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Europa Rassegna Stampa
04.09.2003 3 Aerei d'Israele in volo
perchè non si ripeta mai più

Testata: Europa
Data: 04 settembre 2003
Pagina: 2
Autore: Alberto de Filippis
Titolo: «Piloti israeliani sorvolano oggi Auschwitz, i nipoti dell'Olocausto non dimenticano. Tre F-15 con la stella di Davide voleranno a 1500 metri, scortati da due Mig polacchi»
Riportiamo l'articolo di Alberto De Filippis pubblicato su Europa giovedì 4 settembre 2003.
E' solo un piccolo gesto, per non dimenticare. Tre F-15 israeliani sorvoleranno quest'oggi il campo di concentramento di Auschwitz, vicino Cracovia, in omaggio alle vittime dell'Olocausto. E' la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale che degli aerei "non-alleati" ottengono una simile concessione. Gli aeromezzi con la stella di Davide che hanno avuto il permesso di sorvolo a un'altezza di 1500 metri sono accompagnati da due Mig-29 polacchi. Lo scorso fine settimana gli aerei di Tel Aviv avevano partecipato a un'esibizione internazionale a Radom, nel centro del paese, in occasione dell'85esimo anniversario dell'aeronautica polacca. "Alla guida di questi mezzi ci sono figli e nipoti di alcuni sopravvissuti della Shoah", ha detto Michal Sobelman, portavoce dell'ambasciata israeliana a Varsavia. Sempre oggi 200 soldati di Tsahal partecipano ad una cerimonia davanti al memoriale di Birkenau.
Il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau - Oswiecim, in polacco - si trova poco lontano da Cracovia. Era un immenso terreno demaniale di circa 175 ettari che i nazisti avevano scelto per creare un campo di sterminio, ben diverso, per finalità, metodi e attesa di vita dei prigionieri, dai campi di concentramento. Questa struttura, un complesso di 32 edifici attorno a una caserma di artiglieria in disuso, sose con due fini specifici: far fronte alla montante resistenza del governatorato polacco, come allora veniva chiamata da Berlino la Polonia, e realizzare la "soluzione finale", vale a dire lo sterminio degli ebrei, secondo le indicazioni della conferenza di Wannsee. La costruzione di questo campo fu decisa personalmente dal gerarca nazista Heinrich Himmler, onnipotente capo delle SS che, almeno inizialmente, avrebbe voluto una struttura in grado di accogliere centomila persone. I pianificatori dello sterminio però erano anche attenti al portafoglio. Fu quindi deciso di lucrare sulla pelle dei deportati e di costruire uno stabilimento per la produzione di gomma sintetica dell'azienda IG Farben, che avrebbe sfruttato il lavoro gratuito di centinaia di migliaia di schiavi. Attorno al campo, attirate dagli alti profitti e da spese di gestione irrisorie, vennero a stabilirsi una serie di aziende agricole e di fabbriche che affittavano dai nazisti questa forza lavoro, oppure approfittavano a piene mani, e previo pagamento di grosse tangenti, di vantaggiosi contratti d'appalto.
Sul giusto funzionamento di questo incubo vegliò Rufolf Hoss, comandante di Auschwitz. Il lavoro andò talmente bene che il comando nazista decise di costruire altri tre campi, parallelamente a strutture di comando esterne, che funzionarono ininterrottamente fino a quando, il 17 gennaio 1945, gli uomini di Hitler - pressati dall'avanzata russa - decisero di evacuare la struttura e di trasferire in altre zone i prigionieri sopravvissuti. Migliaia di persone perirono lungo la strada. Quando il 27 gennaio 1945 l'armata rossa entrò nel campo varcando il cancello su cui spiccava l'infame scritta arbeit macht frei (il lavoro rende liberi), lo spettacolo che i soldati si trovarono di fronte fu allucinante. I nazisti non avevano fatto in tempo a distruggere tutte le prove dei loro crimini. Diverse centinaia di prigionieri che si erano nascosti mentre il campo veniva sgomberato furono liberati. Alcuni, per colmo di sventura, morirono uccisi proprio dalle buone intenzioni dei liberatori, gettandosi avidamente, dopo mesi di digiuno, su quanto venne loro offerto. I loro corpi non erano più in grado di assimilare il cibo.
Successive ricerche portarono alla scoperta dei forni crematori e delle camere a gas. Indagini del terreno circostante, interviste con alcuni sopravvissuti e l'analisi di alcuni documenti trovati, portarono la Commissione straordinaria sovietica per la ricerca dei crimini hitleriani, il Supremo tribunale nazionale polacco e il Tribunale internazionale di Norimberga alle stesse conclusioni: ad Auschwitz erano morte, fra ebrei, prigionieri di guerra e altre persone quattro milioni di esseri umani.
Malgrado quello che rappresenta, però, la vita di Auschwitz come monumento non è sempre stata facile.
La crisi polacca e i malumore generati dall'economia sono dilagati pericolosamente nell'ideologia. Gli ebrei in Polonia erano tre milioni e mezzo. Oggi, ufficialmente, sono poche migliaia. Fuori tempo massimo sono risorti pensieri antichi, di quelli perennemente alla ricerca di capri espiatori. Molte sono state le provocazioni come quelle di alcuni ultrà cattolici che, qualche tempo fa, avevano deciso di piantare delle croci nel campo. In un luogo che ha visto la morte di Massimiliano Kolbe, un prete poi fatto santo, che si era sacrificato al posto di un compagno, questa, persino per i cattolici moderati era sembrata una provocazione fuori luogo, tanto che Adam Szostkiewicz, responsabile delle pagine di politica del giornale cattolio Tygodnik Powszechny, seppur a titolo personale è arrivato a dire: "Sono scandalizzato dal silenzio della chiesa come istituzione e sono anche preoccupato. Mio figlio non passa giorno che non torni da scuola con nuove barzellette sugli ebrei".
Non solo l'ideologia, ma anche il turbocapitalismo ha rappresentato un problema. Fra le minacce da cui il monumento ha dovuto difendersi, anche quella di un ipermercato che sarebbe dovuto sorgere nei dintorni. In molti si sono opposti per quello che questo posto, non solo per gli ebrei, ma per tutto il genere umano rappresenta.
Forse, al rumore delle casse automatiche forse, è meglio lasciare il silenzio o il suono discreto dele parole di una canzone che Francesco Guccini ha dedicato a questo luogo: "Sono morto che ero bambino / sono morto con altri cento / passato per il camino / e adesso sono nel vento".
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