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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Foglio Rassegna Stampa
18.04.2025 L’Iran non si attacca e non è il momento di ascoltare Israele
Analisi di Micol Flammini

Testata: Il Foglio
Data: 18 aprile 2025
Pagina: 1/IV
Autore: Micol Flammini
Titolo: «L’Iran non si attacca»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/04/2025, a pag. 1/IV, con il titolo "L’Iran non si attacca", l'analisi di Micol Flammini.

Micol Flammini
Micol Flammini
Middle East Will Outlive Khamenei
Trump gioca col fuoco dando la possibilità all'Iran di guadagnare tempo intraprendendo lunghe trattative che potrebbero anche rivelarsi infruttuose, come in passato, mentre i piani di attacco di Israele vengono rivelati alla stampa. Nuovi colloqui USA-Teheran attesi a Roma

Roma. Il ministero degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, è stato accolto da Vladimir Putin al Cremlino. Aveva in tasca una lettera scritta dalla guida suprema Ali Khamenei e che doveva arrivare nelle mani del leader russo prima dell’incontro tra americani e iraniani che si terrà sabato a Roma. L’obiettivo era informare Mosca delle trattative e coordinarsi. Secondo Iran International, nell’incontro che si è tenuto la scorsa settimana a Muscat, in Oman, Araghchi aveva preparato una proposta di accordo in tre fasi da sottoporre agli americani: rallentamento del programma nucleare in cambio dell’eliminazione

delle sanzioni e infine il trasferimento dell’uranio arricchito a un paese terzo, che potrebbe essere la Russia. Non ci sono conferme, secondo il sito iraniano la tattica di Teheran sarebbe quella di prendere tempo, farsi vedere disposto a negoziare, a proporre, ma senza avere fretta di arrivare a una soluzione.

Khamenei, mentre Araghchi incontrava Putin, ospitava invece una visita quasi storica: il principe Khalid bin Salman, ministro della Difesa di Riad, ha portato alla Guida suprema un messaggio da parte del re saudita: “Sono venuto a Teheran – ha detto Khalid bin Salman – per espandere le relazioni con l’Iran e cooperare in tutti i campi”. Khamenei ne ha approfittato per aggiungere: “L’espansione delle relazioni tra i nostri paesi ha dei nemici. Dobbiamo superare queste motivazioni ostili, siamo pronti a farlo”. Per Khamenei è importante sabotare la normalizzazione dei rapporti tra sauditi e israeliani: sono questi ultimi i nemici. Se Riad è pronta a parlare con Teheran è perché il disegno del nuovo medio oriente promosso da Donald Trump è fatto di relazioni spericolate, di accordi anche imperfetti ma fatti per evitare la guerra. Gli iraniani hanno accettato colloqui con gli americani perché si sono resi conto che il presidente americano era tornato con un’agenda nuova e tutte le speranze che aveva coltivato Israele di avere alla Casa Bianca un alleato pronto a tutto pur di risolvere il pericolo iraniano si sono infrante a pochi mesi dall’insediamento.

Gli Stati Uniti hanno bocciato il piano israeliano di colpire il programma nucleare di Teheran. Israele aveva pensato a tutto, il piano è già pronto ma è difficilmente realizzabile senza l’assistenza americana, che per il momento è stata esclusa. Il New York Times ha raccolto dettagli sull’attacco, ispirato a una delle ultime azioni compiute da Tsahal in Siria per distruggere un laboratorio iraniano di missili: Israele si era mosso con un’operazione aerea mentre un commando via terra ha applicato dell’esplosivo e distruggere la fabbrica e tutto quello che c’era all’interno. Lo stesso metodo doveva essere applicato ai siti nucleari in Iran, ma Israele ha chiesto la copertura degli Stati Uniti. La prima a mostrare contrarietà al piano è stata Tulsi Gabbard, direttrice dell’intelligence nazionale, secondo la quale un intervento americano porterebbe a un conflitto più ampio in medio oriente che gli Stati Uniti non vogliono. Alle sue preoccupazioni si sono aggiunte quelle di altri funzionari, così, a dispetto dell’incremento di portaerei pronte ad agire in medio oriente, nell’Amministrazione Trump l’idea di aiutare Israele a distruggere il programma nucleare iraniano è diventata uno spauracchio. Il generale Kurilla, capo del Centcom, Comando centrale degli Stati Uniti, artefice del trasferimento di equipaggiamento militare in medio oriente, rimaneva il più disponibile a un’azione definitiva, ma il suo mandato scade a breve. Secondo le ultime stime, per l’Iran costruire armi atomiche è questione di mesi, al massimo di un anno. Nel frattempo il regime sta affrontando una profonda crisi economica, i suoi alleati nella regione sono stati colpiti duramente e il calcolo di Israele è che tramite un’azione militare mirata è possibile portare la Repubblica islamica dell’Iran non soltanto alla fine del suo programma nucleare, ma al collasso della sua stessa struttura. Gli Stati Uniti di Donald Trump invece hanno preso una strada diversa, hanno deciso di negoziare puntando alla reintegrazione di un accordo simile a quello siglato da Barack Obama e da cui l’attuale presidente americano era uscito nel 2018: ieri Trump lo ha definito “un accordo terribile”. Sabato i colloqui in forma mista, diretti e indiretti, tra Stati Uniti e Iran si terranno a Roma e saranno guidati da Abbas Araghchi e dall’inviato speciale americano in medio oriente Steve Witkoff. Sono ancora incontri conoscitivi e l’idea di svolgere i colloqui in Italia, quindi in Europa, è una cortesia che l’Oman ha invitato gli iraniani a concedere agli americani.

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