemmeno la tempesta di paura che il kamikaze ha dentro, che cosa ancora può fermarlo? Per questa ragazza, è stata la faccia di un’amica - una che era israeliana, eppure amica - ciò che all’ultimo istante è intervenuto come un imperativo interiore. E’ stata la memoria di una persona, nemica sulla carta eppure cara, a evitare altri bambini maciullati sull’asfalto di Gerusalemme. Il sapere che anche "dall’altra parte" ci sono persone, compagne di scuola, figli e madri, per una volta ha arrestato il meccanismo infernale dell’odio. Arin Ahmed è una palestinese benestante, va all’università. Non è cresciuta dietro il filo spinato dei campi profughi, vivai di umiliazione e di odio.
Marina Corradi ci dovrebbe però spiegare come mai quest'odio non si riversi sui responsabili di questa umiliazione, su chi ha voluto, costruito e mantenuto quei campi per oltre mezzo secolo, e si riversi invece sugli israeliani, che coi campi non hanno niente a che fare.
Ha avuto almeno un’amica, dall’altra parte; ha avuto la possibilità di ricordarsi che anche il nemico è un uomo. Nella devastazione che sta vivendo Israele, pare che di questo da entrambe le parti ci si dimentichi.
Non esattamente: sono solo i libri di testo palestinesi a descrivere gli ebrei come scimmie e maiali; quelli israeliani fanno conoscere, al contrario, la letteratura e l'arte palestinesi. La signora deve essere un po' strabica, evidentemente.
Ieri, un noto avvocato ebreo di New York ha proposto la pena di morte per i parenti dei kamikaze.
E si sono levate vivissime proteste, sia dagli ebrei americani che in Israele. Forse la giornalista aveva un po' fretta di concludere l'articolo e si è dimenticata di dircelo.
Quando, dall’"altra parte", non c’è più nemmeno una faccia, allora si ammazzano i ragazzi che vanno a scuola, e i bambini che mangiano il gelato, o si invoca un diritto barbarico, che elimini, di un assassino, madre, padre e fratelli. UNO lo ha invocato. Dall'altra parte c'è un intera popolazione che fa festa quando vengono ammazzati israeliani, che rispetta e onora gli assassini, ci sono madri che incoraggiano i propri figli a morire uccidendo. Forse la signora Corradi non si è ancora accorta che anche "dall'altra parte", anche in Israele ci sono facce, ci sono persone.
Quando "di là" non c’è più un uomo, non ha più senso parlare di speranza. I fratelli dei ragazzi uccisi, palestinesi e ebrei, cresceranno nell’odio. Se non per un imprevisto straordinario: accorgersi che anche dall’altra parte ci sono uomini. Ma per evitare questo rischio ora si inizia a costruire un muro fra Israele e i Territori. A tredici anni dall’89, un nuovo Muro.
La signora Corradi sembra avere le idee un po' confuse - forse è troppo giovane per avere le idee chiare sul muro di Berlino. In tal caso desideriamo informarla che quello era stato costruito per impedire alle idee di entrare e agli uomini di uscire; questo per impedire agli assassini di assassinare. Forse alla signora può sembrare uno scopo riprovevole, a noi tutto sommato, non tanto.
Di modo che l’altro sia invisibile, senza faccia e senza affetti: un "altro" ancora più facile da odiare.
Come dice il saggio, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
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