2001-12-29 Israele come Sud Africa... il premio del cerchiobottismo del 2001
Testata: La Stampa Data: 29 dicembre 2001 Pagina: 1 Autore: François Maspero Titolo: «un articolo»
Alla Stampa va il premio del cerchiobottismo del 2001. Accato alle cronache e analisi di Fiamma Nirenstein,da segnalare per oggettività ed equidistanza, il quotidiano torinese,non soddisfatto degli apporti pregiudiziali di igorman, seleziona dalla stampa estera il "meglio" in fatto di anti-israelismo. Dopo le infamie di Vidal-Naquet (vedi su informazione corretta) ecco il pezzo uscito su Le Monde e tradotto dalla Stampa. François Maspero, guru editoriale del maggio '68, punito dal mercato che giustamente ha fatto giustizia della paccottiglia ideologica di super estrema sinistra che pubblicava, ha trovato il miglior rifugio (ultimo di una lunga schiera) nella propaganda contro Israele. Con la benedizione di Le Monde,sempre in prima linea quando c'è da attaccare l'occidente e i suoi valori,è partito per la crociata contro lo Stato ebraico. Il suoi articolo (invitiamo i nostri lettori a leggerlo interamente) è un insieme di falsità miste a dati di cronaca veri. Solo che le motivazioni e le origini dei fatti citati vengono fatti risalire come responsabilità a Israele. Mentre è vero il contrario. Alcuni esempi. Cade una bomba su di un commissariato palestinese ? la struttura viene definita "struttura destinata a combattere il terrorismo" quando sappiamo tutti dei rapporti di sostanziale alleanza fra i vari gruppi terroristici e le forze che dipendono direttamente da Arafat. Quasi sempre è persino difficile distinguerle. Altro esempio. Scrive Maspero "Dall'avvio della seconda Intifada nel settembre 2000 ci sono state 25.000 persone colpite nei territori palestinesi,per l'85% civili". Ma quando mai chi compie o sta per eseguire un attentato veste una divisa regolare ? Tutto il terrorismo, e le forze che lo proteggono e nutrono, vestono regolarmente civile. E allora ? Critiche spietate anche ai posti di blocco israeliani. Ma se non ci fossero, gli attentati sarebbero stati sicuramente maggiori. Bisogna dare il via libera ? Certo, ai vari Maspero questo non dartebbe fastidio,ma ai cittadini isreaeliani si. La smettano con terrorismo, trattino sul serio la pace, e Israele farà a meno molto volentieri anche dei posti di blocco. "Betlemme è stata oggetto di una spedizione punitiva","la Betlemme cristiana è una città ferita", "gli alberghi sono deserti, nessun pellegrino nella chiesa della natività,Triste Natale", "la grande colonia di Gilo..." Masperò cerca con tutti gli sforzi di descrivere una situazione reale addossando a Israele la responsabilità dell'accaduto. Ma la sua abilità, realizzando appieno gli insegnamenti del dottor Goebbels (che se ne intendeva) consiste nell'insinuare nel cervello del lettore alcune parole chiave. Comincia con Gilo, che non è un quartiere di Gerusalemme, sempre sotto attacco dei mortai palestinesi, ma una colonia. "Gli israeliani trattano le zone palestinesi come i sudafricani facevano con i bantustan neri", "come chiamare questa vita del popolo palestinese se non apartheid ?". Voila,monsieur Maspero, il gioco è fatto. Israele uguale a Sud Africa. Una volta stabilita la liceita del paragone anche le conseguenze non possono essere diverse. Addafinì il colonialismo israeliano. Con tanti saluti alla democrazia israeliana. Invece un cordiale apprezzamento ai regimi arabi medievali, alla corruzione dell'autorità palestinese,ai diritti civili negati nel mondo arabo, alla sostanziale povertà derivata non dal cattivo occidente ma dalla priorità concessa alla corruzione e agli armamenti. Sciocchezze per Monsieur Maspero. Bisognava inchiodare Israele alle sue "colpe". Maspero l'ha fatto. La Stampa l'ha pubblicato.
