Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Le autorità del Bangladesh hanno annunciato la reintroduzione del divieto di ingresso in Israele sui propri passaporti. Come il Pakistan, anche il Bangladesh si unisce così alla discriminazione internazionale. Tuttavia, questa misura non danneggia Israele, ma penalizza gli stessi bengalesi
Esiste una regola non scritta tra i governi di molti Paesi musulmani: quando le cose vanno male in patria, prendetevela con lo Stato di Israele. Il Bangladesh, uno dei Paesi più poveri e densamente popolati dell'Asia, fornisce l'ultimo esempio di questa tattica. La scorsa settimana, le autorità di Dhaka hanno annunciato la reintroduzionesui passaporti rilasciati ai suoi cittadini di quella che in sostanza è una clausola discriminante: “Valido per tutti i Paesi eccetto Israele.” Questa vergognosa dicitura era stata abbandonata nel 2021 dal governo del Primo Ministro Sheikh Hasina, recentemente deposto, sebbene non sia mai stata seguita da un'azione diplomatica nei confronti di Israele, né tantomeno dal riconoscimento del diritto dello Stato ebraico a un'esistenza pacifica e sovrana. La motivazione alla base di questa decisione del 2021 era che i passaporti bengalesi dovevano essere adeguati agli standard internazionali. Tuttavia, la guerra nella Striscia di Gaza, innescata dal pogrom di Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre 2023, ha apparentemente annullato tale imperativo. “Per molti anni, i nostri passaporti riportavano la clausola 'eccetto Israele'. Ma il governo precedente l'ha improvvisamente rimossa”, ha dichiarato ad Arab News il Generale di Brigata Mohammad Nurus Salam, direttore Ufficio Passaporti del Dipartimento Immigrazione. Con un tono falsamente ingenuo, ha aggiunto: "Eravamo abituati a vedere la scritta 'eccetto Israele' sui nostri passaporti. Non so perché l'abbiano eliminata. Se parlate con la gente in tutto il Paese, vedrete che vogliono che quella riga torni sui loro passaporti. Non c'era bisogno di rimuoverla.” Sono passati 25 anni da quando sono stato in Bangladesh, dove ho trascorso diversi mesi come consulente della BBC, contribuendo al lancio della prima emittente televisiva privata del Paese. Uno degli aspetti che mi ha profondamente colpito – in contrasto con l'affermazione di Salam secondo cui la gente vorrebbe che i propri passaporti impediscano di viaggiare in Israele – è stata la mancanza di ostilità nei confronti di Israele tra i molti bengalesi che ho incontrato e con cui ho lavorato, e non ho motivo di credere che questo atteggiamento sia cambiato radicalmente. La maggior parte dei bengalesi è oppressa dai pesanti problemi del proprio Paese, e il lontano conflitto israelo-palestinese non incide in alcun modo con la loro soluzione. Quando dicevo alla gente di essere ebreo, di avere parenti in Israele e di aver trascorso molto tempo lì, la reazione più comune era la curiosità. Per la stragrande maggioranza, ero il primo ebreo che incontravano, e mi interrogavano con entusiasmo sulla religione ebraica, notando spesso le sovrapposizioni con le pratiche islamiche, come la circoncisione e il divieto di consumare carne di maiale. “Com'è Israele? Com'è la gente?” è stata una conversazione a cui mi sono dedicato in più di un'occasione. Ricordo con grande affetto un giornalista di nome Salman, un musulmano devoto che mi invitò a casa sua per un iftar, il pasto serale che pone fine al digiuno durante il Ramadan. Salman era convinto che ci fossero ancora un paio di ebrei in Bangladesh e perlustrò Dacca per trovarli e potermeli presentare (non ci riuscì mai perché non c'erano ebrei là, ma apprezzai i suoi sforzi). Io ricordo anche membri della comunità Hindu, che sono circa l’8 % della popolazione, che facevano paragoni positivi tra la guerra d'indipendenza del Bangladesh del 1971, sostenuta dall'India, contro il Pakistan musulmano e la guerra d'indipendenza israeliana del 1947-48.
