Contrasti Arafat-Abu Mazen? roba da poco, dicono oltre Tevere
Testata: L'Osservatore Romano Data: 04 settembre 2003 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «La "road map" è morta»
La notizia del giorno sono le dichiarazioni di Arafat sulla fine della Road Map. Usa e Israele sul banco degli imputati per Arafat, i primi non hanno fatto abbastanza per sostenere questo percorso di speranza, i secondi con le loro aggressioni ne sono i decapitatori. Ovviamente, come avviene sempre in questi casi, l’Osservatore Romano, per scelta o incapacità, ha sbagliato tutto. Da adito alle voci che vedono una minimizzazione dei contrasti tra Arafat e Abu Mazen: Il Presidente dell'Ap ha inoltre minimizzato le notizie sui contrasti fra lui e il Premier Abu Mazen, sostenendo che le divergenze sono state amplificate appositamente da Tel Aviv allo scopo di creare problemi in seno alla dirigenza palestinese. Questo quando sanno tutti che tra i due ormai è solo l’odio e la rivalità a segnare il passo, Arafat non ha mai sopportato e accettato il diktat americano su Abu Mazen. Il resto dell’edizione dell’Osservatore è storia nota: Un palestinese è inoltre morto ieri per le ferite riportate lunedì a Gaza durante l'attacco di un elicottero israeliano contro una vettura, a bordo della quale viaggiavano alcuni attivisti del movimento islamico Hamas La speranza è l’ultima a morire, ma questo uso metodico e nauseante di parole come "attivisti", sull’Unità "quadri" addirittura, "militanti", sta diventando narcotizzante, è una sorta di mantra per le coscienze. Poi la solita stigmatizzazione aggettivistica delle esecuzioni mirate da parte di Israele: Nelle ultime settimane Israele ha infatti ripreso ad attuare la strategia delle "eliminazioni mirate", nelle quali velivoli da guerra bombardano automobili sulle quali si sospetta si trovino leader radicali implicati nel terrorismo. La pratica è criticata dalla comunità internazionale, anche per il forte rischio di causare vittime civili. Poi la vera perla di arguzia mediatica dell’articolo di oggi: Dall'inizio della nuova Intifada, avviata nel settembre del 2000 dopo una visita dell'allora leader dell'opposizione Ariel Sharon alla spianata delle Moschee di Gerusalemme, il numero dei morti è arrivato a 3.444. Tra le vittime 2.583 sono palestinesi e 800 israeliani. Chi dice loro, ai cari vaticanisti, che questa del più del triplo dei morti è un’affermazione solo in parte veritiera, e che la cosa importante sarebbe sottolineare che tra i non combattenti, cioè tra civili o tra chi non partecipa direttamente allo scontro, quindi escludendo miliziani e terroristi da una parte, e soldati dall’altra, la cifra allarmante è: 874 palestinesi, di cui 111 donne, e 635 israeliani, di cui, udite udite, 252 donne. I bambini sotto i 12 anni: 68 fra i palestinesi e 31 fra gli israeliani. Adesso, signori dell’Osservatore Romano, ammetterete che le cifre da riportare sono ben altre. O no? Leggetevi l’editoriale di Federico Steinhaus sulla guerra delle cifre. Invitiamo i nostri lettori a scrivere il loro parere alla redazione de L'Osservatore Romano. Cliccando sul link sottostante si aprirà un'e-mail già pronta per essere compilata e spedita.