"La Stampa" del 29/12/2001 Sezione: Esteri Pag. 4
François Maspero
LA donna veniva da Gaza. Il taxi la lasciò con i suoi due bambini all´inizio della terra-di-nessuno a Erez. Portava una pesante valigia. Le toccò camminare per un chilometro lungo questo deserto che fu un´autostrada, fra alti muri e filo spinato, per raggiungere la postazione israeliana riservata ai detentori di passaporti stranieri. Un paesaggio sinistro. Mi disse: «Due anni fa qui c´erano degli olivi, era un vero giardino». Francese, sposata a un palestinese, grazie al suo passaporto potè evitare, come noi, il check-point laggiù, verso cui si distendevano e si attorcigliavano, tortuose, interminabili file di attesa. La donna preparava una tesi in urbanistica e cooperava alla gestione del campo di rifugiati. Da due giorni la striscia di Gaza era sottoposta al bombardamento degli F-16 israeliani. I carri armati vi erano penetrati e l´avevano spezzata in tre sezioni. Gli abitanti non potevano più circolare. Le case venivano perquisite. La giovane donna, resasi conto che la famiglia non avrebbe potuto riunirsi per le feste, aveva deciso di portare i bambini, traumatizzati, in Francia. Restare nella striscia di Gaza non era facile neanche per me, gli spostamenti erano aleatori e anzi, per quanto potevo testimoniare, del tutto impossibili. Perciò avevo deciso di legare le mie sorti a quelle di quattro professori parigini venuti a verificare le condizioni sanitarie dei territori palestinesi: il professore emerito Marcel-Francis Kahn, reumatologo (Bichat) e i professori Jean Bardet, cardiologo (Saint-Antoine), Michel Revel, specializzato nella rieducazione dell´apparato locomotorio (Cochin) e Christophe Oberlin, chirurgo ortopedico (Bichat). Ero arrivato da due giorni. La prima note, quella fra il 12 e il 13 dicembre, erano cominciati i bombardamenti. Gli aerei facevano evoluzioni sulla città, passando a più riprese a bassa quota prima di lanciare i loro missili. Seguivo le loro manovre da una terrazza in riva al mare. A qualche chilometro, la città israeliana di Ashkelon era tutta illuminata. Le esplosioni erano ravvicinate, nette, brevi. «Bombardamenti chirurgici» per rappresaglia contro l´attacco a un´auto di coloni che aveva fatto due morti. Guerra vera dei ricchi contro guerra sporca dei poveri. Nelle pause di silenzio fra un´esplosione e l´altra, il ronzio dei «droni» (gli aerei ricognitori senza pilota, ndr). Quella prima notte le bombe colpirono, oltre alle località dell´Autorità palestinese, la torre di controllo costruita dall´Unione europea. Distrussero anche il laboratorio scientifico antiterrorismo, pure realizzato dall´Ue per le forze di sicurezza palestinesi. Il mattino dopo, all´ospedale Shifa, il più grande della Palestina, il bilancio: venticinque feriti e una donna di 45 anni morta per arresto cardiaco. C´era di che essere ammirati dell´exploit tecnico: così pochi danni collaterali... sennonché, terrorizzare la popolazione civile e distruggere una struttura destinata a combattere il terrorismo non può essere la maniera più efficace per combattere contro quest´ultimo. Dall´avvio della seconda Intifada nel settembre del 2000, ci sono state venticinquemila persone colpite nei territori palestinesi, per l´85% civili. Il dottor Al-Zanoun, ministro della sanità dell´Autorità palestinese, stava dando questa cifre, assieme a molte altre, ai suoi colleghi francesi la seconda sera, quando ripresero i bombardamenti. Una bomba cadde a duecento metri dal locale dove ci trovavamo. Riunione sospesa. E noi dovevamo muoverci verso Gerusalemme. Passare dalla miseria della Striscia di 30 km per 10, in cui è confinato, come in una riserva indiana, un milione di palestinesi, a un´autostrada lungo la quale sembra di essere in un qualunque Paese occidentale. Poi