Per comprendere perché il Bangladesh abbia preso questa decisione regressiva, è necessario analizzare attentamente la sua politica interna. Nell'agosto dello scorso anno, il governo di Sheikh Hasina – figlia del leader indipendentista Sheikh Mujibur Rahman e figura politica dominante negli ultimi 30 anni – è stato rovesciato in seguito a un'ondata di proteste contro la sua comprovata corruzione, le sue pratiche discriminatorie e le sue intromissioni giudiziarie. La sua caduta è stata accompagnata da un'ondata di violenza settaria contro case, aziende e templi indù, con oltre 2.000 episodi registrati in un periodo di due settimane.
Agli occhi di molti, gli indù erano associati al partito della Lega Awami di Sheikh Hasina, e la violenza contro di loro suggeriva che le posizioni islamiste stavano prendendo piede in un Paese che sventolava la bandiera del nazionalismo laico nel tentativo di liberarsi dal dominio pakistano. La decisione sul passaporto può essere vista in una luce simile: il Bangladesh afferma la propria identità di Paese musulmano, solidale con i palestinesi, la causa preminente del mondo islamico, e al contempo rompe con l'eredità del governo di Sheikh Hasina.Tuttavia, questa posizione non allevierà la miseria finanziaria dei cittadini bengalesi, con più di una persona su quattro che vive al di sotto della soglia di povertà. Né risolverà i cronici problemi infrastrutturali che affliggono il commercio estero del Paese, né contrasterà la burocrazia e le lungaggini che frenano l'imprenditorialità e l'innovazione.
In breve, sostenere i palestinesi non porta alcun beneficio materiale ai comuni cittadini del Bangladesh, che senza dubbio trarrebbero vantaggio da un rapporto autentico con Israele, che introdurrebbe, tra i tanti miglioramenti, tecnologie idriche più efficienti per contrastare la presenza di arsenico e la mancanza di servizi igienici che spesso rendono inutilizzabili e non potabili le grandi riserve d'acqua del Bangladesh.
Tuttavia, l'ideologia e l'identità musulmana potrebbero non essere le uniche spiegazioni per la decisione del Bangladesh. Può anche essere vista come un gesto nei confronti del Qatar, il Paese più ricco del mondo islamico, che ha coltivato con maestria rapporti commerciali e diplomatici con una serie di Paesi meno sviluppati, incluso il Bangladesh.
L'anno scorso, il sovrano del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, ha reso omaggio al Bangladesh con una cerimonia di due giorni che ha messo in luce il contributo di Doha sotto forma di scambi commerciali bilaterali per un valore di 3 miliardi di dollari, oltre a milioni di dollari in sovvenzioni qatariote per l'istruzione scolastica e superiore. Tale generosità da parte dei qatarioti è fondamentale per garantire che i governi del Bangladesh e di altre nazioni musulmane si tengano lontani dai Paesi firmatari degli Accordi di Abramo che hanno stipulato una sorta di pace con Israele.
Il Bangladesh non è, ovviamente, l'unico Paese a impedire ai propri cittadini di recarsi in Israele o a negare l'ingresso ai titolari di passaporto israeliano. Pochi giorni dopo la decisione del Bangladesh, le Maldive – un altro Paese musulmano che intrattiene strette relazioni con il Qatar – ha annunciato che agli israeliani non sarebbe più stato permesso di entrare. È improbabile che nessuno di questi divieti venga revocato finché Israele sarà in guerra con i terroristi di Hamas a Gaza, con gli alleati regionali dell'Iran e con lo stesso regime iraniano. Gli effetti a catena di quella guerra – la violenza antisemita nei Paesi occidentali e la freddezza nei confronti di Israele da parte di nazioni senza un interesse diretto nel conflitto – continueranno a farsi sentire. Niente di tutto ciò cambia il fatto inconfutabile che questa rimane una guerra che Israele deve vincere