Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Ora anche i cinesi invadono l’Ucraina Cronaca di Carlo Nicolato
Testata: Libero Data: 09 aprile 2025 Pagina: 13 Autore: Carlo Nicolato Titolo: «Ora anche i cinesi invadono l’Ucraina»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 09/04/2025, pag. 13, con il titolo "Ora anche i cinesi invadono l’Ucraina", la cronaca di Carlo Nicolato.
Carlo Nicolato
Uno dei soldati cinesi catturati al fronte dagli ucraini. La prova che la Cina, alleata con la Russia, non solo fornisce un appoggio economico, ma anche uomini, più o meno volontari. I prigionieri sarebbero solo due su un gruppo molto più nutrito di militari che dalla Cina sono andati a combattere nell'esercito russo.
Due soldati di nazionalità cinese sono stati catturati dalle forze armate ucraine nella regione di Donetsk. Pubblicando un video su X in cui uno dei due in divisa mimetica racconta qualcosa mimando un bombardamento, il presidente Volodymyr Zelensky ha chiarito che i soldati fanno parte di un gruppo più nutrito che combatte per l’esercito russo. «Abbiamo i documenti dei prigionieri, carte bancarie, dati personali. Abbiamo informazioni sul fatto che nelle unità dell’occupante ci sono molti cittadini cinesi», ha scritto Zelensky aggiungendo che l’intelligence, il Servizio di Sicurezza dell'Ucraina e le unità competenti delle Forze armate sono al lavoro per capirne di più. «Ho incaricato il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha di contattare immediatamente Pechino per sapere come reagirà la Cina», ha poi scritto specificando che il coinvolgimento di Pechino nella guerra «è un chiaro segnale che il presidente russo Vladimir Putin ha intenzione di fare tutto tranne che porre fine alla guerra».
Zelensky chiede quindi «una reazione da parte degli Stati Uniti, dell'Europa e di tutti coloro che nel mondo vogliono la pace», anche se non è ancora chiaro a che titolo i cinesi catturati stiano combattendo nel Donetsk dalla parte della Russia.
Pechino per il momento ha scelto di non rilasciare dichiarazioni ufficiali dimostrando di trovarsi in una situazione potenzialmente molto imbarazzante anche se bisogna distinguere due casi. Se tali soldati infatti sono semplici mercenari non ci saranno particolari conseguenze, anche perché sia i russi che gli ucraini ne fanno già largo uso. Se invece si tratta di un contingente inviato da Pechino per combattere a fianco dell’alleato in questo caso si tratterebbe di un fatto particolarmente grave, che va oltre l’impiego stesso di soldati nordcoreani nel Kursk.
La Cina fin dall’inizio della guerra si è rivelata un partner strategico fondamentale per la Russia che ha sostenuto espandendo gli scambi commerciali, in particolare di petrolio, e diventando il principale fornitore di Mosca di quelli che l’Occidente ritiene siano beni a duplice uso utilizzati nella produzione di armi. Ma Pechino ha sempre reclamato la sua neutralità nel conflitto, proponendo anche in prima persona un piano di pace in 12 punti che non ha riscosso molte fortune. Partendo da questo presupposto Xi e i suoi ministri hanno fatto più volte la morale agli Stati Uniti accusandoli di alimentare la guerra con il continuo invio a Kiev di armi e aiuti. I soldati cinesi peraltro sono stati catturati nel Donetsk, cioè in territorio ucraino occupato, non nel Kursk russo come i nordcoreani, il che renderebbe la posizione della Cina ancora più compromessa. Vorrebbe dire infatti che Pechino non si limita ad aiutare la Russia a difendersi da una teorica aggressione, come nel Kursk, ma la fiancheggia nella sua invasione a una nazione sovrana. Lo ha fatto notare anche Zelensky: «Questo è un altro Paese che sostiene militarmente l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, ma c’è una differenza: i nordcoreani hanno combattuto contro di noi sul fronte di Kursk, i cinesi stanno combattendo sul territorio dell’Ucraina».
La notizia peraltro è uscita proprio nel giorno in cui Ursula Von der Leyen e il primo ministro cinese hanno avuto una telefonata di progressivo riavvicinamento in seguito ai dazi di Trump, durante la quale la presidente della Commissione ha ribadito il fermo sostegno dell’Ue a una pace giusta e duratura in Ucraina, invitando la Cina a intensificare i suoi sforzi per contribuire in modo significativo al processo di pace. La reazione richiesta da Zelensky dunque per il momento non c’è stata, probabilmente perché si attende di saperne di più in un momento in cui tra Stati Uniti e Cina la tensione è particolarmente alta per via dei dazi. Il Cremlino invece ha fatto sapere che nei prossimi giorni sono previsti ulteriori colloqui tra Stati Uniti e Russia per la normalizzazione dei rapporti tra le due potenze, secondo la strada tracciata dal presidente Trump. Una dichiarazione che stride con l’intervento di ieri alla Commissione per i servizi armati del Congresso del comandante del Comando europeo degli Stati Uniti, Christopher Cavoli, che ha affermato che l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia «ha rivelato che la Russia è una minaccia cronica e che nei prossimi anni diventerà una minaccia crescente, intenzionata a raggiungere obiettivi geopolitici e che sta attivamente conducendo una campagna di destabilizzazione in Europa e oltre». Alla domanda se ritiene opportuno un parziale disimpegno nell’Est europeo Cavoli ha consigliato di mantenere le forze americane in Europa «così come sono adesso». Anche il portavoce del Cremlino Peskov ha affermato che «al momento è molto difficile immaginare l'inizio» di colloqui sugli armamenti tra Mosca e Washington perché per farlo serve «un certo livello di fiducia reciproca che ancora deve essere ripristinato», per quanto entrambe le parti stiano «compiendo notevoli sforzi per normalizzare le relazioni bilaterali».
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