ecco la Cisgiordania, al di là di una barriera di terrapieni e di blindati. Ramallah, sede dell´Autorità palestinese, è a 7 chilometri dal limite della Grande Gerusalemme. Per raggiungerla si passa un nuovo check-point israeliano. Da due giorni i media di tutto il mondo mostravano i carri armati che entravano nella cittadina, i loro colpi e quelli degli elicotteri che scagliavano razzi vicino al quartier generale di Arafat. Le installazioni della televisione e una grande antenna erano state distrutte. Un razzo era esploso in una sala della Friend Boys School, rispettabile istituzione americana fondata nel 1901. Poco più lontano, carri armati israeliani bloccavano la strada dove abita il dottor Mustafa Barghouti, presidente del coordinamento delle organizzazioni non governative palestinesi. Potevamo passare? Sì, dopo aver controllato i nostri passaporti francesi. I soldati avevano appena perquisito la casa. Come è noto, gli accordi di Oslo hanno ripartito i territori occupati in zona A, sotto amministrazione piena dell´Autorità palestinese; zona B, amministrata dall´Anp ma ancora controllata dagli israeliani; e zona C, che include le colonie ed è interamente in mano agli israeliani. A Ramallah la colonia di Psagot domina la città come un´enorme castello. È collegata a Gerusalemme Ovest da un´autostrada riservata che per gli abitanti di Ramallah rappresenta un tormento quotidiano. Tutte le colonie hanno i loro accessi protetti, e i Territori sono attraversati da autostrade aperte ai soli israeliani. Questa rete si infittisce man mano che si moltiplicano gli insediamenti. Non sono più le colonie a essere circondate, sono le zone palestinesi a essere prese e isolate in queste maglie. Dopo la visita all´ospedale di Ramallah e ai principali servizi sanitari, il professor Christophe Oberlin stila questo primo bilancio: il blocco della popolazione è sfociato in una paralisi mortifera. Da un lato, è impossibile muoversi dai centri medici per praticare vaccinazioni, per recare soccorso d´urgenza con le unità sanitarie mobili, per assistere le partorienti, gli handicappati. Dall´altro lato, i malati non possono muoversi da casa loro verso l´ospedale: le donne incinte devono fare tutto senza assistenza, i feriti non vengono medicati per tempo, i medici non possono recarsi al posto di lavoro in ospedale, la farmacia centrale non riesce a rifornire regolarmente gli ospedali, e i dializzati sono abbandonati alla loro sorte. Le lunghe attese, o addirittura le ambulanze ricacciate indietro, i malati gravi o persino infermi costretti a transitare a piedi, per di più lungo percorsi tortuosi, a volte hanno conseguenze fatali. Più in generale, le iniziative sociali di aiuto sono bloccate, come quelle di animazione e formazione dei giovani. Perciò le reti estremiste di Hamas e della Jihad assumono, sul posto, le funzioni degli organismi ufficiali agonizzanti... A Sud di Gerusalemme, Betlemme è stata bersaglio in ottobre di un´altra spedizione punitiva. I blindati hanno cannoneggiato il campo di rifugiati di Al Azza, presunto rifugio di terroristi, poi hanno investito la città. Venti morti e cento feriti. All´ingresso della città, l´hotel Paradise incendiato, destinato ad accogliere i pellegrini cristiani del mondo intero, offre un quadro che non avevo più visto dai tempi di Sarajevo. Qui, di attacchi chirurgici non si parla proprio: si distrugge per distruggere. Resta da dimostrare che questo sia il modo giusto per terrorizzare i terroristi, o non piuttosto la maniera per incitare i ragazzi a passare dai lanci di pietre contro i carri armati alle azioni da «bombe umane» dedite al massacro di civili; kamikaze reclutati fra una gioventù disperata ed esaltata da estremisti ebbri di nazionalismo e di Dio. Per cinque giorni i carri armati