Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Meloni difende Zelensky da Trump: l’aggressore è Putin Cronaca di Ilario Lombardo
Testata: La Stampa Data: 18 aprile 2025 Pagina: 3 Autore: Ilario Lombardo Titolo: «Meloni difende Zelensky con Donald L'invito a un vertice Ue-Usa a Roma»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/04/2025, a pag. 3 con il titolo "Meloni difende Zelensky con Donald. L'invito a un vertice Ue-Usa a Roma" la cronaca di Ilario Lombardo.
Ilario LombardoTrump ne ha approfittato di una domanda dei giornalisti per attaccare di nuovo Zelensky. Ne ha approfittato per ripetere la versione russa della guerra in Ucraina. Rimproverando a Zelensky (il cui paese è stato invaso) che non avrebbe dovuto "mettersi in mezzo" a una guerra con una potenza molto più grande. La Meloni ha fatto bene a difendere Zelensky, ricordando che è stato Putin a invadere l'Ucraina. Brava! Ma Trump lo capirà?
Stare nella stessa stanza di Donald Trump è un esercizio di pazienza degno di un monaco tibetano. Giorgia Meloni seduta alla destra nello Studio Ovale è solo un'altra spettatrice dello show ciclopico del presidente americano. Gira nervosamente la penna verde tra le dita, apre e chiude il tappo, aspettando di inserirsi nelle pause di Trump, o in attesa che le dia la parola, mentre l'incontinenza verbale del tycoon esonda di risposta in risposta, fino a quando gli chiediamo di permetterci una domanda alla premier. Anzi, due.
Meloni ha già invitato Trump a Roma, ha incassato un sì sulla possibilità di ricambiare a breve la visita, ma non ha ottenuto granché sul fronte della guerra dei dazi con l'Europa e sull'ipotesi di un vertice tra Usa e Ue che Meloni sogna proprio nella capitale italiana. «Sono qui per capire se c'è la possibilità di organizzarlo».
Ma sono anche altri i temi che rendono scivoloso l'approccio a Trump, al di là delle insistite lodi spese per la premier. Nello Studio Ovale le domande a Meloni mettono maggiormente a nudo le criticità. La prima di queste è se considera giusto che il presidente americano abbia addossato la responsabilità della guerra in Ucraina a Zelensky. E poi se durante il bilaterale allargato alle coalizioni abbiano parlato di un nuovo obiettivo di Pil sulle spese militari oltre il 2% previsto dagli accordi Nato. Meloni tiene il punto, a difesa di Kiev, cercando di mantenere il tono giusto con l'ospite, visto come è andata a febbraio, quando sulla sedia dove ora siede la premier italiana c'era Zelensky, letteralmente investito dalla rabbia di Trump e del suo vice JD Vance: «Sapete come la penso, penso che c'è stata un'invasione e che l'invasore sia Putin e la Russia, ma oggi quello che è importante è che vogliamo lavorare insieme per arrivare in Ucraina a una pace giusta e duratura».
La premier può saggiare in diretta la capacità di capovolgere la realtà di Trump. La sconfessione delle sue stesse parole. Una performance che si snoda per oltre mezz'ora in cui sostiene di non aver accusato Zelensky per la guerra in Ucraina - precisando: «dico che non ha fatto il migliore dei lavori, non sono un suo grande fan» - e di non aver mai accusato gli europei di essere «parassiti». Nonostante siano passati tre mesi dal suo insediamento, e nonostante abbia fallito nella promessa di fermare la guerra in 48 ore, Trump si dice fiducioso su un accordo per il cessate il fuoco, e lo fa riconoscendo anche l'aiuto dell'Italia in Ucraina. Di questi sforzi congiunti, rivela Meloni, si è parlato durante l'incontro dove la premier italiana ha illustrato la sua idea anche sulle garanzie di sicurezza offerte come scudo per Kiev, sul modello dell'articolo 5 della Nato. Il confronto invece non è entrato in profondità sulle difficoltà italiane di alzare le spese della difesa, forse uno dei dossier su cui si era più preparata Meloni. L'irritabilità di Trump sui Paesi alleati inadempienti è cosa nota. Pubblicamente a Meloni mostra il volto meno severo e più comprensivo, e quando al primo appuntamento con la stampa, nella cabinet room, la premier annuncia che «l'Italia manterrà gli impegni perché arriverà al 2% di Pil prima del vertice Nato», diventa automatico che sia Trump a rispondere alla domanda che potrebbe rivelarsi un incubo per le casse pubbliche italiane: il 2% è abbastanza? Visto che Trump parla di arrivare al 5% e verosimilmente un nuovo compromesso dovrebbe essere al 3, 5%? La risposta di Trump è una doccia gelata temperata da una risata che coinvolge anche Vance: «Non è mai abbastanza». Nello Studio Ovale Meloni cerca di uscire dall'imbarazzo di dover trovare un equilibrio tra i vincoli di alleanza e la sostenibilità del bilancio: «Siamo una nazione seria ma non abbiamo parlato di massimi né quanto vada aumentata la percentuale».
Trump, Meloni e le rispettive delegazioni stanno insieme per oltre due ore. Molto di quello che si dicono con il presidente emerge abbastanza bene di fronte alle telecamere, nei due incontri con la stampa, il primo completamente improvvisato.
Meloni prima di partire per Washington ha ricevuto un mandato informale dalla presidente della Commissione europea: Ursula vuole incontrare Trump, per provare a risolvere a livello di leader il negoziato. Il presidente americano continua a snobbarla, e non si espone troppo nemmeno davanti a Meloni sulla possibilità di un vertice Europa-Usa a Roma. La premier, che aveva in previsione di aggiornare Von der Leyen subito dopo la visita, conferma di non essere qui per trattare sui dazi, competenza che resta di Bruxelles. Delle tariffe reciproche i due leader, però, parlano. Per il momento Trump non li leverà, ma secondo fonti italiane nel colloquio si sono intraviste aperture sulla trattativa. «Credo che ci si debba parlare con franchezza e trovarsi a metà strada», sostiene Meloni.
È il suo battesimo da leader nel cuore di Trump. Il tycoon la fa parlare pochissimo ma la riempie di complimenti. Lei sente tutta l'elettricità che trasmette il capopolo dei sovranisti di tutto il mondo. E prova a blandirlo con argomenti che però non sembrano proprio sulle rotaie spirituali e culturali del repubblicano: «Rendiamo l'Occidente più grande» dice Meloni facendo il verso allo slogan Maga, Make America Great Again. L'Occidente è una creatura di cui a Trump importa poco. A lui interessano gli affari. Molto meglio prenderlo su questo lato. Vuole vendere più armi e più gas liquido agli europei. Meloni conferma che l'Italia aumenterà le importazioni energetiche e anche che gli investimenti saranno allargati a collaborazioni su diversi settori, compreso lo spazio. Viene immediato pensare a Starlink, la costellazione di satelliti di Elon Musk, in un primo momento previsto anche lui alla Casa Bianca, ma non avvistato: «Non abbiamo parlato di Starlink – replica Meloni – ma lavoreremo assieme nello spazio, in alcuni ambiti, come la missione su Marte».
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