hanno tenuto via Paolo VI sotto il tiro dei loro cannoni. L´ospedale della Sacra Famiglia, fondato un secolo fa dalle Suore della Carità, passato poi all´Ordine di Malta e posto sotto la protezione della Francia, ha fatto da bersaglio a un carro e ai suoi tiratori. Il 24 ottobre il carro armato è salito verso l´ospedale, si è piazzato davanti all´entrata e ha aperto deliberatamente il fuoco. Le autorità israeliane negano questo «incidente». I segni delle cannonate sono lì, e il dottor Robert H. Tabash mostra pallottole di mitragliatrice e proiettili di obice. Anche l´ospedale pubblico, la cui parte nuova è stata finanziata dalla Svezia, è stato cannoneggiato. I segni del bombardamento sono rimasti nel reparto di cura intensiva e il chirurgo ortopedico afferma che un paziente è stato ferito nel suo letto. La Betlemme cristiana è una città ferita. Gli alberghi sono deserti. Nessun pellegrino nella Chiesa della Natività. Triste Natale. Coronando le alture, la grande colonia di Gilo domina la valle. Laggiù, sull´autostrada riservata, vetture israeliane filano fra mura di calcestruzzo. Nessun rischio di imbattersi in una targa palestinese. Noi invece per raggiungere Hebron dobbiamo superare un check-point e seguire, come per punizione, attraverso valli e montagne, delle stradette anguste, semplici piste, e ripassare un controllo all´ingresso della città. Alcuni corrono il rischio di aggirare le barriere passando attraverso la campagna. Senza alcun piacere («Scusate per Israele», ci chiedono alcuni di loro) i soldati israeliani di guardia non mostrano un grande zelo. Ciononostante, qui ci sono stati trenta morti in un anno. Anch´essa circondata da colonie, Hebron offre la particolarità di un insediamento anche nel cuore della città vecchia. Duecento coloni ci vivono sotto la protezione dell´esercito. Situazione insostenibile. Le strade dei negozi finiscono con posti di blocco. Non si passa. La «Via della Pace», il cui ripristino è stato finanziato dagli Stati Uniti, doveva essere un mercato in cui le due comunità si sarebbero incontrate: i chioschi abbandonati sono coperti da iscrizioni «Morte agli arabi». Nei momenti più caldi dell´Intifada, quando i giovani venivano a lanciare pietre sui soldati, il coprifuoco era decreto per 24 ore su 24. L´ospedale sembra un campo trincerato, i sacchi di sabbia chiudono porte e finestre. Ha subìto sette attacchi in un anno; anche qui gli impatti sono visibili sui muri esterni e nelle sale. L´uomo che ci ha guidato lungo la Via della Pace abita su un versante della collina della colonia. Gli hanno offerto 3 milioni di shekel (circa un miliardo e mezzo di lire) per vendere la sua casa. Altri hanno accettato. Metro dopo metro, gli insediamenti si espandono e lo faranno fino al giorno in cui formeranno un insieme compatto. Dalla sua terrazza, l´uomo mi mostra gli immobili della colonia sulla collina, e più in basso l´esercito che monta la guardia al quartiere israeliano. A volte, afferma, i coloni furiosi tacciano i soldati del contingente, a loro giudizio troppo teneri coi palestinesi, da «complici dei nazisti». Come chiamare questa vita del popolo palestinese, se non apartheid? L´analogia con i bantustan è corretta. L´esercito israeliano entra, esce, presidia, rastrella, bombarda come e quando vuole quel 19% di territorio che appartiene teoricamente all´Autorità palestinese. Per chi lo attraversa, la scommessa di Ariel Sharon è evidente: farla finita con l´Anp e trovare un interlocutore in ogni zona isolata. Il popolo israeliano ha diritto a vivere sulla sua terra. Il popolo palestinese ha diritto a vivere sulla sua. La storia ha fatto sì che la terra dell´uno fosse allo stesso titolo anche la terra dell´altro. Allo stesso titolo i due popoli hanno diritto a viverci. Lo stesso diritto.